di Giovanni Membola per il7 Magazine
Acque pure che sgorgano nel mare. Fin dai tempi antichi. È ciò che avviene ancora oggi con le numerose sorgenti sotterranee presenti lungo la linea di costa del rione Casale. Ne abbiamo sicuramente sentito parlare, probabilmente l’abbiamo anche viste, ma non tutti ne conoscono l’esistenza.
Sulla sponda nord del porto medio vi erano le cosiddette “fontanelle”, le sorgenti di acque potabili celebrate probabilmente da Virgilio nell’Eneide, toponimo che individua ancor’oggi la zona residenziale più vicina al mare. Su un antico manuale per la navigazione costiera e portuale, risalente al 1764, l’intera zona veniva indicata come “Aigade”, termine spagnolo (o francese) che denotava appunto la presenza di fonti d’acque dolci. Sulla collina che si affaccia sull’imbocco del porto interno della città, nei pressi del Monumento al Marinaio, vi era invece una ricca falda che alimentava un ampio bacino chiamato dai brindisini “Abisso”, probabilmente per la sua profondità. Era meglio conosciuto come “Pozzo di Plinio”, poiché fu studiato dallo storico e funzionario imperiale Plinio Caio Secondo detto “il vecchio” (23-79 d. C.): il celebre erudito lo descrisse nella sua monumentale enciclopedia scientifica Storia Naturale: “Brundusii in portu fons incorruptas praestat aquas navigantibus”, ossia una sorgente nel porto offre acque potabili ai marinai.
Dell’opportunità di ricevere acque dolci “quasi in mezzo al mare” per le flotte ancorate nel porto, ne parla nella seconda metà del XVI secolo il notaro Giovanni Battista Casmiro, rilevando la presenza di un ampio pozzo a lato della collinetta, poi riscoperto da Andrea Pigonati durante i lavori avviati nel 1776 per la bonifica del porto e il rifacimento della foce. L’ingegnere aveva prima fatto pulire un pozzo che trovò “rivestito di un’antica fabbrica Romana: ed avendo sperimentata l’acqua di una natura limpida, attiva, e legiera, mi fu opportuna, ed util cosa servirmene per l’uso di tutta la gente impiegata al travaglio”.
L’importante risorsa idrica venne inoltre segnalata nel 1797 dal francese Antoine Laurent Castellan, di passaggio da Brindisi durante il suo “Grand Tour” europeo. Il noto scrittore transalpino racconta delle qualità dell’acqua in una delle sue “lettere” raccolte poi nel volume Lettres sur l’Italie: “La sua fonte, molto abbondante, sgorga dalle rocce che fiancheggiano la costa; essa riempie un vasto bacino sotterraneo, scavato nella massa rocciosa, il cui accesso presenta parecchie arcate semicircolari tagliate a scalpello. Non abbiamo potuto ignorare, in questo lavoro, la mano potente e laboriosa degli antichi a cui è stato attribuito”.
Successivamente, nel 1846, anche mons. Annibale De Leo riferisce delle acque dolci e salubri dell’antica sorgente, argomento ripreso trent’anni dopo da Giovanni Tarantini, che ne descrive la portata e la profondità del pozzo: “prima dei potenti mezzi elevatori che si hanno oggi non si era mai giunti a vederne il fondo. Oggi però si è veduto […] uno dei battelli a vapore chiamati cisterne […] giunse oggi ad esaurirlo ma dalla sera alla seguente mattina si trova l’acqua di nuovo al primiero livello”.
La società di navigazione Florio, nel 1881, dopo aver pulito e riattivato il “pozzo detto di Plinio”, utilizzò l’acqua per i suoi piroscafi ormeggiati nella zona ancor’oggi denominata Posillipo, termine derivante dal greco Pausilypon, che significa “luogo che fa passare il dolore”, proprio per le sue caratteristiche di zona costiera salubre e rigenerante. Nel 1910 la sorgente venne definita dal canonico Pasquale Camassa “magnifica e inesauribile”. Il filantropo “papa Pascalino” nella sua Guida di Brindisi scrisse inoltre: “La Navigazione Generale Italiana per mezzo di una pompa a vapore fa riversare l’acqua in una vasca di oltre 40 tonnellate e, per via tubolare, ne fornisce i suoi piroscafi e quelli di altre società”.
