Antica via Appia: l’ultimo tratto del viaggio a piedi Roma-Brindisi con il protagonista

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Quando un paio di mesi fa seppi che il fotografo e scrittore romano Giulio Ielardi stava per intraprendere, sulle orme tracciate cinque anni addietro da Paolo Rumiz, il percorso a piedi da Roma a Brindisi lungo il vecchio tracciato, spesso invisibile, della via Appia, ho subito sentito, forte, il richiamo a prendere parte attiva, sia pure solo per una infinitesima parte, nella sua impresa.
In questo sono stato enormemente avvantaggiato dalla scelta di Giulio di condividere, quasi in tempo reale, sui social la sua bella passeggiata fatta di un milione di passi per percorrere 630 chilometri attraversando, in poco meno di un mese, quattro regioni e novanta fra borghi, paesi e città, calpestando poco basolato antico, tanto asfalto, ma anche sentieri sterrati, campi e finanche paludi e canneti. Che sia o meno esattamente e con millimetrica precisione l’effettivo tracciato della Regina Viarum, probabilmente non lo sapremo mai con certezza, certo è che tutti i paesi toccati da Rumiz prima e da Ielardi poi, erano disposti lungo l’Appia antica.
Fin dal giorno della sua partenza dalla casa di Trastevere, lo scorso 26 settembre, per raggiungere, dopo i primi 23 chilometri percorsi a piedi, Albano Laziale, ho seguito tutte le tappe del suo lungo percorso, con un occhio alla pagina facebook appositamente creata da Giulio, “L’Appia a piedi da Roma a Brindisi” e l’altro alle dettagliate piantine allegate al libro di Rumiz, “Appia”, che descrivono le stesse 29 tappe in cui anche il viaggio di Giulio è diviso.
Tappe relativamente corte che potrebbero essere alla portata di tutti, se solo fossimo in grado ed avessimo la volontà di regalare un po’ di tempo a noi stessi.
Lo stesso percorso gli antichi viandanti, che si muovevano per necessità più che per piacere, lo percorrevano nella metà del tempo, pur avendo ai loro piedi calzature decisamente meno comode delle nostre. Certamente prima dell’avvento della cosiddetta civiltà moderna, la gente era abituata a spostarsi a piedi, camminando dalle prime luci dell’alba fino al tramonto, percorrendo mediamente anche 50 chilometri al giorno.
L’allegra comitiva composta da Virgilio, Orazio, Mecenate, Nerva e Fronteio, nel 37 avanti Cristo, compì il viaggio da Roma a Brindisi in appena 15 giorni e se la presero anche comoda, rispetto ai parametri dell’epoca.
È stato lo stesso Giulio Ielardi, quando ho manifestato via facebook il mio desiderio di non volermi limitare ad aspettarlo a Brindisi, ma di voler percorrere l’ultima tappa con lui, ad incoraggiami in tal senso, per cui l’impegno era subito preso sia con lui che con me stesso.
Quasi in tempo reale ricevo un messaggio dall’amico Claudio Fornaro, che si fa subito avanti per percorrere anche lui, con noi, gli ultimi chilometri di strada, ma già sapevo che non saremmo stati i soli.
Dopo aver attraversato Lazio, Campania e Basilicata, il fotografo romano fa ingresso in Puglia il 16 ottobre e, dopo aver attraversato Gravina, Altamura, Palagiano, Taranto e Grottaglie, tocca la nostra provincia nella tarda mattinata di venerdì 22 ottobre quando passa per Francavilla Fontana diretto ad Oria, sicuramente una delle cittadine più interessanti ed ospitali che ha avuto modo di visitare in questo lungo, lento ed appassionante viaggio attraverso mezza Italia.
Ecco come lo stesso Ielardi descrive la sua sosta oritana: “L’accoglienza non potrebbe essere più generosa. Per il fotografo giunto a piedi da Roma, i soci locali di Italia Nostra hanno preparato un itinerario di visita concentrato in poche ore, coinvolgendo il Comune nelle persone del sindaco Maria Carone e dell’assessore alla Cultura Lucia Iaia. Così, è un drappello di una decina di persone – leader indiscusso il professore ed ex assessore Pino Malva – quello che per l’intero pomeriggio si sposta febbrilmente alla scoperta della città. Il tempo di incontrare Serena del delizioso b&b Ambrosia , in pieno quartiere ebraico oltre la bella Porta degli Ebrei, posare lo zaino e poi iniziamo dall’area archeologica accanto al Comune, dove incontro Barsanofio Chiedi, archeologo, che ha scavato i due siti lungo l’Appia. Quindi si prosegue con il parco Montalbano, il Castello (solo mura e torrioni esterni, l’interno non è al momento accessibile), il Museo archeologico, il Duomo con l’inquietante Cripta delle mummie che custodisce i corpi mummificati dei confratelli dell’Arciconfraternita della Morte. Resta tempo solo per il salotto più bello della città e cioè piazza Manfredi, dove i tavolini dei locali si affacciano ai piedi del delizioso Sedile, edificio barocco in cui si riunivano un tempo i nobili del paese”.
