Matteo, il ragazzo che la Chiesa vorrebbe “beato” e che per gli amici è rimasto un mito. Sei anni dopo la morte

di Gianmarco Di Napoli
Matteo Farina un giorno potrebbe diventare “beato”. La Chiesa, anche quella brindisina, soprattutto di questi tempi, ha bisogno di trovare nuovi esempi, sedimentata com’è negli stereotipi vecchi di secoli e bisognosa di offrire modelli al passo coi tempi. E così ha avviato un processo che durerà anni, iniziando con la raccolta di testimonianze, primo passo per definire se potrà essere riconosciuta l’ascensione al Paradiso e la sua capacità di intercedere in favore dei fedeli che lo pregano.
Ma chi è Matteo Farina? La sua storia, quella di un adolescente brindisino, è una straordinaria testimonianza di coraggio, altruismo, forza di volontà, amicizia, amore. Il tutto racchiuso in una vita durata appena 18 anni, gli ultimi cinque dei quali trascorsi fra interventi chirurgici, devastanti terapie, sofferenze indicibili. Eppure è proprio nel periodo in cui viene messo alla prova così duramente che Matteo, quasi incurante del destino che lo sta lentamente conducendo alla morte, diventa il punto di riferimento per la sua comitiva di amici, il faro dei suoi compagni di scuola, l’emblema di coraggio – alimentato da una fortissima fede cattolica – che lo porterà persino a difendere le sue amiche dai bulli che le insidiano.

Il teatrino della parrocchia della Pietà, su iniziativa dell’Azione cattolica, ha tutte le sedie in circolo e sullo schermo montato sul sipario è proiettata la foto di un ragazzino sorridente. E’ Matteo. Quando muore un ragazzo è un concatenarsi di sentimenti: rabbia, incredulità, disperazione, tristezza. Gli amici promettono di ricordarlo eternamente, gli insegnanti ne celebrano la memoria, a volte vengono intitolate loro aule o borse di studio, ognuno è certo di non dimenticarlo mai. Ma con il trascorrere degli anni quel volto, quella voce, si affievoliscono inevitabilmente, rimanendo uno struggente ricordo solo per i familiari.
Per Matteo, che ci ha lasciati il 24 aprile 2009, non è così. E non solo sembra che il tempo non sia passato, ma si ha la sensazione che più esso trascorra e più la presenza di questo ragazzo si insinui anche nella vita di chi non l’ha conosciuto. Mentre la saletta si riempie, la sua storia, semplice e straordinaria, scorre come un film. Nasce il 19 settembre 1990, il papà Miky fa il bancario, la mamma Paola Sabbatini è casalinga. Ha una sorella maggiore, Erika. Vivono al Casale e lui sin da piccolo frequenta la parrocchia di Ave Maris Stella. Ama la musica e fonda un gruppo, i “No name”, e ha una passione viscerale per la chimica: “L’atomo fa percepire l’infinita grandezza di Dio”, scrive un giorno sul suo diario. Per questo dopo il biennio all’istituto “Giorgi” si iscrive al “Majorana”. Vuole diventare ingegnere chimico ma il destino gli impedirà di arrivare anche al diploma. La malattia si è infatti presentata all’improvviso, nel settembre 2003: “Mamma, ho freddo agli occhi”. La diagnosi è spietata: tumore cerebrale.

Ma in quel momento, quando per molti l’inizio del calvario rappresenta la vera fine dell’esistenza, per Matteo è il primo passo di una straordinaria prova di coraggio. Un coraggio che riesce a trasferire alla sua famiglia, ai suoi amici. Tra un intervento chirurgico e una seduta di chemioterapia è lui che tiene alto il morale ai genitori e alla sorella, diventa l’elemento catalizzatore della sua classe e della comitiva di amici con i quali esce. Il suo sorriso diventa l’emblema di un percorso in cui il filo conduttore resta una profonda fede cattolica ma che viene proiettato nella quotidianità dei ragazzi della sua età. “Era il collante del nostro gruppo di amici”, ricorda Serena, la fidanzatina che gli è stata accanto sino all’ultimo giorno. “Era proprio un vulcano, ho sempre visto Matteo come un esempio mitico, eroico, difficile da raggiungere. E quando glielo facevo notare, lui mi guardava divertito, e non credeva alle proprie orecchie”.

