
Di Alessandro Caiulo per il numero 381 de Il7 Magazine
Sono stati finalmente completati i lavori di restauro e rifunzionalizzazione di Forte a Mare, uno dei due castelli di cui si ammanta l’antichissima Città di Brindisi. Si tratta di quello che per ubicazione, bellezza, unicità e fascino oltre che per l’incanto della sua darsena, anche se meno pregno di storia rispetto al Castello di Terra, è maggiormente nel cuore dei brindisini tanto da poter assurgere, forse più ancora delle colonne romane, a simbolo identitario della nostra comunità.
Nella pubblicazione “Castelli di Puglia fra mito e realtà”, curata da Domenico Castellaneta (nomen omen) e distribuita a fine novembre con “Repubblica”, in cui si descrivono ben cinquantacinque fortezze pugliesi, lo storico Giuseppe Losapio, ha definito davvero singolare il caso di Brindisi – due fortezze per una città – in quanto evidentemente un solo castello non le bastava.
Già nel giugno scorso, allorchè il Castello Svevo era sotto i riflettori in quanto è lì che il Presidente della Repubblica Piergiorgio Mattarella ha ospitato i leader delle maggiori potenze mondiali per la cena inaugurale del G7, la prestigiosa rivista “In Puglia tutto l’anno”- molto considerata nel settore del turismo anche internazionale – nell’occuparsene, intitolò “Brindisi e i suoi castelli”, proprio per evidenziare la peculiarità di avere due grandi castelli di pari dignità e importanza, per cui non se l’era sentita di parlare di uno, senza fare un cenno anche all’altro.
In effetti i due castelli di Brindisi – ma in un passato più remoto ve ne erano anche altri due – sono frutto di una storia talmente complessa, inestricabile e con ancora tante diverse chiavi di lettura che nessun’altra città di Puglia può vantare: d’altronde quando essi furono costruiti, l’antica Brention messapica, Brundisium per i romani, Brandizio per Dante Alighieri, aveva già due millenni di storia niente male, a tratti epica e gloriosa e sempre importante per i destini dell’Occidente.
E che il castello Svevo, costruito per volere dell’imperatore Federico II, nonostante l’affaccio sul Seno di Ponente del porto e quindi sul mare, sia da sempre chiamato paradossalmente Castello di Terra, la dice tutta sulla ben diversa vocazione, votata al mare, dell’altro castello, una vera e propria isola fortificata che emerge imperiosa dalle acque per porsi a baluardo di difesa della Porta d’Oriente, fortezza inespugnabile ed inespugnata, su cui hanno cozzato duro francesi e veneziani.
D’altronde, per la sua sola massiccia ed imponente presenza, il Castello di mare evitò che i turchi, dopo il sacco di Otranto che nel 1480 aveva terrorizzato l’intero mondo cristiano, prendessero anche Brindisi – simbolo delle crociate – e dirompessero in Italia per soggiogare, caduta Roma, il mondo occidentale, quasi un secolo prima che la Lega Santa, voluta da papa Pio V e re Filippo II (lo stesso che dispose la fortificazione anche di quella parte dell’isola prospiciente il castello, completata, poi, dal figlio Filippo III), riuscisse a sbaragliare la flotta nemica nella battaglia navale di Lepanto del 7 ottobre 1571 che pose fine agli appetiti ottomani in Europa Occidentale.
La leggenda narra che la flotta turca giunta nel tardo pomeriggio al largo di Brindisi, avendo assistito alla trasformazione del colore del castello che illuminato dagli ultimi raggi del sole viene ad assumere, grazie alla particolare composizione dei suoi conci in carparo, una colorazione rossastra, vide un segno soprannaturale in questo fenomeno che seminò sgomento non solo nella ciurma ma anche negli ufficiali che decisero di cambiare repentinamente rotta. Vero è che non si aspettavano che al posto della vecchia e diroccata fortezza già esistente sull’isola di Bara (attuale Sant’Andrea), su cui erano state innalzate due torri, fosse stata costruita una terza torre, ed il tutto era stato cinto da possenti mura, sicchè il castello era così alto ed imponente che, posto com’era all’imboccatura del porto, sbarrata dalle robuste catene angioine, rendeva praticamente impossibile lo sbarco dei nemici in una città i cui restanti lati via terra erano difesi da massicce fortificazioni dotate, come la fortezza, di adeguate bocche di fuoco.