Il giorno dopo è la volta dell’arrivo a Mesagne; dopo aver lambito Latiano ed aver percorso altri 27.000 passi e mentre Giulio la bellezza di Oria già l’aveva conosciuta ed apprezzata in passato, la nuova tappa ha rappresentato una vera sorpresa: resta letteralmente folgorato da Muro Tenente e dal nuovo modo che rappresenta di intendere e gestire il patrimonio archeologico.
Così, poi, nel suo diario di viaggio sui social, continua la descrizione della tappa mesagnese: “Dal parco archeologico di Muro Tenente andiamo a Mesagne in un paesaggio a tratti spettrale. Ulivi secolari potati selvaggiamente, bruciati oppure eradicati fanno stringere il cuore. Il colpevole, naturalmente, è la Xylella e questa ferita nel paesaggio pugliese è certo tra le più dolorose cui assistiamo lungo il cammino dell’Appia. Chissà che ne avrebbe scritto Antonio Cederna (N.D.R.: archeologo, giornalista, urbanista, attivista di associazioni, parlamentare e amministratore pubblico, che ha dedicato l’intera sua esistenza all’impegno per la difesa del patrimonio storico-artistico e paesaggistico del nostro paese. Fondamentale fu la sua battaglia per la salvaguardia della Via Appia Antica, a cui dedicò oltre 140 articoli contro abusi edilizi ed incuria). In centro, intorno a un tavolo mi aspettano gli stessi nuovi amici di Muro Tenente più altri come Christian Napolitano, David Seta dei Chromophobia e altri ancora. Ma il protagonista assoluto, oltre a tutto il resto che precede e segue, sono le orecchiette al ragù con la farina integrale del senatore Cappelli. Benedetto Sud che ci prendi per la gola! Vado a posare per l’ultima volta lo zaino nel luogo dove stavolta pernotterò. E cioè il magnifico ex convento dei Cappuccini, di proprietà comunale e affidato in gestione all’ISBEM che senza scopo di lucro lo valorizza proponendosi come polo di ricerca, formazione e servizi avanzati nel campo biomedico. Ad accogliermi con ospitalità squisita trovo il professor Alessandro Distante, che fotografo davanti a un delizioso altare barocco nella chiesa sconsacrata. Nel cortile, foto di rito con alcuni giovani ospiti tra cui un ragazzo indiano. Ma c’è un centro storico tutto da scoprire e non mi perdo di certo l’occasione, in compagnia di Giovanni Guarini e con la guida di un vero conoscitore di luoghi e in particolare dell’analisi dei simboli come Antonio Pasimeni. È un viaggio da capogiro tra croci templari e aquile a due teste, chiese barocche e serpenti, stemmi araldici e teste di ciclopi. Tre giorni fa è stato consegnato il dossier di candidatura di Mesagne a capitale italiana della Cultura 2024. Non male per una cittadina un tempo definita dai giornali capitale della sacra corona unita. Il minimo? Sono gli auguri!”
Giulio comunica che la partenza verso la destinazione finale è fissata per le nove di domenica mattina da Porta Grande, nei pressi del castello di Mesagne e, dopo due minuti, l’equipaggio brindisino è già al completo, a me e Claudio Fornaro si sono aggiunti Giovanni Membola e la moglie Stefania, soci di Italia nostra e l’amico Roberto Romeo che quando c’è da andare a curiosare in giro è sempre pronto e disponibile.
Parcheggiata l’auto nei pressi della Villa Comunale arriviamo puntuali all’appuntamento: oltre a Giulio, un gruppetto di amici mesagnesi, composto da Giovanni Guarini, l’archeologa Ilaria Ricci, Massimiliano Cacciatore, Sergio Camassa e lo storico dell’arte Domenico Ble, che già lo avevano accolto il giorno prima e che ci scorteranno fino alla periferia di Brindisi; ma, prima della partenza riceviamo anche la benedizione laica dell’onorevole locale, il deputato Giovanni Luca Oresta.
