Siamo tutti responsabili della cultura dell’illegalità

Il filosofo, giurista Norberto Bobbio nel “Dizionario di politica” ha definito la legalità una forma di educazione civile caratterizzata dallo spirito di obbedienza alla legge, dall’esercizio responsabile dei diritti e dall’adempimento altrettanto responsabile del dovere.
Detta così la sensazione della maggior parte delle persone è quella di potersi sentire abbastanza a posto con la coscienza, in pace con la propria anima, protetti dalle ferite che l’interruzione di coerenza tra valori e comportamenti procura alla stima di noi stessi. In fondo tutti conosciamo le regole e la maggior parte di noi tende a rispettarle, il problema, dice don Ciotti, è con quale atteggiamento tendiamo a farlo perché, spesso, ci barcameniamo in improbabili equilibrismi tra lecito e illecito.
Lo psicologo Albert Bandura sostiene che lì dove l’individuo vìola i propri valori tende a preservarsi dai sensi di colpa con meccanismi psicologici che lo conducono pietosamente al disimpegno morale. Di questi meccanismi ne ha individuato otto e tra questi c’è quello della diffusione di responsabilità: quando tutti sono responsabili nessuno si sente responsabile. Lo cavalchiamo ogni volta che diciamo che non ha senso agire correttamente a livello individuale se non lo si fa a livello collettivo. Mistifichiamo, così, a noi stessi le colpe dei danni che facciamo, aggiungendo piccole gocce d’acqua ad un mare in cui sguazzano malfattori, criminali e corrotti.
Forse dovremmo incominciare partendo dalla certezza che siamo tutti responsabili di questa diffusa e pervasiva cultura della illegalità.

Maria Rita Greco