di Alessandro Caiulo per IL7 Magazine
Il mare di Brindisi, lo sappiamo, è pieno di relitti, relativi sia ad antichi navigli rimasti vittime nei secoli e millenni scorsi del mare procelloso, sia a navi commerciali o militari colpite ed affondate dal fuoco nemico nel corso degli ultimi conflitti mondiali: di molti di essi non resta molto da visitare in quanto i bastimenti di legno si sono quasi dissolti, mentre alcune navi più recenti – come ad esempio, Asmara, che è quella di cui vogliamo occupare oggi – sono state in gran parte recuperate come rottame ferroso, altre sono sorprendentemente intatte, addirittura poggiate sul fondo in assetto di navigazione ed altre ancora a profondità così abissali che è praticamente impossibile poterli visitare in immersione.
Era la sera del 10 agosto 1943 quando l’Asmara – una imponente nave frigorifera, lunga quasi 140 metri e larga 17, varata in Inghilterra nel 1914 ed utilizzata per anni nella spola fra il Sud America e l’Inghilterra per trasportare nel vecchio continente migliaia di tonnellate di gustosa carne argentina, per poi essere acquistata nel 1935 dalla Regia Marina Italiana per essere utilizzata come nave sussidiaria e rifornire di vettovaglie le guarnigioni militari dislocate nei territori di fresca conquista militare di Grecia e d’Albania – fu colpita a poppa da un siluro lanciato dal sommergibile britannico “Unshaken” mentre, proveniente da Taranto e diretta a Bari, transitava davanti al porto di Brindisi.
In soccorso dell’Asmara giunse la Torpediniera Francesco Stocco che, lanciando una gran quantità di bombe di profondità, fece allontanare l’aggressore e, probabilmente, provò anche a trainarla a riva ma, lo spostamento del carico e la gran quantità di acqua imbarcata dallo squarcio a poppa, ne provocarono prima lo sbandamento e poi il capovolgimento.
Dei 157 uomini di equipaggio, 143 furono portati in salvo incolumi, 12 feriti più o meno gravemente, mentre il marinaio Vittorio Carcerieri fu recuperato cadavere e del povero fuochista Enrico de Martino non si trovò alcuna traccia e fu dichiarato disperso in mare.
Il giorno successivo, quando ormai non c’era più nessuno a bordo, l’Asmara si inabissò a tre miglia da Brindisi, su un fondale sabbioso ad appena 18 metri di profondità.
Triste fine per una nave che, anche storicamente, ebbe un certa importanza dal momento che come ricorda nei suoi avvincenti racconti bellici ambientati in Grecia il grande architetto navale, da poco scomparso, Franco Harrauer, l’Asmara, la quale stazionava spesso nei pressi del Dodecanneso con il suo prezioso carico di vettovaglie, con cui periodicamente riforniva le navi del regio naviglio di guerra della Marina Militare Italiana, stante la sua origine di nave civile adibita anche a trasporto passeggeri per viaggi transoceanici, era dotata di ogni confort ed anche di una vera e propria sala da pranzo, nulla a che vedere con lo stile disadorno delle unità da guerra, e tutti i suoi ambienti erano accoglienti, ventilati ed illuminati. E dal momento che il cibo a bordo non mancava e che la prima scelta delle allora rarissime bistecche e degli altri tagli pregiati di carne spettava agli ufficiali, per due anni e più, le riunioni ed i meeting di ogni tipo fra i graduati italiani si tennero a bordo di questo ospitale piroscafo, su cui furono prese le più importanti decisioni relative alle strategie militari belliche da attuare in concreto.
E che questo non sia frutto della fantasia e della penna dell’architetto-scrittore è documentato da dispacci ufficiali della Regia Marina da cui risulta, ad esempio, che l’Asmara, nel dicembre del 1940, ospitò a bordo gli uomini componenti la leggendaria X Flottiglia MAS, riuniti per preparare i dettagli dell’attacco con barchini esplosivi alla baia di Suda, conclusosi con l’affondamento di due unità da guerra nemiche. L’anno successivo gli incursori della X MAS furono nuovamente ospitati a bordo prima della vittoriosa battaglia navale di Alessandria d’Egitto, nel corso della quale furono affondate due corazzate, fra cui la mitica Queen Elisabeth, un cacciatorpediniere ed una nave cisterna britannici.