{youtube}1Wrr3BpVNLc{/youtube}

Nel periodo della malattia decide di dedicarsi all’assistenza degli altri: soprattutto dei ragazzini che affrontano i suoi stessi cicli di chemioterapia, ma non solo. Organizza una raccolta di fondi per i bambini del Mozambico che oggi viene alimentata con i ricavi della vendita del libro che mette insieme alcuni dei suoi scritti: “Con gli occhi al cielo”. Quando esce con gli amici non esita a difendere le ragazze dai prepotenti. Senza violenza, con un sorriso.
La saletta della Pietà nel frattempo si è riempita, cento persone in cerchio, in prima fila ci sono i genitori. Viene proiettato un video in cui alcuni amici lo ricordano con una delle sue frasi preferite, “La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”, tratta dal film Forrest Gump. Oppure un’altra, amara e coraggiosa: “La mia vita non potrà mai essere una vacanza”.
Uno dei suoi compagni, Roberto Petrachi, prende il microfono e lo ricorda come se lo avesse visto ieri: “Aveva una semplicità che conquistava ognuno di noi. E quando parlava ci lasciava a bocca aperta. Non ci ha mai lasciato: Matteo è un virus che è diffuso tra noi e guida per sempre la nostra esistenza”.
C’è anche la sua prof d’italiano, Rita Pirelli: “Feci svolgere un tema in cui chiedevo di descrivere un fatto che aveva sconvolto i ragazzi. E quando lessi il suo fui io a rimanere sconvolta: raccontava la storia della sua malattia e di come non volesse che gli altri fossero tristi. Ho il rammarico di essermi resa conto troppo tardi di quanto fosse speciale”.

Tra i primi a cogliere la straordinarietà della storia di Matteo Farina fu l’allora arcivescovo di Brindisi, Rocco Talucci, che lo conobbe negli ultimi mesi di vita e che lo ha inserito la sua storia nel libro “Santi giovani per giovani santi”. Scrive Talucci: “Mi ha colpito profondamente una parte della preghiera di Matteo che ho ascoltato, senza sapere chi fosse, a Santa Maria del Casale: “Quando senti che non ce la fai, quando il mondo ti cade addosso, quando ogni scelta è una decisione critica, quando ogni azione è un fallimento, vorresti buttare via tutto. E invece devi amare Dio con tutto te stesso e riflettere il suo amore agli altri. Fatica!”.
La vita di Matteo Farina è stata inserita nel sito “Santi, beati e testimoni” e a lui è dedicato un sito internet (clicca qui) inserito nella lista dei siti cattolici italiani. Qui è possibile inserire le testimonianze che un giorno potranno essere utilizzate a supporto di un possibile processo di beatificazione e che giungono direttamente al cancelliere arcivescovile. Nel sito c’è anche la sua voce, registrata mentre recita il rosario (clicca qui).
C’è poi una pagina Facebook, “Amici di Matteo Farina” (clicca qui), che viene aggiornata quotidianamente da sei anni.
Se un giorno questo ragazzo, che non ha mai smesso di sorridere nel cuore di chi l’ha conosciuto quando era in vita o che ha imparato ad amarlo dopo, diventerà Beato, è una questione che riguarda la Chiesa. Ma la sua storia e quello che è riuscito a insegnare nella sua breve vita andrebbero proposti come esempio ai ragazzi di oggi. Quei valori, quella capacità di soffrire senza mai piegarsi, sino all’ultimo, quella gioia di vivere pensando, sognando, progettando, restano l’eredità più preziosa per la nuova generazione”.