Brindisi bizantina: per due secoli città “quasi” senza una storia propria

di Gianfranco Perri

Durante circa due secoli, dalla riconquista– anche detta “seconda conquista” – bizantina del Meridione italiano dell’885, fino alla definitiva conquista normanna del 1071, Brindisi appartenne all’Impero d’Oriente, compresa nel possedimento bizantino del “Thema di Longobardia”, integrante poi a sua volta del “Catepanato d’Italia”.
Ebbene, dei trascorsi cittadini durante quei tantissimi – ben duecento – anni si sa concretamente molto poco, quasi nulla, sia in termini di vita politica, o economica, o militare, o religiosa, eccetera, e sia in termini di vita sociale: non è pervenuto neanche un solo nome di un qualche personaggio brindisino di oggettivo rilievo, che in tutti quegli anni abbia compiuto gesta meritevoli di entrare nella storia o, quanto meno, azioni tali da lasciarne una qualche traccia nella cronaca. Incredibile, ma – apparentemente – vero, perlomeno a giudicare da quanto reperibile nelle fonti bibliografiche disponibili, che dovrebbero in buona misura riflettere quanto rilevato nelle fonti documentarie pervenute su quel lungo periodo storico.

Quando ho prospettato la mia stranezza in relazione a tale apparentemente anomala situazione al professor Gennaro Tedesco, eminente studioso esperto di storia dell’Italia meridionale bizantina autore di innumerevoli ricerche e pubblicazioni sul tema, egli mi ha risposto quanto – in sintesi – segue:
«… L’Impero Romano d’Oriente aveva il suo fronte principale in Oriente e sempre in Oriente era concentrata non solo la sua forza militare, ma anche quella economica. Difendere il confine orientale dell’Impero era assolutamente il primo e il principale obbiettivo strategico imperiale. Per Bisanzio i veri reali nemici erano gli Arabi. Il confine occidentale localizzato nell’Italia meridionale, pur importante, era del tutto secondario nella strategia politica e militare dell’Impero romano d’Oriente. Bisanzio spendeva molto poco per il confine occidentale e non aveva intenzione di sprecare truppe, navi e finanze per contrastare i Longobardi che aveva sempre considerato popolo barbaro neanche lontanamente paragonabile ai molto più pericolosi e civilizzati Arabi dislocati al suo confine orientale. E conseguentemente non è da enfatizzare troppo – vista da Bisanzio – l’importanza della barbarie longobarda. Barbari – i Longobardi, come poi anche i Normanni – che in effetti non hanno mai compreso la politica mondiale di Bisanzio e la conseguente necessità imperiale di razionalizzare e risparmiare forze per altri scacchieri internazionali ben più determinanti, come i Balcani, Creta, le Isole Egee, l’Anatolia, la Siria e la Mesopotamia… La carenza delle fonti – quanto meno quelle bizantine – su Brindisi che Lei nota, può quindi essere dovuta innanzitutto alla secondarietà non solo di Brindisi, ma anche di tutta l’Italia meridionale nella prospettiva strategica imperiale volta a privilegiare Oriente e Balcani. I cronisti e gli storiografi bizantini scrivono storie e cronache universali da intendere anche nel senso di opere che descrivono eminentemente tutti quei fronti su cui ufficialmente la dirigenza bizantina punta i riflettori della sua strategia e della sua geopolitica mondiale, oscurando conseguentemente tutti quei luoghi che non sono illuminati dai riflettori. E quando cronisti e storiografi bizantini si interessano dell’Italia meridionale, essi descrivono non le singole città, ma tutto l’insieme dell’Italia meridionale considerata, probabilmente anche giustamente, da un punto di vista globale e non particolare o frammentario o, peggio ancora, locale o localistico, come invece fanno i Longobardi o i Normanni le cui cronache sono le cronache di quello che succede nel cortile della loro micro-politica parrocchiale e localistica, avulsa dal contesto di qualsiasi prospettiva strategica globale e mondiale… E, ritornando alla carenza delle fonti su Brindisi, se mai ci sono stati documenti locali sulle vicende brindisine in epoca bizantina, bisogna ricordare che Normanni e Papato dall’XI secolo hanno iniziato nel Sud Italia un processo di ri-latinizzazione forzata delle popolazioni ortodosse che nel Sud erano in maggioranza, facendo di tutto per cancellare quella importante presenza ortodossa e bizantina nel Sud. Gennaro Tedesco.»

