Brindisi, furto nel Museo Diocesano a marzo 2023: restano dolore e rabbia

Di Alessando Caiulo per il numero 376 de Il7 Magazine
La gioiosa occasione della cerimonia di restituzione alla città delle due grandi placche di argento, finemente cesellate, raffiguranti i santi protovescovi di Brindisi Leucio e Pelino, facenti parte dell’antico paliotto settecentesco di scuola napoletana che decorava l’altare maggiore della Cattedrale, ritrovate a distanza di 44 anni dal furto sacrilego grazie all’intervento dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, fa tornare alla mente un analogo episodio criminoso, assai più recente, avvenuto nella notte fra il 17 ed il 18 marzo dello scorso anno, quando ignoti malfattori, introdottisi clandestinamente nella Chiesa di San Paolo Eremita – dal giugno del 2022 adibito a museo diocesano – hanno trafugato una gran quantità di opere di arte sacra, soprattutto in argento, fra cui alcuni reperti che oltre ad essere antichi, rari e preziosi, hanno segnato la storia della Città.
Al netto dei tanti interrogativi di come sia stato possibile che dei ladri, probabilmente incaricati da mercanti d’arte senza scrupoli, si siano introdotti con estrema facilità all’interno di una sede museale e siano riusciti a portare a termine, presumibilmente in un brevissimo lasso di tempo, un colpo di tale portata, ciò che è certo è che si tratta di una ferita ancora aperta e sanguinante per l’intera comunità brindisina e non solo per i fedeli.
Fra i preziosi reperti trafugati, quasi tutti settecenteschi e di ottima manifattura napoletana, sono da annoverare calici, navicelle, pissidi, ampolle, anforette, reliquiari, piatti figurati per le elemosine, un servizio da lavabo e, soprattutto, il magnifico ostensorio raggiato, con raffigurato un pellicano, simbolo del sacrificio di Cristo, della processione del Cavallo Parato, capolavoro dell’argentiere Antonio Alvino, utilizzato per la prima volta nel 1706, che è proprio lo stesso anno in cui l’altro grande maestro argentiere napoletano, Antonio Avitabile, realizzò il summenzionato paliotto.
Lo shock per un tale furto fu tanto forte che persino Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Brindisi, mons. Giovanni Intini, all’epoca appena giunto in Diocesi, nel motivare il diniego al ripristino della processione del Corpus Domini a cavallo, dopo la rovinosa caduta del suo predecessore mons. Domenico Caliandro, addusse oltre che la necessità di una maggiore sobrietà ed essenzialità per non cadere nel semplice folklore, anche l’aver visto un segno celeste in tal senso nel furto dell’antico ostensorio.
Il pezzo più pregiato del museo, l’Arca di San Teodoro, risalente al XIII secolo che conteneva, avvolte nello sciamito, le spoglie di San Teodoro d’Amasea che sono attualmente poste all’interno della Basilica Cattedrale sotto l’altare a lui dedicato e che arrivarono a Brindisi probabilmente in occasione delle nozze di Federico II con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, è sfuggita al furto probabilmente solo perché troppo ingombrante per essere trasportata.
Al di là del valore venale ed anche di quello storico ed artistico, sicuramente altissimi, è il valore simbolico ed identitario per la comunità brindisina ad essere incommensurabile ed è per questo che il prof. Teodoro De Giorgio, storico dell’arte e membro autorevole della Società di Storia Patria per la Puglia, brindisino doc profondamente innamorato della città, della sua storia e delle sue tradizioni, anche religiose, lanciò un appello, sotto forma di garbata invettiva, agli ignoti autori del furto sacrilego che iniziava con queste toccanti parole che, dal momento che il sacro bottino non è stato ancora recuperato, risultano essere quanto mai attuali: “Come ladri nella notte siete entrati nella casa del Signore (sì, prima di essere museo, è la casa del Signore!) per rubare a voi stessi, ai vostri figli, ai vostri padri e alle vostre madri. Quello che avete preso non è semplice argento, da rivendere a un collezionista o da fondere. È molto di più! In quegli oggetti c’è l’anima del popolo brindisino. Sono l’espressione visibile della sua fede nel Signore risorto, che nell’Eucaristia continua a offrire sé stesso per la salvezza eterna degli uomini. Anche per la vostra! Sì, anche per la vostra!” poi, aggiungeva: “E sono proprio oggetti fatti per rendere gloria a Dio e amministrare la sua misericordia, che voi avete rubato. Non si tratta di anticaglie da museo, ma del necessario per venerare Dio nelle funzioni più sacre: durante il Triduo Pasquale, quando si celebra la Passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, e a Natale, quando si celebra la sua nascita nella carne. Ancora oggi quegli oggetti sono in uso. E sono esposti nel museo perché tutti possano contemplare con quanta arte e devozione i nostri antenati hanno celebrato Dio. Avete preso, senza saperlo (voglio sperare!), i calici fatti per contenere il santissimo sangue di Cristo, le pissidi – le coppe – fatte per contenere il suo sacratissimo corpo, gli ostensori – le teche – per esporre e adorare il Santissimo Sacramento, i vasi per gli olii santi con cui si ungono i bambini durante i battesimi, si impone la santa cresima, si consacrano i sacerdoti e si ungono i moribondi. Voglio parlarvi di un oggetto in particolare: l’ostensorio del Corpus Domini, cioè del Corpo del Signore, dinanzi al quale generazioni di brindisini si sono inginocchiate per adorare il Signore Gesù Cristo sotto le specie del pane eucaristico, ovvero dell’ostia consacrata. E tra queste moltitudini di brindisini, per certo, ci saranno stati i vostri padri, le vostre madri, i vostri nonni, le vostre nonne e, finanche, i vostri bisnonni. Quante volte quell’ostensorio, che per voi è un semplice oggetto in argento, è stato usato dai Vescovi per impartire la solenne benedizione eucaristica in groppa al cavallo parato. E quante volte al passaggio della processione del Corpus Domini per le strade della città di Brindisi sono stati lanciati petali di rosa per celebrare la presenza viva di Gesù Cristo, sotto le umili fattezze di una sottile particola di pane consacrato, in quell’ostensorio”.
Sono ancora presenti in Cattedrale ed il suo autore, al termine della cerimonia di riconsegna alla città del paliotto trafugato, ci tiene a mostrarli anche ai Carabinieri che hanno provveduto al suo recupero, i pannelli che proprio Teodoro De Giorgio, curandone personalmente le didascalie, fece installare l’estate dello scorso anno per continuare l’opera di sensibilizzazione, rivolta ai visitatori ed ai fedeli, sul furto al Museo Diocesano intitolato a Giovanni Tarantini, che ha privato la Chiesa brindisina, il popolo dei fedeli e la Città dell’intera collezione di argenti sacri. Su tali “totem” sono riprodotte le immagini di tutti quanti i reperti trafugati nel marzo del 2023, nella speranza che, prima o poi, qualcuno, proprio come è accaduto per le due placche di argento del paliotto – ritrovate a distanza di oltre quarant’anni quando le speranze erano ormai svanite – vedendoli esposti da qualche parte, anche perché si tratta di pezzi unici, censiti ed inventariati, facilmente riconoscibili e difficilmente smerciabili, possa riconoscerli ed avvisare chi di dovere perché si attivi per il loro recupero e, magari, anche per giungere alla punizione dei colpevoli di tale misfatto che, è davvero il caso di dirlo, grida vendetta dinanzi a Dio e agli uomini.
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