A farci da Cicerone nel primo tratto di strade e tratturi c’è Franco Bianco, di professione giardiniere, ma grande cultore della storia e delle tradizioni della sua Mesagne di cui è profondamente innamorato, che ci intrattiene con i suoi “culacchi” (termine che ha destato molta curiosità nel nostro ospite romano e che gli ho personalmente tradotto come “storielle interessanti e divertenti tali da catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore”) e che in barba ai suoi 71 anni procede spedito come e più degli altri indicando questa o quella zona di campagna racconta, rapito, dei suoi anni giovanili e delle scoperte archeologiche fatte mezzo secolo addietro: dalla classica pignatta in terracotta colma di monete ad un balocco di bronzo avvitabile della forma di cavallo, finito chissà in quale museo lontano o collezione privata.
Tanto e tale è la sua enfasi per l’amata Mesagne che anche quando siamo abbondantemente in agro di Brindisi ogni cosa che vede e che illustra è come se appartenesse a Mesagne: dal bosco dei Lucci, caro certamente ai mesagnesi, ma inequivocabilmente in territorio brindisino, alle varie masserie incontrate o intraviste lungo il percorso: Albanesi, San Giorgio, dove dapprima ci abbaiano contro dei grossi maremmani e poi incrociamo un bel drappello di oche starnazzanti a cui, evidentemente, quei cani facevano la guardia, Matagiola e Masina, sede di importanti ritrovamenti archeologici.
Solo quando parla dell’accoglienza che il Re d’Italia Vittorio Emanuele III ha avuto fra il settembre 1945 ed il febbraio 1946 (gli anni in cui Brindisi fu capitale d’Italia, e la sua frequentazione di Villa Pignicedda, la bella dimora cinquecentesca aggiornata in stile liberty ad opera del già sindaco e potestà, ma anche filantropo e benefattore, Serafino Giannelli e la bella Lancia Aurelia che aveva messo a disposizione e che ancora esiste) non riesco a trattenere i miei amici che sbottano all’unisono facendogli notare che Giannelli, il Re, Villa Pignicedda ed anche tanto di ciò che avevamo visto ed attraversato nell’ultima ora di cammino appartiene alla storia e al patrimonio di Brindisi!
Ovviamente tutto fra quattro risate perché Brindisi e Mesagne, mesagnesi e brindisini, si vogliono troppo bene, sono strettamente legati tra loro da quel filo imperituro che si chiama via Appia e si sentono sinceramente figli della stessa terra.
Commentando le marche delle numerose bottiglie di birra che ignoti imbecilli hanno gettato ai margini della strada lungo tutto il percorso, si nota la differenza fra i tarantini, che prediligono la Raffo ed i brindisini, che preferiscono la Dreher o, meglio, come si usa pronunciare dalle nostre parti, la Dreker.
Arrivati in prossimità dello svincolo sotto la Statale 7 il drappello di mesagnesi ci lascia per far ritorno nella loro bella cittadina e, almeno a loro, ma non all’ospite venuto a piedi da Roma, è risparmiata la vista delle centinaia di metri di rifiuti di ogni genere che sono disseminati, senza che nessuno da chissà quanto tempo li raccolga, ai bordi del tratto di complanare prima del sottopasso che conduce al Centro Commerciale “Le Colonne”.
Preso da fame improvvisa Claudio fa una proposta davvero sconcia, cercando di convincerci ad effettuare una piccola deviazione per prendere un panino da Mc Donald… della serie come rovinare l’atmosfera romantica di un lungo viaggio nel cuore dell’Italia centromeridionale, fra tradizioni e civiltà di antichi popoli, in un istante! Facciamo finta di crederci che aveva scherzato e andiamo avanti, passando dietro l’Ospedale Perrino, fino a giungere al primo cartello stradale che indica l’ingresso nella città di Brindisi: selfie di rito e proseguiamo spediti lungo la recinzione esterna del parco Cesare Braico, verso l’accesso principale dalla via Appia.
Qui chiedo a Giulio di fermarsi un attimo per fare un regalone a me ed ai tifosi di calcio del Brindisi, posando davanti al gigantesco murales realizzato dalla Curva Sud sulle mura esterne di un autolavaggio: lo fa volentieri anche se ci tiene a precisare che, in cuor suo, di calcio non gli interessa davvero un piffero.
Come di incanto Giulio si ferma, affascinato dalla rotatoria fatta di prato inglese, essenze mediterranee, olivi secolari, tronchi imbiancati come monumenti, asfalto e ponti ed anche dalla enorme insegna di un supermercato in cui sono raffigurate le vestigia della antica via Appia dal Colosseo ai viadotti romani fino alle rappresentazioni di Tarentum e Brundisium; probabilmente stanco di vedersi indicare sempre e soltanto reperti archeologici, il suo fine occhio di fotografo trova soddisfazione ad ammirare i dettagli e le atmosfere di ciò che per noi è solo l’incrocio della morte, un luogo grigio da evitare quando si è in auto, specie nelle ore di punta.