Dal momento che non basterebbero mille fogli, e nemmeno altri mille, per descrivere per filo e per segno gli accadimenti di cui i castelli di Brindisi sono stati testimoni e protagonisti, ci limiteremo a raccontare per sommi capi la storia di Forte a Mare, partendo da un doveroso cenno all’isola di Sant’Andrea che lo ospita, anzi di cui questo castello/isola è parte integrante, a riassumere il tenore dei recenti lavori di restauro e a sottolineare, infine, le grandi aspettative in vista della sua imminente riapertura al pubblico, con la gradita conferma, a seguito di svolgimento di regolare procedura di gara, del rapporto di partenariato pubblico/privato fra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Brindisi-Lecce e l’Associazione Le Colonne che ne curerà per i prossimi anni – come aveva già egregiamente fatto al termine del primo lotto dei lavori quando per poco più di un anno ne fu consentita la fruizione parziale – la valorizzazione, le visite guidate e le attività didattiche all’interno del complesso monumentale di Forte a Mare.
Mentre dal punto di vista architettonico ci si può limitare, in questa sede, ad evidenziare che questa fortezza ha una pianta trapezoidale con ai vertici due bastioni pentagonali e un torrione circolare, impostati su muri a scarpa marcati all’esterno da cornici toriche, dal punta di vista estetico nessuna umana descrizione può essere, a nostro avviso, in grado di esprimerne il fascino, la bellezza, ed il mare di sentimenti che sprigiona nel cuore e nell’animo di chiunque, brindisino o forestiero, si sia trovato a visitarlo e per cui, appena andati via, subito si avverte un senso di nostalgia tale da non vedere l’ora di ritornarci.
Per descriverne l’origine storica ci tuffiamo volentieri nell’appassionato racconto, in bello stile d’epoca, che ne fece nella Guida di Brindisi edita nel 1897 l’allora giovane canonico Pasquale Camassa, bibliotecario, direttore del museo civico con sede presso il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, appassionato studioso ed insuperabile divulgatore della storia della sua amata città e indomito protettore di quelli che amava definire i suoi avanzi monumentali.
“Entrando in Brindisi per la via di mare, a guardia del porto esterno, si incontra il Castello Alfonsino. È un’opera grandiosa, che sembra romana ed è, invece, degli Aragonesi. Fu infatti Ferdinando I d’Aragona che l’anno dopo l’invasione turchesca e la presa d’Otranto, fece cominciare la costruzione di quella fortissima rocca, che a causa del colore delle pietre fu chiamata Castel Rosso. L’anno 1485 Alfonso, Duca di Calabria, fece ampliare quella fortezza. Prolungandola verso levante, facendo dell’antico torrione un antemurale con baluardi e fianchi di meravigliosa grossezza, riducendola a vera forma di castello. Per isolare perfettamente la roca, che da tre parti era bagnata dal mare e dall’altra congiunta al resto dell’isola, fece praticare un taglio di sufficiente larghezza, sicchè il mare poteva bagnarla anche da questa parte. Dal suo nome fu chiamato Castello Alfonsino. Dopo gli Aragonesi, i lavori furono proseguiti dagli austriaci, che fortificarono eziandio l’altra parte dell’isola separata dal castello, facendone una piazza forte. Nel 1516, mentre comandava i nostri due castelli di terra e di mare Ferdinando Alarcone, e nel castello Alfonsino vi teneva come suo luogotenente Tristano Dos, un’armata veneziana comandata da Lando si appressò alla rocca per espugnarla. Ma ne ebbe la peggio e le navi superstiti presero tosto il largo. Nel 1577, essendo castellano Lorenzo Casilio di Melo, prode soldato, si decise si riunire il castello al forte con un ponte in muratura. Ciò che fu eseguito coll’autorità del vicerè Pietro d’Ossuna, governando la provincia Ferdinando Caracciolo duca d’Arcole (come risulta dall’iscrizione latina risalente al 1583). Rotto nel forte il muro, che gli Aragonesi avevano fabbricato dalla parte di levante, si cominciò la costruzione del ponte, mentre nel castello, corrispondente al ponte s’aprì un’ampia porta reale. Stabilita la comunicazione tra il forte ed il castello, si divise la porta antica, che dava sul porto esterno a mezzogiorno. Poco dopo però fu abbattuto il ponte in muratura e sostituito con un ponte levatoio. Altre modifiche ed aggiunzioni si praticarono ai tempi degli Spagnoli e dei Borboni. Quando il tedesco Generale Valles il 20 giugno 1715 prese possesso del castello, circa 700 spagnoli scesero in città ed altri 100 uscirono dal Castello di terra. Rimasero in gran parte a Brindisi, Donde le tante famiglie spagnole tuttora qui esistenti nobili e plebee. Uno de’ castellani spagnoli, Don Aloysio Ferreyra, morendo nel 1725 fondava con pubblico istrumento un Monte dei poveri, costituendone esecutore testamentario e perpetuo amministratore il Reverendissimo Capitolo. Prelevati alcuni legati e dritti di amministrazione, le annuali rendite del detto nome volle fossero distribuite ai poveri spagnoli, volgarmente chiamati giannizzeri, e in mancanza di questi, agli altri poveri della città. Presentemente (cioè nel 1897, ndr) il Forte è deserto e sprovvisto di artiglierie, Vi soggiorna un custode e vi funziona l’ufficio semaforico e quello delle disinfezioni. A poca distanza dal Forte Alfonsino si osservano le isole Pedagne”.