Abbastanza chiaro, direi. Non resta, a questo punto, che riordinare quei pochi e frammentari dati disponibili sulla bisecolare Brindisi bizantina e quindi accomunarli a quelli conosciuti attinenti al contesto più generale del meridione bizantino in cui, pur se apparentemente in penombra, la città rimase più o meno saldamente integrata durante tutti quei, comunque lunghi, duecento anni. Facendo precedere il tutto da una breve introduzione storica circa gli eventi che portarono alla citata “seconda riconquista”.
Nel 553 d.C. la ventennale guerra greco-gotica si era conclusa con la vittoria dei Bizantini dell’imperatore Giustiniano e con la sottomissione dell’intera penisola italiana, ma dopo pochissimi anni quella vittoria si rivelò essere stata del tutto pirrica, giacché a partire dal 568 i nordici Longobardi penetrarono in Italia e dilagarono occupando Pavia, che divenne la loro capitale. Quindi, si infiltrarono nel Sud della penisola e si insediarono a Spoleto e a Benevento, dove fondarono due potenti ducati. I Bizantini organizzarono la difesa in prossimità delle coste e intorno ad alcune città fortificate, riuscendo inizialmente a conservare la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, Roma, l’esarcato di Ravenna con la Pentapoli e il Ducato di Calabria, che comprendeva il Bruzio, parte della Campania e della Apulia e tutta la Calabria – l’attuale Salento – con le sue importanti città costiere di Brindisi, Taranto, Gallipoli, Castro e Otranto, la capitale del ducato che elevata a centro del potere regionale bizantino divenne un polo dinamico e di rilievo, affermandosi come emporio del Meridione rimasto bizantino.

In seguito, però, dopo meno di cento anni dall’arrivo dei Longobardi in Italia, i presidi meridionali bizantini si erano notevolmente ridotti, essenzialmente limitati alla Sicilia, a Napoli, Amalfi, Gaeta, Sorrento, alla parte nord del Bruzio, alle città costiere pugliesi di Trani e Bari e a quelle salentine: Otranto, Castro, Gallipoli, Taranto e Brindisi. Nel 663 l’imperatore d’Oriente Costante II salpò da Costantinopoli per intraprendere la riconquista dell’Italia sbarcando a Taranto e, risalita la Puglia, pose l’assedio a Benevento senza però riuscire a espugnarla. Quindi, sulla via del rientro in patria, fu assassinato in Siracusa. Dopodiché, il duca di Benevento Romoaldo I intraprese la riconquista delle città perdute e ne conquistò anche di nuove tra cui, intorno al 680, Taranto, Oria e Brindisi, sulla cui direttrice, per due secoli circa, tra 685 e 885, si sarebbe stabilito – rimanendo comunque alquanto evanescente – il limes sudorientale longobardo con l’adiacente territorio rimasto bizantino.
I Longobardi, la cui influenza si stemperava nel Salento settentrionale e svaniva del tutto da Otranto in giù, non furono in grado di riempire del tutto il vuoto di potere che nella fascia intermedia pur lasciava la debole amministrazione bizantina e di conseguenza, Bisanzio non cessò di considerare la situazione pugliese come una guerra interrotta, programmandone e, infine, completandone la riconquista a fine secolo IX. Longobardi che comunque, con l’intento di sottrarre le popolazioni locali all’influenza culturale dei Bizantini, portarono avanti una costante opera di penetrazione nella mentalità, nel costume e negli ordinamenti giuridici delle popolazioni indigene. Così, principalmente intorno a Brindisi – per due secoli città limes settentrionale dei possedimenti bizantini nel Meridione d’Italia – Longobardi, Apuli e Salentini, in tutti quegli anni finirono accomunati per le abitudini, gli interessi, le culture e le religioni di entrambe le parti e, comunque, per il diritto consuetudinario longobardo che specialmente in materia matrimoniale regolamentava i rapporti tra le persone.