All’Asmara ed agli incursori del X MAS, Franco Harrauer ha dedicato un bellissimo disegno per illustrare una delle sue raccolte di racconti bellici “Araxos”
Un importante ruolo, l’Asmara, lo ha avuto anche dopo il suo affondamento: fu, infatti, anche grazie a lei ed al suo ferro, che poterono ripartire molte industrie al momento della riconversione post bellica: la bassa profondità ove giaceva il relitto, infatti, consentì, nel 1945, agli allora giovanissimi fratelli Domenico e Giovanni Barretta, all’epoca palombari, di recuperare migliaia di tonnellate di rottami ferrosi, la cui quotazione era salita alle stelle, che furono venduti alle grandi industrie settentrionali; basti pensare che industriale bresciano pagò per quella che era solo una parte del relitto, ben 40 milioni di lire dell’epoca che, calcoli alla mano, corrisponde ad oltre un milione di euro attuali che, sapientemente investiti, insieme alle altre somme ricavate dal relitto, portarono all’acquisto del primo rimorchiatore della famiglia Barretta ed ebbe così inizio la storia di questa grande azienda brindisina che oggi può contare su una grande flotta e alla cui ammiraglia è stato dato, non a caso, il nome di Asmara.
Dopo le operazioni di recupero, della grande nave frigorifera è rimasto ben poco, ma l’immersione sui suoi resti, come su tutti i relitti, è davvero suggestiva: appena ci si cala in mare, dato che la visibilità è perfetta, è sufficiente mettere la testa sotto il pelo dell’acqua per intravedere subito i resti della nave che giacciono sul fondo.
Dal momento che tutto intorno, per un raggio di chilometri, il fondale è sabbioso, il relitto ha fatto da catalizzante per tantissime forme di vita – spugne, coralli, alghe e, poi, via via, molluschi, crostacei, pescetti, salendo nella catena alimentare, fino ai grandi predatori – che hanno colonizzato i resti della nave e reso particolarmente popoloso e pescoso questo piccolo tratto di mare appena fuori dal porto di Brindisi.
Sono migliaia le castagnole o rondinelle di mare che, come una nuvola nera sempre in movimento, sorvolano i resti della nave e chi la visita, senza mai allontanarsi più di uno o due metri dal fondo e dai numerosi rifugi prodotti dalle lamiere contorte, consapevoli come sono, questi piccoli pescetti, di essere le prede preferite di una gran quantità di pesci più grossi, specialmente grossi dentici ricciole ed anche barracuda, che per questa ragione sono anche essi attratti dalla presenza del relitto e da tutto ciò che ne consegue: insomma, un sorta di oasi sottomarina in un deserto di sabbia!
Bellissima e poetica è la descrizione che ne diede un grande ricercatore di relitti subacquei nonché noto scrittore di cose di mare, Pietro Faggioli, allorquando lo scopritore di relitti brindisino Stefano Maghelli lo condusse sull’Asmara: “dalla sabbia si alzano le ordinate stravolte della nave che sembra lo scheletro di un enorme cetaceo”, già perché dopo il recupero delle grandi lamiere di metallo che fasciavano la nave ciò che è rimasto ora dell’Asmara in fondo al mare da sessanta anni a questa parte è, oltre a chilometri cavi metallici aggrovigliati e pezzi più o meno indecifrabile di metallo contorto sparsi qua e là nel raggio di centinaia di metri. resi quasi irriconoscibili dalla stratificazione di incrostazioni coralligene che li rendono simili a rocce contorte ed il suo enorme scheletro lungo ed imponente per quanto era lunga ed imponente la nave.