Quelli della Salvarani, ecco perché ora non devono più scomparire/VIDEO

di Gianmarco Di Napoli
Dovevano passare trent’anni perché i pischelli della Salvababy fossero finalmente ammessi al Continental, e quelli della gelateria attraversassero la strada senza timore di innescare battaglie all’ultimo raudo. I tre o quattro anni di differenza che allora rappresentavano l’invalicabile barriera tra i “grandi” e i “piccoli” oggi non trovano giustizia neanche nella profondità delle rughe, capricciose e insubordinate ospiti che quasi mai (come ingenuamente pensavamo allora) rappresentano un metronomo attendibile dell’età.
Sandro Toffi mette i dischi che sembra di stare al Desirèe, lui sì, maledetto, pare aver stretto un patto col diavolo e forse nel contratto con Satanasso, oltre all’immortalità, ha imposto la clausola del ritorno al passato per guardare al futuro, perché solo lui poteva riuscire a rimettere insieme quelli della Salvarani, i ragazzi degli anni Ottanta.
Qualcuno pensava potesse essere solo la patetica occasione per far riaffiorare controfigure di un’adolescenza lontana. Ma sul marciapiedi di corso Umberto, per un’ora, non si respira aria di malinconia, né disperata voglia di amarcord. Per la prima volta invece la generazione della Salvarani si svela per quello che è diventata: su quelle stesse mattonelle che calpestavano con il walkman alle orecchie, si sono ritrovati quarantenni che hanno realizzato qualcosa, non importa se professionisti o operai, commesse o imprenditori, ma tutti accomunati da quella speciale appartenenza che bastano due minuti per stare tutti di nuovo incollati insieme, oggi come trent’anni fa, che che sul marciapiedi non riesci proprio a passare e come se il tempo non fosse mai passato.
In tanti per trovare fortuna sono dovuti partire. Eppure era come se anche loro fossero presenti, su quello stesso pezzo di strada, ad ascoltare la stessa musica. Aggrappati ai computer e ai telefonini, divorando immagini e commenti, scrivendo struggenti dichiarazioni d’amore da ogni parte del mondo.
Quelli della Salvarani non rappresentano più solo un romantico ricordo da sbandierare agli adolescenti web-dipendenti di oggi, ma un patrimonio che può contribuire alla ricostruzione di questa città, una rinascita che non può non partire da rapporti umani diversi.
Ecco. Quel senso d’apparenza, la fortuna di essere cresciuti in quella sorta di irripetibile “comune” in cui si rideva, piangeva e si diventava grandi tutti insieme è stata la vera, grande, scuola della città. E oggi, trent’anni dopo, se n’è avuta la prova. Ecco perché sarebbe un peccato, adesso, buttare tutto via.

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