Nell’880, su richiesta del papa Giovanni VIII, l’imperatore Basilio I fondatore della dinastia macedonica, mentre una sua forte armata navale al comando di Nasar respingeva i musulmani dalle isole Ionie e passata nel Tirreno riportava altre notevoli vittorie, inviò in Italia anche un forte esercito bizantino che sbarcò sulla punta della penisola al comando del suo più prestigioso condottiero Niceforo Foca per difendere, dalle ormai divenute incontrollabili scorribande dei saraceni, i territori bizantini della Calabria la Lucania e la Puglia. Niceforo Foca, rioccupò Santa Severina, Tropea e Amantea in Calabria, respingendo i saraceni in Sicilia senza però riuscire a liberare l’isola dall’occupazione araba; quindi, risalendo fino in Puglia, espugnò Taranto, conquistò anche i territori longobardi della Basilicata, mentre il principato di Salerno e quello di Benevento divennero vassalli dell’impero bizantino; e infine, giunse fino a Nord di Bari, portando così a termine la riconquista iniziata qualche anno prima e ottenendo di fatto il ritorno di quasi tutta l’Italia meridionale sotto il controllo di Bisanzio.

E fu quindi nel contesto di quella lunga campagna condotta contro Arabi – e Longobardi – che, dopo Taranto, anche Brindisi intorno all’885 tornò sotto il formale controllo dei Bizantini. Nell’886 l’imperatore Basilio I morì e gli succedette il figlio Leone VI, il quale richiamò il vittorioso generale Niceforo Foca nominandolo comandante supremo dell’esercito imperiale e questi s’imbarcò da Brindisi alla volta di Costantinopoli con gran parte del suo esercito e lasciando alla città tutti i prigionieri longobardi, avendoli con un sotterfugio sottratti magnanimamente alla schiavitù e rendendoli così potenzialmente utili alla eventuale ricostruzione cittadina.
Nel trascorso dell’892 i Bizantini fondarono il Thema di Longobardia con capitale Bari, affiancato da quello di Lucania con capitale Tursi e quindi da quello di Calabria con capitale Reggio. Il Thema di Longobardia – che occupando un territorio più esteso dell’attale Puglia incluse Brindisi – il cui nome gli derivava dalla massiccia presenza di insediamenti longobardi, aveva più o meno i seguenti confini: a Nord il fiume Fortore; ad Ovest gli attuali, anche se allora alquanto agitati, confini lucano-campani; a Sud-Ovest lo Ionio e a Sud-Est l’Adriatico. “Numerosi erano i centri urbani, di cui però non riusciamo ad intravedere una precisa divisione amministrativa; essi erano Trani, Brindisi, Taranto, Otranto, ed altri ancora. Il tema di Longobardia era fondamentalmente abitato da due gruppi etnici molto diversi: i Greci nella parte meridionale, la Terra d’Otranto, i Longobardi più a Settentrione. Nel tema erano presenti anche popolazioni slave, nei pressi del Gargano, amministrate da zupani. Per un certo tempo la zona settentrionale della Longobardia dovette rimanere suddivisa in gastaldati, tipici dell’amministrazione longobarda, ma in seguito anche questa zona, come tutte le altre del tema, fu ripartita in turme, e parte anche in drungoi. La documentazione disponibile sulla divisione amministrativa del territorio della Puglia, la Longobardia del tema appunto, non ci consente andare oltre queste limitate informazioni”. [L’Italia Meridionale Bizantina nella storiografia più recente di Gennaro Tedesco, 2000]

Il Thema era governato dallo stratego, il comandante militare nominato direttamente dall’imperatore investito di poteri militari e civili, che risiedeva nella capitale Bari. Da lui dipendevano gli ufficiali delle circoscrizioni minori, essi pure forniti di poteri militari e civili. In Longobardia, comunque, i Greci si occuparono specialmente dell’organizzazione militare, lasciando agli abitanti il loro diritto e alcune delle loro istituzioni e perciò, nei territori che erano stati dei Longobardi – praticamente quindi da Brindisi inclusa in su – l’azione ellenizzante del nuovo governo fu in genere scarsamente sentita. Il greco non fu adottato come lingua, mentre rimase largamente in uso il diritto longobardo e sopravvissero anche alcune delle altre istituzioni longobarde.

