Il primo gennaio del 1900 veniva salutato in tutta Europa con le vivaci note del valzer, tra feste, follie e stravaganze, manifestazioni tipiche dei magici e irripetibili anni della “Belle Epoque”. Già alla fine dell’Ottocento vi era stato un prodigioso sviluppo della scienza e della tecnologia, sia in campo medico, con le prime specializzazioni, che nella società industriale, dove si imponevano la siderurgia, la metalmeccanica e la chimica. Le migliori condizioni di vita e di lavoro, con salari più adeguati, consentirono l’ascesa dell’economia e dei consumi con la crescita del livello d’istruzione, il tutto accompagnato da un considerevole incremento delle nascite: agli inizi del Novecento nel mondo vi erano circa un miliardo e mezzo di individui, quattrocento milioni in più rispetto al decennio precedente, in particolare in Europa, dove in un secolo la popolazione si era persino triplicata. L’Italia contava trentatré milioni e 570 mila abitanti, i cittadini attivi erano principalmente impiegati in agricoltura, con il 43,8% di addetti, quindi nel terziario con il 28%, e nell’industria, il settore in grande avanzata che occupava già il 22% della forza lavoro.
Brindisi era il capoluogo di uno dei quattro circondari della Provincia di Terra d’Otranto, che grazie alla “trionfale avanzata del vigneto” e al traffico marittimo, era interessato da un forte sviluppo urbanistico e da una decisa dinamica demografica, la sua popolazione infatti si avviava speditamente a raggiungere i 23.106 abitanti censiti nei primi mesi del 1901, un incremento del 39% in vent’anni, superando finalmente Ostuni con i suoi 22.811 cittadini. Una realtà dai grandi contrasti e dalle tante contraddizioni, un borgo marinaro indigente catapultato da qualche decennio nei traffici mercantili internazionali, dove a poca distanza convivevano la povertà evidente delle Sciabiche con la presenza, nel vicino Hotel Internazionale, di ricchi ed eleganti funzionari e ufficiali britannici in transito da e per l’India a bordo dei due unici piroscafi rimasti nel porto cittadino, l’Iris e l’Osiris. Tre anni prima difatti, la compagnia britannica Peninsular and Oriental Steam Navigation, proprietaria della Valigia delle Indie, aveva destinato al porto francese di Marsiglia le navi più grosse ed importanti, lasciando nello scalo pugliese i battelli più piccoli e veloci diretti a Port Said.
Il 18 gennaio prendeva vita il nuovo settimanale locale “La Citta di Brindisi”, quattro pagine dirette da Camillo Mealli, stampate presso lo “Stabilimento Tipografico Domenico Mealli”, sito all’angolo tra Corso Garibaldi e via Sacramento, dove aveva sede anche la direzione del giornale con uscita nella giornata del giovedì. Il costo di ogni numero era di 5 centesimi, l’abbonamento semestrale 3 lire. Attraverso le tante curiosità riportate nelle cronache di questo periodico, testimone prezioso della vita economica, politica e sociale di una realtà in grande movimento e trasformazione, è stato possibile ricostruire una parte importante dell’atmosfera che si viveva in quegli anni all’alba di un nuovo secolo, tra forti conflittualità, arretratezza e timidi tentativi di modernizzazione. Con i suoi editoriali il direttore responsabile si faceva portavoce verso le autorità competenti dei diversi problemi che assillavano la cittadinanza, venivano presi in esame alcune delle primarie esigenze di giustizia ma anche di sviluppo della comunità, come la necessità di un ospedale, di un asilo di mendicità (luogo di accoglienza per gli anziani e i bisognosi di cure senza assistenza), evidenziando in più occasioni la mancanza di acqua (non esisteva l’acquedotto, ma solo cisterne e pozzi), l’assenza di una piazza coperta, di nuovi locali per le scuole e di una villa pubblica. Il settimanale si schierava apertamente a favore della nuova classe imprenditoriale agricola e dei commercianti vinicoli, la punta di diamante dell’economia locale, che spingevano per uno sviluppo più consono dei traffici marittimi soprattutto dopo l’apertura del Canale di Suez, una grande prospettiva per l’esportazione dei prodotti agricoli verso nuove destinazioni nei mercati d’oriente. Perciò si denunciavano gli spazi ridotti ed angusti dei locali della stazione marittima, costituiti da “una pensilina e due casotti”, oltre al ritardo dei lavori ai moli del lungomare.
