di Giancarlo Sacrestano
Era il 27 aprile, quando giunsero a Brindisi i resti di San Teodoro provenienti dalla città turca di Eutachia dove era sepolto, ma non morto, perché lo fece, suo malgrado, dopo il martirio, ad Amasea, sempre in Turchia nel 306, forse 309, forse 311.
Anche stabilire esattamente l’anno di approdo a Brindisi non è possibile, nonostante si siano provati i più titolati. L’anno sarebbe comprensibile tra il 1210 ed il 1225. La Chiesa brindisina, il 27 aprile del 2010 organizzò una tavola rotonda che si titolava eufemisticamente “verso (?) l’ottavo centenario della traslazione delle venerabili reliquie”.
Nebbia anche sul luogo di nascita del Santo Patrono della città messapica, nessuno si sbilancia se non in ordine alla regione di provenienza, per alcuni la regione turca di Cilicia, per altri Teodoro era nato in Armenia.
Perché sia chiaro che i dubbi su Teodoro sono interminabili, è necessario ricordare che l’approdo delle reliquie a Brindisi non avvennero per espressa e chiara definizione di una volontà, bensì per un miracolo a seguire la leggenda che vuole la nave su cui erano ospitate le sue reliquie, sospinta verso i lidi della città da una forza occulta, se l’approdo risalisse al 1210.
Se invece si propende per il 1225 l’approdo si deve ad un vero e proprio rapimento a cura e responsabilità degli uomini dell’Imperatore Federico II di Svevia che in quello stesso anno, il successivo 9 novembre, avrebbe sposato in cattedrale la regina di Gerusalemme, ma tredicenne Jolanda di Brienne. Il rapimento delle reliquie sarebbe stato quindi compiuto a danno della Repubblica di Venezia di cui San Teodoro era patrono.
I Veneziani provvidero a dar vita nello stesso periodo, pur di sottrarsi alla indegnità di essere stati gabbati dall’imperatore Federico ad un’altra identità di Teodoro, non più soldato ma generale, con la dignità di una lancia, arma che non era in dotazione di un semplice soldato.
Noi brindisini però non abbiamo mica capito che quello era San Teodoro e per circa due secoli tanto da raffigurarlo con le caratteristiche iconografiche di San Giorgio, altro santo soldato che con la propria lancia sconfigge il drago.
Solo dopo il 1500 inizia a profilarsi una crescita e diffusione del culto di San Teodoro a Brindisi, ma trascorsi 8 secoli, più o meno, di quel santo, peggio delle sue ferree e tenaci doti di coerenza cristiana spinta sino al martirio, noi brindisini, non abbiamo ereditato molto; anzi.
Lo celebriamo tra una sarabanda di “nuceddi e fuechi” ogni anno imponendogli tra le mani le chiavi della città, ma capirne il senso profondo della sua funzione a Brindisi, ancora in pochi.
Brindisi oggi neppure se lo ricorda che giunse avvolto in un tessuto porpora punteggiato di fili d’oro, sciamito lo chiamano ed è reperto eccezionale, come l’arca d’argento in cui è custodita la sacra reliquia. Conoscere Teodoro, aprirsi alla sua identità promuovere la sua forza di uomo che con la sua forte testimonianza ha unito le sponde del mediterraneo, significa riconoscere a noi brindisini una forza propulsiva che va oltre il limite di porta Napoli o porta Lecce, che ci invita e ci invoglia a credere nelle energie di un territorio che nonostante le migliaia di ferite profuse da imbelli scorribande di ignavi brindisini è capace ancora di rilanciare sfide che ci proiettano verso il futuro. Nel tempo in cui tutto pare perduto noi abbiamo un santo a cui votarci. Capire come fare non è impossibile ma in questo giorno il pensiero può rivolgersi in piazza duomo dove in alto alla chiesa troneggia tra le altre la statua di Teodoro ed ognuno abbia l’umiltà di domandargli: Ghiatò addò sciamu?