Qualche anno dopo la fondazione del Thema di Longobardia, praticamente terminando il primo millennio, si portava a compimento la costruzione politico-amministrativa e militare intrapresa più di un secolo prima, accentrando i tre temi, di Longobardia, Lucania e Calabria, nel Catepanato d’Italia sotto il comando del catepano nominato direttamente dall’imperatore, residente in Bari e dai cui ordini dipendevano ora i tre strateghi: uno per ognuno dei tre temi costituenti il catepanato. All’interno della città fortificata di Bari si trovava il centro militare giudiziario e fiscale del catepanato, con la residenza del catepano – asty praitorion – che oltre alla dimora in sé comprendeva anche alcuni uffici, una caserma per la guarnigione della città, una prigione, chiese e cappelle, nonché le terre coltivabili poste all’interno della cinta. Fu il catepanato, l’organizzazione amministrativa bizantina più avanzata che ebbe il Meridione italiano, corrispondendo alla tappa finale della evoluzione che aveva sperimentato nel tempo l’ordinamento amministrativo dell’impero. Evoluzione che [dalla Geografia amministrativa del Catepanato bizantino d’Italia di André Guillou, 1974] è così sintetizzabile:
“Nel VII secolo il governo di Bisanzio introdusse l’istituzione dei ‘temi’. Una istituzione che fu poi generalizzata nel IX secolo, quando tutto il territorio dell’impero – meridione italiano incluso – risultò ripartito in circoscrizioni amministrative – themata – politico-militari rette ognuna da funzionari militari e civili posti alle direttive di un militare d’alto grado, lo ‘stratego’. Il tema costituiva, di fatto, un reale decentramento del potere, con un’amministrazione ed un esercito propri, quest’ultimo reclutato tra la classe agiata dei proprietari fondiari, i quali, in cambio di esenzioni fiscali erano tenuti a rispondere ad ogni ordine di mobilitazione e a provvedere al corrispondente equipaggiamento e mantenimento. Ogni tema era suddiviso in turme, aventi a capo i turmarchi e ogni turma, infine, era suddivisa in drungoi o banda-topoteresiai. Successivamente, il governo bizantino ritornò al sistema dell’accentramento militare, rimpiazzando progressivamente l’esercito dei temi reclutato tra gli indigeni, con un esercito composto da soldati di mestiere – tagmata – comandato localmente dagli ‘strategos’ e nel secolo X sottoposto al comando supremo di due Domestikos, quello delle Scholae d’Oriente e quello delle Scholae d’Occidente. Con tale ri-accentramento militare, comunque, gli antichi temi amministrativi persistettero e vennero allora retti da funzionari civili, i kritai, non più dipendenti come un tempo dallo stratego, divenuto a sua volta ufficiale subalterno. Con l’istituzione infine – tra la fine secolo X e gli inizi del secolo XI – del Catepanato, l’accentramento non solo fu militare, ma si estese su tutto comportando una nuova riorganizzazione del territorio. Infatti, il catepano, capo supremo dell’esercito, controllava anche l’amministrazione del territorio alla quale collaboravano ufficiali militari bizantini e personalità civili locali messesi al servizio dell’impero. Innanzitutto, gli strategos che ebbero così anche funzioni amministrative, e i tassiarchi che si sovrapposero ai turmarchi e via via altri funzionari di rango inferiore.”

