Festa della Liberazione: Brindisi Capitale della Resistenza ignorata

di Giancarlo Sacrestano

Bisogna essere molto informati per comprendere qualcosa delle celebrazioni civili che punteggiano le piazze dell’intera Nazione nella giornata del 25 aprile.
Nonostante siamo giunti alla 70^ edizione, a dar conto delle reazioni, che riempiono le home page dei siti d’informazione e le prime pagine dei giornali cartacei, la data a tutt’oggi è divisiva.
Si cimentano alla bisogna penne e “think thank” di notevoli doti, ma al cittadino che ne rimane?
Nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, forse l’indizio più importante: “La nostra Costituzione è il frutto della lotta antifascista contro la dittatura e la guerra. La qualifica di resistenti va estesa non solo ai partigiani ma ai militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere”.
Il 25 aprile 1945, Milano insorge contro gli oppressori nazifascisti. Il generale Luigi Cadorna per conto del “Corpo Volontari per la Libertà Alta Italia”, fissa in un documento “ai patrioti i doveri dell’ora” e col grido di “VIVA l’ITALIA! Morte all’oppressore nazifascista” invita tutti i veri patrioti ad imbracciare le armi. A nome del Comitato di Liberazione Nazionale, sezione di Milano, Riccardo Lombardi assume tutti i poteri dello stato nella provincia di Milano.
Neanche 100 ore dopo (!), la guerra contro i nazifascisti avrebbe vissuto l’epilogo del 29 aprile, quando a Caserta i tedeschi e i rappresentanti della Repubblica sociale di Salò avrebbero firmato il trattato di resa agli alleati anglo-americani, dichiarando definitivamente cessata la guerra in Italia.
Perché ricordare il 25 aprile e non quindi il 29 e perché no il 9 maggio?
Le cronache annunciano che alle 23.01 dell’8 maggio 1945 sarebbe stato sparato l’ultimo colpo di cannone e che da quel momento l’Europa i cui prodromi proprio in Italia erano stati vissuti, avrebbe visto la nascita e la durevole pace di una grande comunità.
La guerra antifascista data certamente molto tempo prima di quell’annuncio milanese, a cui rivolgiamo tutti un accorato e onorevole pensiero, ma se mi è consentito, sommessamente, intendo ancora una volta ribadire che forse le ragioni, tante, della lotta ad ogni forma di totalitarismo appartiene per dignità all’animo di ogni uomo, ma se luogo bisogna cercare ove dare sintesi, quello forse è identificabile in Brindisi, la piccola città del basso adriatico dove il vessillo nazionale, il tricolore, sin dall’17 marzo 1861 non è mai stato sostituito con altro di nessun occupante. Il 9 settembre 1943, la città messapica, veniva investita di un ruolo che già in epoca romana e successivamente in epoca federiciana, la storia le aveva conferito, ribadendo la sua vocazione alla pace e alla libertà.
Brindisi, ancorchè per 180 giorni è stata capitale d’Italia, è stata porta di speranza per l’intera Europa. Qui si tennero importantissimi incontri internazionali che definirono gli assetti post bellici del vecchio continente. Da qui rinacque l’esercito italiano, da qui le istituzioni nazionali ripresero il cammino in quel percorso che gli storici definiscono: secondo risorgimento. Brindisi capitale di quella resistenza ignorata, (per cui certamente va onorato il brindisino Felice Maellaro) al cui porto approdavano i soldati allo sbando per ricostituirsi in formazioni e combattere al fianco degli eserciti anglo-americani, ma anche porto agognato dalle migliaia di soldati deportati dai tedeschi nei campi di internamento dove in 80.000 su 800.000 circa hanno trovato la morte. E’ proprio tra essi, gli IMI (internati militari italiani) che si rintracciano storie di altissimo valore , fatte di sacrificio, senso del dovere e dell’onore che meriterebbero di essere travasate nella esperienza di formazione delle giovani generazioni perché ognuno di loro è pietra angolare della nostra costituzione.
Per saperne di più clicca qui: “LA RESISTENZA IGNORATA” .