La Torre dell’Orologio e la maschera della coscienza

di Giancarlo Sacrestano

C’è una cosa che a Brindisi rispetta la semplice regola dettata dal tempo? No. Quelli che sanno di certe cose dicono che bisogna cogliere il momento propizio, il momento giusto. Kairos lo chiamano. Noi invece abbiamo sperimentato più volte il senso della perdita di tempo, visto che quello che costruiamo lo demoliamo e non ricordiamo neppure perché. In una saletta di Palazzo Granafei-Nervegna, in una nicchia, è conservata una maschera in pietra salentina di Kronos (Crono nella didascalia) il dio greco del tempo, famoso per la voracità con cui divorava quello che generava. Il tempo è infatti detto anche tiranno, proprio perchè non vuole condividere con nessuno il proprio potere.

Tutti lo viviamo ogni momento, visto che pur avendone bisogno non ce ne viene mai concesso. La maschera proviene dalla torre dell’orologio che dal 1763 al 1956 ha contato il tempo di Brindisi. Non è caduta per cause di forza maggiore, come ha fatto invece un terremoto, quello che procurò il crollo alla precedente, che insisteva sullo stesso luogo e che si accartocciò a seguito del sisma del 1743. E’ caduta per volontà di qualcuno, che al suo posto ha preferito la costruzione di un palazzone, entro cui ha trovato sistemazione l’Inps. Della significazione della torre non restò niente, anzi, tutto fu reso maceria. La torre, oltre a rappresentare il luogo verso cui indirizzare l’orecchio e l’occhio per conoscere l’ora, rappresentava anche il simbolo dell’ascesi della comunità, invitata ad elevarsi, tutta insieme, verso l’alto.

Quattro i piani della torre che al primo aveva l’arma della città; al secondo una epigrafe, che non a caso era stata apposta dalla locale famiglia massonica in onore di Giuseppe Mazzini, con l’esaltazione dei valori unitari; al terzo livello l’orologio sormontato dal mascherone del dio Kronos a simbolo del tiranno che governa il tempo degli uomini e al quarto la cella campanaria, chiamata a ricordare come sopra tutto e a contatto col cielo, la voce della preghiera scandita dal suono delle campane chiamate a scandire il tempo di Dio.

La insignificante pochezza della torre dell’orologio inserita successivamente nel palazzo di Città non appassiona, non racconta, resta sterile testimone di una città che, non sa fare i conti né con Kronos né col Kairos. Avvilita in un eterno tempo presente, vive l’attimo e non sa che fare. Marcel Prouste, nel suo “Alla ricerca del tempo perduto” ha scritto pure: “Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso.” Basta avercela! Sempre nello stesso splendido libro si trova scritto: “Quel che rimprovero ai giornali è di farci prestare attenzione ogni giorno a cose insignificanti, mentre leggiamo tre o quattro volte nella vita i libri dove ci sono le cose essenziali.” Da allora son trascorsi quasi 90 anni. La memoria si conserva in modi e sistemi assolutamente improponibili per la più fervida fantasia di un uomo vissuto agli inizi del ‘900 ed i giornali, anche loro, si sono polverizzati ed ognuno di noi diventa media player globale.

Ma il tempo, quel tiranno che ci opprime e deforma le volontà reclama le sue vittime. Brindisi ha bisogno di ritrovare la sua torre dell’orologio con i suoi tanti significati. Non basta la seppur bella provocazione artistica di Giuseppe Marzano che con la sua formella bronzea, apposta sullo stesso luogo della torre, dal 2008 sollecita una riflessione. Occorre di più, molto di più e in fretta. Il tempo non ha tempo e altri brindisini emigreranno, saranno costretti a fuggire perché il loro tempo è finito e saranno sacrificati e divorati dal dio Kronos che se la ride sotto il suo folto cespuglio di barba in carparo, lì solitario nel palazzo Granafei Nervegna.