Per la città di Brindisi e per i suoi abitanti, tutta questa bisecolare amministrazione bizantina non sembrerebbe – perlomeno non ve n’è molta traccia nelle fonti disponibili – aver comportato una sostanziale evoluzione della situazione generale, neanche al confronto con quella, di fatto oscura e probabilmente molto misera, che l’aveva preceduta: quella cioè che l’aveva caratterizzata durante l’altrettanto bisecolare amministrazione longobarda. Quel ritorno – dopo due secoli – dei Bizantini a Brindisi fu seguito solo da timidi e presto interrotti segnali di rinascita quando, alla fine di quel secolo IX, si iniziò la ricostruzione extra-moenia della piccola chiesa di San Leucio impulsata dal vescovo oritano Teodosio in occasione del ritorno in città di una parte delle reliquie sottratte dai Tranesi, i cui lavori ebbero conclusione ai primi del secolo successivo allorché si ebbe la consacrazione a opera di Giovanni, vescovo titolare di Canosa. Durante quello stesso X secolo, la popolazione brindisina di sua iniziativa intraprese anche la costruzione di un’altra chiesa – forse di San Basilio – localizzata nei pressi dell’imboccatura del porto sulla cresta della collina di ponente con annessa un’alta torre, una specie di faro per i naviganti, eretta in omaggio e ringraziamento al condottiero Niceforo Foca. Ma poi, quasi null’altro: per tutto il secolo si hanno solo rade se non nulle notizie di transiti o approdi nella rada di Brindisi, eccezion fatta, nel 908, per le reliquie di Santa Marina e Margherita d’Antiochia che il monaco benedettino pavese Agostino trasferì da Costantinopoli, ove erano state conservate nella chiesa della Madonna del Mare, in Italia. In più, le coste adriatiche erano ritornate ad essere ripetutamente preda dei pirati saraceni, ai quali si alternarono anche quelli slavi, che nel 922 assaltarono per la prima volta Brindisi, dove ritornarono ancora nel 925 e poi nel 926 e dove, nel 929, vi giunsero anche quelli schiavoni. É infine da segnalare che, probabilmente intorno al 1000, sull’isola di Bara prospicente il porto, iniziò ad essere edificata l’abbazia basiliana di Sant’Andrea le cui strutture, completate poi dai benedettini, andarono completamente perdute nel corso della prima età moderna.

Anche nell’ambito strettamente ecclesiastico, comunque, Brindisi non ebbe un reale protagonismo, priva, come lo era fin dai primi tempi del dominio longobardo, della sede vescovile. Completata la riconquista e morto nell’895 il vescovo oritano Teodosio, che se pur fedele alla Chiesa di Roma aveva comunque mantenuto un precario equilibrio con quella di Costantinopoli, l’organizzazione ecclesiastica dei territori della diocesi – di Oria e Brindisi – divenne instabile e condizionata dalle vicende politiche in corso, rimanendo di fatto regolata da entrambe le giurisdizioni, quella latina e quella bizantina. Il vescovo di Canosa coagulava e guidava i latini da Bari, dove aveva trasferito la sua sede e dove di fatto esercitava da metropolita con l’obiettivo di contrastare e contenere l’azione del metropolita di Otranto, cui era invece fedele il vescovo che era in Oria riconosciuto da Bisanzio: Andrea, succeduto da Gregorio e questi da Giovanni, titolati tutti vescovi di Oria, Brindisi, Ostuni e Monopoli. Contemporaneamente, vescovo di Brindisi però latino e residente in Bari, fu Giovanni, arcivescovo di Canosa cui successe Paone. In Oria, al vescovo Giovanni succederono il greco Leonardo, il latino Eustachio e poi ancora un altro greco, Gregorio fino al 1080. Poi, con la conquista normanna, ci fu il ritorno della diocesi di Oria Brindisi alla chiesa latina e così, dopo Gregorio fu nominato arcivescovo di Brindisi e Oria Godino, un benedettino che fu il protagonista del ritorno della sede vescovile, già divenuta arcidiocesi, da Oria a Brindisi, dopo più di quattro secoli di assenza: i due della dominazione longobarda e i due di quella bizantina.

