di Giancarlo Sacrestano
Ricorre oggi 16 marzo, il 37° anniversario dell’agguato compiuto da un gruppo di terroristi aderenti alle Brigate Rosse in Via Fani a Roma, nel corso del quale rimasero uccisi 2 carabinieri e 3 agenti di polizia, tra cui il brindisino di Fasano Francesco Zizzi. Obiettivo era il rapimento dell’onorevole Aldo Moro presidente dell’allora partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana.
L’eminentissimo protagonista della politica nazionale, durante il sequestro, fu ucciso e fatto drammaticamente ritrovare all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa in Via Caetani, sempre a Roma il successivo 9 maggio.
Molti siamo i testimoni di quel tremendo terremoto socio-politico, ma altrettanto molto pochi i consapevoli eredi di quella stagione, che la storia ha battezzato con un’allocuzione assai chiara: “anni di piombo”.
Furono anni che ebbero la tremenda forza di dilaniare il Paese e i “cocci” ancora li raccogliamo disseminati tra le sgangherate vicissitudini sociali che siamo costretti a vivere.
Il leader storico di quelle Brigate Rosse, la formazione terroristica di estrema sinistra che ha espiato la pena comminata dalla giustizia italiana per i fatti di terrorismo compreso il reato di concorso morale in omicidio, è il dottor Renato Curcio, laurea in sociologia presso l’università di Trento che ha trascorso in carcere il tempo compreso tra il 1974 e il 1998.
Della sua formazione personale oltre che terrorista, anche l’identità di editore e saggista.
Nella sua doppia veste di esperto in sociologia e di saggista, il dottor Curcio è stato ospite, qualche giorno fa a Brindisi dell’Associazione di promozione Sociale a favore dei soggetti fragili “I Segni di Teti”, per relazionare agli operatori del cosiddetto volontariato sociale, sui temi dell’identità di un lavoro i cui risvolti giuridici ancora non rendono pieno e soddisfacente riconoscimento.
Nella stessa giornata ha presentato il suo ultimo libro che tratta di un tema proprio della città di Brindisi. “Pane e morte” è il titolo del saggio che si sviluppa attorno ai risultati di un cantiere socio-analitico tenuto a Brindisi nel 2013 sullo scambio tra la rinuncia alla salute per il lavoro. Il libro raccoglie un lavoro a cui hanno partecipato una trentina di persone, tra lavoratori e famigliari di operai del Petrolchimico, medici epidemiologi, cittadini impegnati in comitati per la difesa dell’ambiente, ma la sua presentazione non è stata tenuta a Brindisi ma nella seppur vicinissima città di Mesagne.
Non voglio perorare le tesi del dottor Curcio, ma fa specie come la realtà della città di Brindisi si faccia scivolare il tutto ed il di più, senza riuscire a trattenere nulla della gran massa di percorsi culturali che la attraversano.
Per molti anni ha vissuto la città, il dottor Franco Freda, coetaneo di Curcio, ideologo neofascista, (l’area politica alternativa a quella di Curcio) anche lui saggista intellettuale ed editore, come il primo ospite per molti anni delle patrie galere, ma anche di lui la città non ha percepito la presenza.
Ascoltare, leggere, capire questi “cattivi” maestri non necessariamente ci avrebbe portato alla costituzione di movimenti sovversivi, ma alla produzione di fermenti attivi alla crescita di un humus sociale e civile degno di una città del 21° secolo.
Sarebbe facile concludere che è inutile parlare di progetto culturale per Brindisi se questo non passa dalle solite scanzonate “chiazzate”.
Brindisi si muove ma ad una velocità pericolosamente lenta, incapace di cantierizzare un progetto culturale che renda onore e merito alla identità di un territorio, sulla cui pelle sono state costruite cospicue fortune individuali, ma che lascia inevase le pratiche più semplici di ogni manuale di educazione civica, compresa la distribuzione equa delle risorse di cui questa città è ancora capace.