Come sopra accennato, al termine del primo lotto di lavori, nel maggio del 2021, Forte a Mare fu parzialmente aperto al pubblico e furono consentite delle visite guidate che riguardavano essenzialmente l’esterno attraverso un percorso ad alta valenza paesaggistica che, lambendo la copiosa macchia mediterranea, dava la possibilità ai visitatori di percorrere i camminamenti di ronda dell’Opera a Corno, connettendosi al resto del Forte. Tale percorso conduceva al primo piano del forte da cui si poteva ammirare dall’alto la darsena, prima di attraversare la porta che, attraverso un terrazzo panoramico, conduce al grande salone del castellano, l’unico vano interno all’epoca visitabile. In poco più di un anno di apertura parziale, come ebbe ad evidenziare la Soprintendente Francesca Riccio nel corso dell’evento annuale del MIC “Cultura e Sviluppo”, tenutosi nel gennaio del 2023 proprio nell’incantevole scenario di Forte a Mare, sono stati circa ventottomila gli ospiti, provenienti da ogni dove, che hanno visitato il Castello Alfonsino.
L’obiettivo dell’intervento del secondo lotto di lavori, appaltati dal Segretariato Regionale del Ministero della Cultura, è stato quello di completare le opere di recupero del complesso monumentale del Castello Alfonsino per renderlo interamente fruibile al pubblico.
In particolare gli interventi svolti dalla Cobar – società di Altamura specializzata nel recupero e nella riqualificazione di immobili storici di elevato valore culturale e architettonico – che li descrive dettagliatamente nel suo sito internet, hanno riguardato il piano terra ed il primo piano, dove si è lavorato sulle pareti e sulle volte per eliminare gli intonaci ormai instabili e sfarinati a causa dell’umidità. Si è proceduto alla completa revisione delle murature in tufo e pietrame, salvaguardandone le parti in buono stato ed eliminando gli strati che avevano perso in maniera irrecuperabile la originaria coesione, sostituendo i conci in maniera graduale per non interferire con la loro funzionalità statica. Sono stati ricostruiti i davanzali e le soglie con cocciopesto a base di calce idraulica e inerti, consolidandone le parti pericolanti. Si sono riequilibrate in maniera certosina le cromature delle pareti interne mediante velature di pittura traspirante. Si è sostituito il vecchio ascensore e si è integrata la pavimentazione mancante negli spazi interni e, nel provvedere alla pulitura dei vecchi pavimenti, si è fatta particolare attenzione a non intaccare la naturale patina di invecchiamento. Sono stati restaurati e recuperati, nei limiti del possibile gli infissi lignei esistenti, sostituendo solo quelli danneggiati irreparabilmente.
Per rimediare ai fenomeni di parziale degrado della parte esterna, si è proceduto alla revisione delle cortine perimetrali poste a protezione della fortezza, previa attenta verifica dello stato di conservazione di ogni singolo concio, eliminando ogni corpo estraneo. Degno di menzione è anche il capillare intervento di cucitura, scucitura e consolidamento nelle sezioni di muro ammalorate. Sui prospetti nell’atrio del castello sono stati effettuati interventi di tipo conservativo per rimuovere i segni di degrado dovuti all’erosione arrecata dal vento misto a salsedine che batte impetuoso sull’isola di Sant’Andrea; mani esperte hanno restaurato a dovere i portali e si sono prese cura degli elementi lapidei e decorativi come stemmi e fregi vari.
La scorsa primavera, quando sembrava imminente la riapertura di Forte a mare la Soprintendente Francesca Riccio chiarì agli organi di stampa che i lavori prettamente di restauro erano conclusi e che si stava procedendo alla realizzazione dell’impiantistica necessaria per dotare il castello di corrente elettrica, acqua, smaltimento dei reflui e fibra per la connessione internet oltre che il rifacimento, inizialmente non previsto, della strada di accesso che, attraversando il canale Vicereale, porta a Forte a Mare, in quanto erano stati riscontrati seri problemi alle sue fondamenta.
Ora, che è terminato il cantiere, Forte a Mare potrà riaprire al pubblico e Brindisi potrà finalmente riabbracciare il suo monumento più amato.