Ancora per l’XI secolo l’Anonimo Tranese al sintetizzare la situazione rileva che la città di Brindisi, una volta celebre per ricchezza e gloria, era “specie parvissimi sub oppidi incolitur” ossia, era pressoché disabitata. Tuttavia, la rinnovata presenza della flotta imperiale dopo il ritorno di Durazzo sotto Bisanzio nel 1005 aveva posto le premesse per il rilancio della città e del porto in connessione sia con la sostanziale ripresa delle relazioni con Durazzo che con la grande attività edilizia che si registrava in Italia meridionale poco prima della conquista normanna. “La portata dell’investimento bizantino a Brindisi è valutabile grazie alla testimonianza di un’epigrafe, in parte ancora leggibile, scolpita sul basamento di una delle due colonne che dal promontorio di ponente guardavano proprio l’imboccatura del porto interno. La sua datazione, riferita alla prima metà del secolo XI, rende ancor più evidente la consequenzialità del nesso tra l’impresa del funzionario e la restaurazione del dominio imperiale sulle coste dalmate.” [Il medioevo nelle città italiane: Brindisi di Rosanna Alaggio, 2015] C’è però da osservare che quella grande attività edilizia, così come del resto la supposta rinascita bizantina, non sembra che a Brindisi poterono decollare del tutto, tant’è che la unica evidente importante eredità tangibile pervenuta – e non è certo poca cosa – sono le celeberrime “colonne romane” a firma del protospatario Lupo.

In effetti, importanti riferimenti espliciti ai fatti di Brindisi solo riappaiono in relazione al sopraggiungere dei Normanni. Nella tarda primavera del 1060, il mese di maggio, un esercito normanno entrò in Brindisi al comando di Roberto il Guiscardo, ma fu solo nel 1071 quando la conquista normanna della città si compì in via definitiva. Nell’ottobre dello stesso 1060, infatti, il miriarcha bizantino riconquistò e poi perse Brindisi, finendo con l’essere catturato dai normanni. Nel 1067 una flotta imperiale bizantina, al comando di Michael Maurikas, duca di Antiochia e Boukellarion, nonché catepano di Durazzo, riconquistò il controllo della rada di Brindisi. La spedizione era stata voluta l’anno precedente dall’imperatore Costantino X Ducas per rispondere alle sollecitazioni dell’arcivescovo di Bari Andrea II. Maurikas, catepano d’Italia fino al 1069, raggiunse il teatro operativo nel 1067 con un esercito di variago termine per il quale si faceva riferimento sia a scandinavi che a gruppi germanici a essi collegati. Vinta la flotta normanna al largo delle coste dalmate, pose guarnigioni nelle riconquistate città; difese con successo Brindisi nel 1069 da un attacco normanno condotto da Roberto il Guiscardo e dal conte Goffredo sia per parte di terra che per parte di mare. Dopo lo scontro, definito dal Chronicon Breve Northmannicum essere stato ‘crudelis dimicatio’ per l’elevato numero di vittime, Maurikas pose la città sotto il comando di Niceforo Carantenos, un generale bizantino duca di Skopje, nominandolo stratego di Brindisi. Questi fu costretto ad assistere, pressoché impotente, alle scorrerie del Guiscardo ai danni di quanti erano rimasti fedeli a Bisanzio e, dato che la sottopopolata Brindisi non gli poteva garantire una milizia in grado di fronteggiare gli assedianti normanni e temendo che l’arrivo degli aiuti promessi da Costantinopoli potesse ritardare, chiese alle città vicine ancora fedeli all’imperatore di unire sforzi inviando i tributi necessari a costituire una guarnigione. Poi, in assenza dell’esito sperato, nel gennaio 1070 Carantenos valutò abbandonare la difesa della città ma, nel timore di perdere la propria reputazione con la fuga, progettò un inganno e convocò i cittadini più rappresentativi di Brindisi invitandoli a negoziare fintamente la consegna della città ai Normanni. Questi caddero nel tranello e mentre con scale valicavano le mura furono tutti, circa cento tra guerrieri e scudieri, uccisi miseramente. Le loro teste tagliate furono portate prima a Durazzo e quindi inviate a Costantinopoli, offerte in trofeo all’imperatore Romano IV. L’inganno però, solo sarebbe servito a ritardare di qualche mese la definitiva conquista normanna di Brindisi, che avverrà nel 1071.