Da qualche decennio di questa antica e inestinguibile fonte non si hanno più notizie, seguendo la cartografia antica non è possibile identificare con precisione la sua ubicazione reale, si ipotizzano diversi luoghi ma nessuno di essi è certo. Esiste una sola – e probabilmente unica – foto del bacino risalente al 1937, di proprietà dell’Acquedotto Pugliese, l’immagine mostra una costruzione bassa in tufo, simile ad una cisterna, ma dai pochi dettagli di contorno non è possibile individuare la posizione esatta. Anche il prof. Giuseppe Maddalena Capiferro, autore di numerosi e interessanti saggi storici, dopo aver studiato con estrema attenzione una serie di mappe e portolani, dai più antichi ai più recenti, ha cercato di trovare alcuni utili riferimenti utilizzando anche questa immagine in bianco e nero, ma senza esito: “mi sono recato più volte nell’area, servita per decenni alla Marina Militare come deposito delle boe di ormeggio, catene e corpi morti di ancoraggio, per verificare la possibile corrispondenza con un manufatto presente proprio affianco al fabbricato ormai fatiscente, ma non ho trovato le giuste correlazioni. Sarebbe auspicabile l’avvio di saggi archeologici o persino una specifica campagna di scavo nei pressi della costruzione, ormai interamente ricoperta da vegetazione spontanea, così da verificare l’esistenza di materiali antichi o di quanto riportato nei testi”.
Il prof. Maddalena, vicepresidente della sezione locale della Società di Storia Patria per la Puglia, da alcuni anni conduce una attenta ricerca documentaria per approfondire lo studio sull’antico pozzo. È riuscito a consultare ed esaminare centinaia di testi, carte, disegni e scritture presso archivi e biblioteche, una indagine che continua ancora oggi, con costanza e impegno, incrociando i dati delle fonti storiche con le evidenze riscontrate sul posto, attraverso accertamenti nelle aree limitrofe il Monumento al Marinaio. “Ciò mi ha permesso di verificare la presenza di una bocca di pozzo con un antico lastricato in una proprietà privata poco oltre le arcate a nord del Monumento, in direzione del Villaggio Pescatori. Un’area apparentemente diversa rispetto a quanto riportato nella cartografia più antica, ma vicina alle indicazioni riportate da Pasquale Camassa nel suo interessante rilievo della città redatto nel 1910, dove si individua proprio su quella fascia la presenza del Pozzo di Plinio”. Anche su una mappa topografica della città, risalente al 1750, la posizione del pozzo sembra correlata al disegno del Camassa. “Tale collocazione vedrebbe la cavità posizionata in corrispondenza del Palazzo Montenegro (sulla sponda opposta), all’epoca sede della Valigia delle Indie – spiega lo storico locale – ciò potrebbe essere plausibile, in quanto i piroscafi potevano caricare l’acqua nelle loro stive ormeggiando comodamente su questa banchina, operazione che risulterebbe certamente più complicata se l’ancoraggio doveva farsi nei pressi del canale d’ingresso al porto, punto di passaggio per i numerosi navigli dell’epoca, e con spazi di manovra decisamente più limitati”.
Lo studioso fa notare inoltre come dalla scarpata presente tra quest’area privata e le arcate, vi sia un costante rivolo di acqua che fuoriesce dal terreno, a volte lo si può notare anche sui muri laterali della scalinata dal Monumento. “Ciò conferma quanto affermato in passato, ossia che l’intera linea di costa del Casale fosse dotata di abbondanti falde acquifere non troppo profonde; pertanto, non sarebbe da escludere anche la presenza di più bocche sorgive nell’intera zona”.
Purtroppo, non si dispone ancora di dati sufficienti per stabilire l’esatta posizione della fonte di acque “meravigliose e incorruttibili” menzionata da Plinio il Vecchio duemila anni fa, che nei secoli ha dissetato milizie, naviganti e marinai di ogni nazionalità e provenienza. L’intera superficie ha subito grandi trasformazioni, soprattutto negli ultimi due secoli, solo una indagine più approfondita potrà permettere il ritrovamento dell’antica fonte di approvvigionamento idrico, che al momento sembra scomparsa.