Incontriamo anche il maestro Cosimo Prontera, insigne organista e cultore della musica barocca, in inconsueta tenuta ginnica che scambia volentieri quattro parole, chiarendo subito al suo interlocutore di essere, nonostante tutto quello di pomposo che avevamo detto di lui in sede di presentazione, una persona del tutto normale!
Il sottopassaggio che da via Appia porta verso il centro della città, le cui pareti sono state di recente affrescate da Mr.Wany, al secolo Andrea Sergio, artista internazionale nativo di Brindisi, non passa inosservato; ancora qualche passo e giungiamo a Porta Mesagne dove un gruppo di soci di Italia Nostra capeggiati dalla presidente Maria Ventricelli, tributa il primo caloroso applauso al pellegrino laico – come lui stesso ama definirsi – quasi in dirittura d’arrivo.
L’ultimo miglio, quello all’interno delle cinta muraria, viene percorso lentamente e a zigzag, per consentire a Giulio Ielardi, di farsi una idea del patrimonio monumentale cittadino ed anche perché l’aereo con cui arriverà da Roma la sua compagna aveva due ore di ritardo: dalla Chiesa di San Benedetto, purtroppo, stante l’orario, chiusa ma bella e particolare anche vista dall’esterno, alla visita completa al tempietto ed al giardino di San Giovanni al Sepolcro, per fortuna regolarmente aperti. Non così gli scavi archeologici sotto il teatro Verdi che oltre ad essere chiusi erano anche, in quel momento non illuminati. Per salvarmi in calcio d’angolo lo portiamo a vedere gli scavi di via Casimiro che, fortunatamente sono sempre in vista e che, evidentemente, suscitano la sua curiosità se è vero, come è vero, che tira fuori dallo zaino la macchina fotografica buona. Ci dirigiamo verso piazza Duomo passando dalle stradine interne, cercando le parole giuste per far comprendere ad un romano di Roma il fine concetto di “case a cannizzo”, ma non è per niente semplice.
Piazza Duomo con la splendida Loggia Balsamo, il palazzo del seminario appena ristrutturato, la Cattedrale con il suo bel campanile, il Portico dei Tempari ci accolgono con il sole che fa finalmente capolino tra le nuvole. Il respiro di Giulio si strozza in gola quando, da sotto l’arco del Duomo intravede il capitello della colonna romana terminale della via Appia, la agognata meta del suo lungo viaggio.
Anche se qualcuno non vede più per la fame, siamo ancora in anticipo di qualche minuto rispetto all’appuntamento che Giulio ha con la compagna Judith proprio sotto le colonne, per cui prima visitiamo il Duomo, i resti dei suoi mosaici tanto simili a quelli della cattedrale di Otranto e poi gli altari e le statue dei due Santi Patroni che proteggono la città – il brindisino doc, San Lorenzo, e, giusto per restare in tema il soldato romano San Teodoro le cui spoglie mortali, a differenza del primo, sono custodite a Brindisi – poi ci intrufoliamo nel cortile del museo Ribezzo dove una simpatica impiegata riconosce, da dietro la finestra, Giulio Ielardi e, dopo avermi chiesto conferma che si trattava proprio dello scrittore/fotografo che aveva percorso a piedi la via Appia, si è catapultata in cortile per una foto ricordo.
Sono le quindici quando percorre gli ultimi dei 630.000 metri di strada che separano, anzi uniscono, Roma e Brindisi e fra abbraccio con Judith e vista delle colonne terminali della via Appia con affaccio sul mare, la sua emozione si taglia a fette, per qualche minuto è come stordito e tramortito. Un salutare tuffo e quattro bracciate nell’acqua del porto lo restituiscono alla realtà ed alla consapevolezza della sua impresa: ce l’ha fatta, Giulio ce l’ha fatta!
Concludo utilizzando le stesse parole con cui ha suggellato il suo cammino sui social: “Il tempo di cambiarsi e presso la sala della Colonna di Palazzo Nervegna è già ora di raccontare, stavolta in carne e ossa, all’incontro organizzato da Italia Nostra cui partecipa senza perderne un minuto il sindaco Riccardo Rossi. La sala è piena, il viaggio a piedi lungo la Regina Viarum muove i sentimenti. Io francamente non so se e quando il Cammino dell’Appia saprà superare tutti gli ostacoli e prendere per davvero il largo. Diventare il capofila dei trekking italiani di lunga percorrenza. Costruire una comunità lineare capace di interpretare il vero riscatto del Sud. Aiutare il cambiamento di cui ha bisogno il mio Paese. Per certo so che ha cambiato me”.
Ed in qualche modo, caro Giulio, stanne certo, hai cambiato anche noi che abbiamo avuto la ventura e la fortuna di dividere un sia pur breve tratto di strada con te.