La procura valuta di chiedere il ripristino della confisca dell’albergo e delle villone del complesso Acque Chiare. Bisognerà solo stabilire se ad agire debba essere Brindisi o la procura generale presso la Corte d’Appello di Lecce. Al momento, insomma, l’intera questione, nonostante ci sia una sentenza definitiva della Cassazione sul villaggio ritenuto una lottizzazione abusiva e rimasto sotto sequestro per 11 anni, è tutt’altro che risolta: a fare chiarezza sarà molto probabilmente il giudice dell’esecuzione. Tra gli addetti ai lavori sono numerose le interpretazioni che vengono date, in punto di diritto, al medesimo provvedimento che si attendeva per mettere una parola fine alla interminabile storia.
Nel dispositivo si parla di annullamento della sentenza di condanna dei quattro imputati e della revoca della confisca del comparto C (intero) che comprende tutti gli immobili di Acque Chiare. Ci sono alcune precisazioni sulle statuizioni civili, ma non è specificato altro. La motivazione invece, fa ritenere che anche l’hotel e le ville più grandi debbano essere inserite nell’elenco dei beni da (ri)confiscare. Il nodo dovrà essere in qualche modo sciolto, all’esito di un altro giudizio. Sarà ancora lunga e sarà battaglia, insomma. Su questo, almeno, non si nutrono ulteriori dubbi. La vicenda Acque Chiare nasce più un decennio fa, per l’esattezza alla fine di maggio del 2008 quando l’intero insediamento costruito da Vincenzo Romanazzi sulla litoranea per Apani viene posto sotto sequestro dai militari della guardia di finanza di Brindisi su delega della procura.
Si indaga per lottizzazione abusiva, per una trasformazione urbanistica che avrebbe scandito la vendita di villette che in realtà avevano destinazione d’uso turistico-alberghiera. Ne sorge un procedimento penale infinito. Terminato in primo grado con una sentenza di condanna per i quattro imputati (oltre a Romanazzi anche il progettista, un notaio e l’allora dirigente dell’ufficio tecnico comunale). In secondo grado la sentenza è stata confermata. Poi il reato si è prescritto. La Cassazione si è espressa il 5 luglio 2019, le motivazioni sono state depositate di recente. Nel dispositivo era precisato che la sentenza di condanna era stata annullata senza rinvio. Poi un appunto sulla revoca della confisca del comparto C che è quello di cui, sulla carta, fanno parte tutte le villette e l’albergo.
Nulla da dire su comparto A e B, su cui invece ricadono spiaggia e parcheggi, che è ora nuovamente sotto chiave e nella disponibilità del Comune di Brindisi. Nei giorni seguenti alla decisione della Suprema Corte era invece stato avviato l’iter di restituzione degli immobili agli aventi diritto: le casette a chi le aveva acquistate e quasi mai fruite, l’hotel e le villone (alcune delle quali cedute solo con un preliminare d’acquisto ma senza rogito) alla Acque Chiare srl. Una volta depositata la motivazione sono sorti alcuni problemi. Si è insinuato il dubbio, confrontando il ragionamento degli Ermellini con l’effettiva decisione eseguita, che vi fosse stato un errore materiale nel ritenere l’hotel non inserito nel comparto C poiché la Cassazione ha specificato che la revoca della confisca è relativa unicamente agli immobili oggetto di compravendita. Più nel dettaglio gli Ermellini hanno spiegato di non aver accolto le doglianze di Romanazzi perché non titolato a rappresentarle in proprio. C’è insomma bisogno di ricorrere a un altro giudice per ottenere una corretta e insindacabile lettura del provvedimento. Le bocce, in queste ore, sono ferme. Ma qualcuno dovrà fare la prima mossa per definire la situazione. E in particolare la questione hotel e affini.
La procura della Repubblica di Brindisi ci sta lavorando su. Bisognerà accertare, senza ovviamente commettere il rischio di un errore, a chi spetti fare il primo passo per sbrogliare la matassa. Se ai magistrati brindisini o alla Corte d’Appello di Lecce. Poi, si procederà.
CANCELLATO IL DEBITO
La commissione tributaria di Lecce ha annullato in via definitiva un debito di circa 3 milioni di euro che la società Acque Chiare Srl, proprietaria dell’albergo e delle ville più grandi dell’insediamento edilizio (cedute a terzi solo con preliminare di vendita), aveva con l’Agenzia delle Entrate.
I giudici tributari hanno accolto l’appello della società, assistita dall’avvocato Barbara Antonica, riconoscendo la piena deducibilità dei costi sopportati nell’anno di imposta 2003 per costruire il villaggio di Acque Chiare e la deduzione della relativa Iva. Tali costi erano inizialmente stati ritenuti non deducibili perché collegati alla commissione di un reato.
La società contribuente ha però dimostrato, nel giudizio di rinvio che è sorto dopo che sul punto si era espressa la Cassazione, che non c’era alcuna sentenza definitiva del giudice penale che dichiarava la continuazione tra la contravvenzione di lottizzazione abusiva (contestata a quattro persone e poi prescritta) e altri reati inizialmente ipotizzati ma che non sono sopravvissuti alla lunga e infinita storia giudiziaria. Né esiste, è stato stabilito, un diretto rapporto causale tra i costi sopportati per la costruzione dei beni immobili del complesso edilizio e le ipotesi di concorso in corruzione e di truffa correlate.
La decisione riveste una particolare importanza alla luce del fatto che proprio per un accumulo debitorio di circa 25 milioni di euro (altre cartelle pure sono state contestate e vi sono giudizi pendenti) la Acque Chiare srl è stata dichiarata fallita e pende ora il reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce che non ha ancora assunto una decisione.
