“Qui non c’è nessuno”: ovvero, a Brindisi la partecipazione è morta

di Giancarlo Sacrestano

Black friday per Brindisi, quello appena trascorso. Presso il salotto buono della città, il teatro Verdi, convocati dal presidente del consiglio comunale di Brindisi, si sono dati convegno i rappresentanti dei consigli comunali dei venti comuni che costituiscono la Provincia messapica, per gridare la rabbia di un territorio che per dirla con una massima vernacolare “si ‘nde sciutu alla marina”. Se nella tradizione americana il black friday è il giorno degli sconti commerciali che segue il giorno del ringraziamento, a Brindisi è stato il giorno nel quale si è offerto uno sconto massimo alla indifferenza. Il tema della serata è stato definito da quell’intruglio di cattiveria, terrore e paura, elargita a piene mani, da una recrudescenza criminale che al tempo della società atomizzata in cui ognuno pensa e fa per sè e non è più e solo rappresentato dalla malavita organizzata, ma da quel magma sociale che vive lo stato di bisogno, come lasciapassare, sorta di certificato, per giustificare il ricorso all’attività criminale per sbarcare il lunario. 

Attorno all’agonizzante territorio brindisino, oltre ad una nutrita rappresentanza di amministratori locali, (50%, ma forse malignamente, qualcuno mi ha fatto osservare, che si sarebbe registrato l’amplein se si fosse riconosciuto ai consiglieri il gettone di presenza come da prassi per le riunioni delle assise comunali) i massimi esponenti degli organi territoriali dello Stato e del mondo del lavoro brindisini. 

I recenti attentati di cui sono stati fatti oggetto alcuni amministratori locali, a principiare dal sindaco di Brindisi, definiscono da soli la necessità di andare ben oltre la convocazione di un comitato tecnico contro la violenza e la criminalità, ma interpellare tutti ed ognuno come esigenza viva e insopprimibile per emarginare il crimine e quello che più conta, sfondare il muro di indifferenza e menefreghismo a cui ha finito coll’arrendersi una larghissima parte della società brindisina. 

Se Brindisi vive il paradosso, ha sottolineato il vice ministro all’interno Filippo Bubbico,  di rappresentare punte di eccellenza in molti settori, ma anche di affogare nel mare magno della indifferenza, la senatrice Lo Moro, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, chiosa efficacemente ricordando come gli amministratori locali, devono ritornare ad essere punto di riferimento per i cittadini e non obiettivi della malavita. Non è sfuggito a nessuno dei presenti come per ottenere questo semplice cambio concettuale, occorra ristabilire un vocabolario condiviso di valori e di comportamenti. Occorre elevare la dignità del rapporto tra cittadini ed amministratori concentrando le promesse elettorali al bisogno pubblico e non alla elargizione di benefici privati.

Tra gli interventi, quello puntuale del Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Cataldo Motta che, con dati, nomi e date, ha certificato la condizione di soggezione della realtà sociale brindisina alla cultura mafiosa. Da quando la malavita organizzata si è rimodulata attorno al principio della ricerca del consenso sociale, si è ridefinita pure la percezione del suo operato, divenendo di fatto il riferimento culturale ed economico per le fasce più a rischio. I politici la interpellano per ricevere il consenso elettorale, gli imprenditori per vedere tutelati gli affari, i semplici cittadini, quale moderatrice dei conflitti. In barba alla efficacia degli organi di polizia – sempre in deficit di personale e sempre meno efficacemente equipaggiata – il territorio percepisce più aderente ai propri bisogni, la malavita e non lo Stato. Nel corso del 2013 – ha ribadito il dott. Motta – solo 3 denunce per usura per l’intero distretto della DDA di Lecce è sintomo che il silenzio degli usurati, si apparenta più all’omertà mafiosa che alla paura della vittima. 

Nell’ampio spazio offerto dal teatro Verdi, non era difficile percepire il vuoto lasciato da quanti, troppi, sono rimasti estranei, vuoi per volontà,  vuoi per stanchezza, vuoi per indifferenza. La percezione è che neppure se l’avesse convocata domine iddio, la sala si sarebbe riempita, anzi a mio rischio e pericolo mi avventuro in una analisi da bar dello sport, secondo cui, lo strapotere della strafottenza surclassa il bisogno di lavorare insieme per una società dignitosamente normale.

Se si sia persa un occasione da parte della politica di fare finalmente silenzio, così come avrebbero voluto in molti o se abbiamo vissuto l’ultimo sconto nella stagione dei saldi dei valori, ancora non riesco a definirlo, ma certamente è emblematico come il gap tra amministratori ed amministrati si sia sostanziata in quella assenza della società civile che non è rappresentabile da alcune centinaia di poltrone vuote, ma sta tutta nella difficoltà di rilanciare nei luoghi di lavoro, di  studio, di incontro, il tema dell’impegno pubblico. 

Dalla semivuota decima fila dove mi ero accomodato, non ho mancato di registrare quel cosmo di rappresentanti, facenti parte di un corpo sociale, meglio definito nel sostantivo “Stato” che con visibile sforzo ha inteso manifestare il bisogno di cambiamento. Erano lì, tutti a testimoniare che lo Stato c’è, comprese le sue difficoltà e la sua povertà. Nel silenzioso e rispettoso ascolto, Sua Eccellenza Mons. Caliandro, ha reclamato per tutti la dignità di “fratelli” che se per lui si proclama in Cristo per tutti noi è sancito dalla fraternità di essere tutti fedeli allo Stato Italiano. Da adulti, siamo chiamati a guardare all’Italia, al nostro piccolo mondo brindisino riconoscendo di avere in prestito dai nostri figli tutto il valore, tutta la bellezza della nostra terra. 

Tra gli interventi, ho atteso quello di Stefano Galantucci, in rappresentanza degli studenti di tutta la provincia. Lui li rappresentava tutti, ma quel che conta, incarnava le sembianze del futuro, quello verso cui vorremmo tutti, il massimo del bene possibile. Lo studente però ha mancato di ricordarcelo, magari col gesto che per lui sarebbe stato un dovere, testimoniare Melissa Bassi che qualche giorno asddietro avrebbe compiuto 18 anni e la cui vita è stata sacrificata alle ragioni pazze e criminali di una cultura mafiosa interamente incarnata da Giovanni Vantaggiato. (Un toccante ricordo della studentessa dell’Istituto Morvillo-Falcone è stata offerta dal presidente della Provincia Maurizio Bruno). Al termine del suo intervento, di cui vorrei rileggere il testo perchè ammetto di non averne percepito l’intero senso,  Galantucci, probabilmente per impegni improrogabili che doveva aver preso in precedenza, ha lasciato la sala, rinunciando a presenziare una riunione nella quale dai vigili urbani chiamati a onorare gli stendardi delle singole città, ai consiglieri, ai sindaci, ai rappresentanti delle forze dell’ordine, ai parlamentari, al Prefetto, all’Arcivescovo, nessuno si è alzato dal suo posto sino al termine dei lavori. 

Se iniziative di questo genere rischiano di apparire delle semplici passerelle e non occasioni per ricostruire un tessuto sociale lacero e logoro, lo si deve anche al fatto che chi dovrebbe beneficiarne, i giovani, non hanno tempo per gli sforzi oratorio-concettuali di noi adulti. 

Già nel 1972 Giorgio Gaber, denunciava il rischio dell’individualismo e cantava: La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.  A Brindisi, è morta.