Erano pressoché continui anche gli appelli per una maggiore attenzione all’ordine e alla pulizia, la città doveva presentare un volto migliore agli stranieri e ai viaggiatori di passaggio, in particolare nel tratto di strada che dalla stazione portava alle banchine d’imbarco, evitando quello che giustamente veniva definito uno “spettacolo indecoroso” offerto dai tanti rifiuti abbandonati per le strade, ma soprattutto dal mercato del pesce e dell’ortofrutta che si svolgeva quotidianamente su quella parte di corso Garibaldi, lato San Dionisio, poco oltre la Piazza dei Commestibili (oggi della Vittoria): qui erano incessanti le risse tra commercianti e acquirenti, condite da un turpiloquio becero e indecente, in mezzo alle bancarelle maleodoranti e antigieniche, che evidentemente offrivano un valido motivo per le continue critiche. Esisteva inoltre il drammatico problema della mancanza di un sistema fognario, l’orinatoio pubblico nei pressi della piazza non era sufficiente a contenere tutti i liquami che poi si riversavano sulle strade e sul corso. Ancora, le latrine in città erano insufficienti, ciò aveva ridotto il porticato del Teatro Verdi, da poco costruito, in un vespasiano; a tutto questo si sommava il “materiale” organico caduto dalle “caratizze”, erano così definiti i luridi carri trainati solitamente da un mulo che ogni giorno passavano per le strade dei vari rioni, non ancora asfaltate, e ritiravano dalle case le deiezioni di ogni famiglia (feci e urine) raccolti nei vasi da notte in creta o ceramica, detti volgarmente “cantri” o “pitali”: quando il vascone metallico del carro era ormai stracolmo, una parte di questi escrementi puzzolenti si perdeva per strada, una vera indecenza che si ripeteva costantemente. Ricordiamo che all’epoca i bagni nelle case erano rarissimi, a volte si trovavano in un cortile nel quale si affacciavano più abitazioni, un localino di circa un metro quadrato o poco più, in comune tra tutte le famiglie che lì abitavano. Lo svuotamento del “cantro” nella caratizza, ferma all’angolo della strada, era di solito compiuto da una donna anziana o già sposata, era inopportuno farlo fare ad una signorina, essa infatti rischiava persino di far saltare il proprio matrimonio se veniva vista dal pretendente mentre svolgeva la miserabile funzione! Le precarie condizioni igienico-sanitarie contribuirono oltretutto al mancato controllo delle malattie trasmissibili, come la malaria e il vaiolo (quest’ultima causò ben 342 contagi e 55 morti nel biennio successivo), epidemie che fiaccavano e decimavano soprattutto la popolazione più debole.
Nelle colonne interne del giornale locale trovavano ripetutamente spazio altri problemi “minori”, come la presenza di sole quattro cassette postali, un numero insufficiente per l’intera città, la pessima esibizione dei panni stesi sulla facciata della chiesa di Santa Teresa, le inadeguate e “veramente ridicole” livree dei cocchieri dei carri funebri ma anche delle guardie municipali, definite “tuniche” – e “pentole” i relativi copricapi – che tormentavano gli agenti soprattutto nel periodo estivo. Segnalazioni e critiche, scriveva il direttore Mealli, necessarie affinché si giungesse ad una rapida risoluzione dei problemi, con l’unica intenzione di unire tutti coloro che “amavano il miglioramento morale e materiale di Brindisi”, per risvegliarla dal “fatale letargo in cui disgraziatamente è stata per lo passato” ed elevarla “a quel grado di civiltà e di progresso a cui incessantemente aspira il mondo moderno”. Pertanto, si riteneva necessario avviare una serie di opere di grande utilità, “cose di cui ognuno sente il bisogno”, mantenendo una inossidabile fiducia nel nuovo secolo, quando, si sperava, “cessino per sempre le bizze personali, le lotte di partito, che tanto hanno ostacolato l’avvenire di Brindisi, e che forse sono state le uniche cause del tardo nostro progredire!”. Parole che, a distanza di centoventi anni, conservano una straordinaria attualità.