L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che vi fossero importi, notevoli, non pagati sul reddito d’impresa del 2003, considerata l’indeducibilità di costi relativi a fatti penalmente rilevanti. Tutto ciò sulla base di un controllo della guardia di finanza, eseguito dopo l’apposizione dei sigilli e quando i procedimenti penali erano già in corso.
Una norma recente ha però stabilito che il collegamento delle imposte con i reati contestati, sia possibile soltanto in caso di beni utilizzati per il compimento di atti qualificabili come delitto non colposo. La lottizzazione abusiva, contestazione che è all’origine di tutti i guai per Acque Chiare, non rientra nel novero.
Tornando al fallimento, a formulare istanza è stata una banca. Ma nelle valutazioni dei giudici ha avuto un peso anche il debito con l’Erario. Il Tribunale di Brindisi ha valutato gli accertamenti svolti dalla guardia di finanza, concludendo che l’ammontare complessivo dei debiti risulta superiore a 500mila euro, incluso quanto dovuto all’Agenzia delle Entrate (che non aveva però inteso procedere con una istanza di fallimento). Le suddette emergenze sono di per sé sufficienti a escludere che la società resistente rientri fra gli imprenditori non soggetti al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
Infine. L’insieme dei dati non possono che essere interpretati come sintomatici di una situazione di impotenza della società avente natura strutturale e non soltanto transitoria.
Acque Chiare, assistita dagli avvocati Andrea e Umberto Violante, si è opposta alla decisione del Tribunale, contestando il credito e specificando di essere stata attinta da decreto di sequestro preventivo nell’anno 2008 e che gli immobili alla medesima riconducibili erano stati oggetto di confisca nei giudizi di primo e secondo grado, situazione questa suscettibile di variazione a seguito dell’esito del giudizio pendente innanzi alla Corte di Cassazione, che dovrebbe dichiarare la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva con conseguente revoca della confisca e restituzione del patrimonio immobiliare alla società. Così come poi (in parte) avvenuto.
LA SOCIETTA’ CONTRATTACCA
La società Acque Chiare rivuole parcheggi e spiaggia, convinta che la confisca eseguita sia illegittima e che si debba andare dinanzi al giudice dell’esecuzione per chiarire la vicenda. Al centro delle doglianze della srl ci sono i comparti A e B. Insomma quelle aree che sono ora nella disponibilità del Comune di Brindisi.
Gli avvocati Umberto e Andrea Violante hanno scritto al fallimento Acque Chiare Srl e al giudice Paola Liaci per chiedere di autorizzare il curatore del fallimento (non ancora definitivo ma su cui pende un reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce) a intraprendere con sollecitudine ogni formale e necessaria iniziativa nell’interesse dello stesso fallimento, diretta al giudice dell’esecuzione penale, al fine di chiedere l’annullamento o la revoca della confisca dei cespiti di proprietà esclusiva di Acque Chiare, con restituzione degli stessi attualmente nella massa attiva del fallimento. In alternativa di autorizzare il signor Romanazzi Vito, nella qualità di rappresentante legale della società Acque Chiare srl, ad assumere direttamente la stessa iniziativa. Tutto ciò parte da alcune considerazioni sulla sentenza della Corte di Cassazione con cui è stata revocata la confisca delle villette perché intestate a terzi in buona fede. I comparti A e B, su cui ricadono invece spiagge e parcheggi, non sono menzionati nel dispositivo ma solo nella motivazione. Non c’è infatti una disposizione precisa riguardo le stesse aree nella parte in cui si annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati per essere il reato estinto per prescrizione e si annulla altresì la sentenza impugnata con riguardo alla disposta confisca dei fabbricati di cui al comparto C, che revoca, ordinando la restituzione degli stessi agli aventi diritto.
Si parla unicamente di un rigetto dei ricorsi delle parti civili, e della condanna di Romananzzi, Orsan e Cioffi alla rifusione delle spese di lite sostenute.
Non c’è scritto altro. Nella motivazione invece, la questione viene affrontata in maniera più analitica. E secondo gli avvocati anche favorevole per la Acque Chiare srl, quando i giudici specificano di aver dichiarato inammissibili le richieste di Romanazzi, soltanto perché soggetto non titolato a farlo.
Quanto alla censura riguardante l’avvenuta confisca dei terreni scrive la Cassazione e dei manufatti ricompresi nei due comparti A e B del complesso edificato o da edificare, osserva il collegio che la doglianza avverso tale profilo della sentenza impugnata è inammissibile; essa, infatti, viene sviluppata, anche con riferimento alla più recente giurisprudenza della Corte Edu, con riferimento al fatto che in tale modo sarebbe stata disposta una misura ablatoria, appunto la confisca, in danno di un soggetto, la Acque Chiare srl, che non era stata parte del giudizio nell’ambito del quale la misura era stata adottata.
La doglianza e questo è il punto più rilevante di quanto viene precisato dalla Suprema Corte, a parere della difesa pur di portata non trascurabile ove astrattamente considerata, è stata tuttavia articolata dal Romanazzi in proprio e quindi lo stesso non ne era legittimato. Ad agire, secondo gli Ermellini dovrebbe essere la Acque Chiare srl, soggetto autonomo da Romanazzi con lo strumento dell’incidente di esecuzione. Da qui la richiesta del rappresentante legale, attraverso i suoi avvocati, perché si proceda quanto prima con il nuovo giudizio che dovrà stabilire in che modo vadano attuate le disposizioni della sentenza definitiva. Nel frattempo parcheggio e spiaggia sono stati acquisiti al patrimonio del Comune che ha subito avviato l’iter per dare agli stessi una destinazione precisa. Una decisione di senso contrario potrebbe ora rimettere tutto in discussione.