In proposito, Annibale De Leo nel suo “Dell’origine del rito greco nella chiesa di Brindisi” ebbe a commentare: «Dalle parole del Curopalata [autore di un ampio resoconto dell’accaduto] noi apprendiamo che Brindisi era capace di sostenere un assedio, ch’era stata prescelta dal generale greco per fortificarvisi con la sua truppa e che finalmente era in tal guisa ripopolata che il generale imperiale stimò bene di richiudervisi per mantenerla nella fede del greco impero. Doveva [dunque] premere ai greci di aver una piazza nella Puglia con un comodo porto nel quale potevano attendere dall’Oriente con sicurezza i rinforzi per proseguire la guerra contro i normanni. Quindi io porto ferma opinione che i medesimi greci in questi tempi avessero cominciato a ristorare Brindisi, facendola risorgere dallo stato di desolazione nel quale era stata lasciata per ben due secoli, e dopo le prime incursioni saraceniche.»

I “due secoli di desolazione” riferiti da De Leo, erano evidentemente quelli immediatamente precedenti ai fatti narrati e che seguirono alla riconquista – la seconda conquista – bizantina, mentre quei “tempi in cui i greci avevano cominciato a ristorare Brindisi per farla risorgere” sarebbero comunque durati ben poco, solo poche decine di anni e, forse anche per questo, di fatto ‘quasi’ non ebbero il tempo di lasciar tracce. D’altronde, fino ad allora, non solo Brindisi ma “tutta l’Italia meridionale era stata considerata un teatro di secondaria importanza dai Bizantini, presi com’erano da problemi politico-militari ben più gravi, dal loro punto di vista, quali la pressione barbarica continua nella zona danubiana e le terribili incursioni saracene.” [Gennaro Tedesco, 2000]

Certo è, in qualunque modo si vogliano o si possano interpretare le cose, che la città di Brindisi – abitanti compresi – aveva trascorso ben quattro secoli in uno stato di quasi completo abbandono, senza neanche il conforto della presenza vescovile e, comunque, ai margini della storia che comunque – longobarda prima e bizantina dopo – fu allora storia di un meridione italiano in prevalenza tribolato. Quanto di rilevante trascorse in Brindisi durante gli ultimi due di quei secoli, se ce ne fu, non ci è stato dato di conoscerlo con consistente dettaglio: forse solo per la pigrizia dei cronisti di quel tempo, o forse per quella degli storici che a quel tempo seguirono, o forse ancora – come lo suggerisce Gennaro Tedesco – per la esplicita volontà di sottometterlo a una specie di damnatio memoriae da parte di Normanni e Papato ai fini della forzata ri-latinizzazione del territorio e delle sue genti. Infine, probabilmente per il concorso di tutte quelle cause, o di altre ancora.

Per voler concludere, è però doveroso osservare che la segnalata carenza di tracce materiali tangibili di una storia formale propria, non vuol certo significare assenza di eredità storica, di una storia comunque vissuta ed assorbita da tutto un popolo e da quel popolo inevitabilmente trasmessa ai propri successori: storia vissuta in una “città limes” e per tal motivo sicuramente ancor più ricca di esperienze incisive, perché – così come ricordato dall’amico scrittore, Arturo Pérez-Reverte – “spesso le cose importanti succedono ai confini, dove si trova sempre una grande ricchezza di personaggi e di situazioni, un palinsesto di tante storie ed imprese umane.” Ma quello della società, della cultura, della religiosità, della mentalità e quant’altro bizantine, al confronto e a integrazione con quelle corrispondenti longobardo-latine, è tutto un altro capitolo, molto ampio e molto complesso, che certamente merita di essere aperto e analizzato. Ma sarà per un’altra volta.