Brindisi vero snodo della sfida energetica dell’Unione Europea

Si è tenuto mercoledì 5 Dicembre l’incontro pubblico “Le ragioni del no Tap a Brindisi. Altra Grande Opera Inutile ed Imposta in arrivo a Brindisi” patrocinato dal Comune di Brindisi ed organizzato dagli attivisti del comitato NoTap.
La legittima iniziativa e l’altrettanto legittima aspettativa di sognare un proprio progetto di territorio, ancora una volta, si scontra con le ragioni globali, le cui dinamiche, per quanto complesse, definiscono per Brindisi un ruolo che, ancora una volta, non la farà arricchire a causa della incapacità di far sintesi delle opportunità.
La sicurezza energetica è una preoccupazione chiave per l’Unione Europea. La Comunità è importatore di energia ed il suo sviluppo, in buona sostanza, dipende dalla produzione e dai paesi di approvvigionamento e di transito.
Se la gestione degli approvvigionamenti di petrolio, ha visto la Comunità sostanzialmente spettatrice degli accordi tra i suoi singoli membri ed i Paesi di produzione, altro e più articolato discorso è quello relativo all’approvvigionamento ed alla distribuzione del gas che avviene per mezzo di gasdotti che si snodano lungo tutto il territorio comunitario.
La maggior parte del gas dell’UE proviene dalle regioni limitrofe. Principale partner è la Russia, che attraverso il colosso Gazprom, fornisce il 38% delle importazioni dell’UE. Nell’attesa di un futuro energetico sostenibile ed ecocompatibile, il gas naturale resta, per il futuro prossimo, il miglior combustibile di transizione da quelli fossili, i cui giacimenti stanno andando ad esaurimento, a quelli rinnovabili.
In questi giorni a Katowice, in Polonia, sono riuniti i rappresentanti di circa 200 Paesi per la “Conferenza delle Parti”, promossa dalle Nazioni Unite, sul cambiamento climatico (COP24). In apertura dei lavori, Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha dichiarato che “il mondo è fuori rotta” rispetto ai programmi di contenimento dell’aumento della temperatura planetaria e dell’inquinamento terrestre. Ma il padrone di casa, il presidente della Repubblica di Polonia, ha ribadito che “La Polonia non può rinunciare al carbone”, per il suo Paese, infatti il carbone è una materia prima “strategica” che garantisce “la sovranità energetica” dei polacchi, forti anche dell’avallo ricevuto in questi anni dalle autorità comunitarie che hanno finanziato i programmi polacchi energetici al carbone per circa, 60miliardi di euro. Alla faccia delle conclamate esigenze di diminuzione dell’emissioni!!!
A Bełchatów, in Polonia è situata la più inquinante centrale elettrica a carbone d’Europa. Mentre a Brindisi si discute della dismissione del carbone come combustibile della centrale Federico II, lì si realizza l’incremento delle importazioni di carbone dalla Russia, in quanto, in nome della sovranità polacca, quello polacco non è sufficiente.
In questo contesto, l’UE, con la maggior parte della fornitura di gas importata dalla Russia e divisa al suo interno da tensioni localistico-populiste, cerca alternative per diversificare le sue fonti di approvvigionamento, navigando tra i suoi rischi politici ed economici interni ed il confronto politico economico con le regioni di approvvigionamento.
Le scoperte di nuovi giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale, tra Cipro, Libano ed Israele, danno all’UE l’alternativa che sta cercando ai gas provenienti dalle regioni orientali della ex URSS. Sono state fatte enormi scoperte anche in Egitto, il tutto in un quadrante geopolitico in cui l’ENI, per l’Italia, gioca un importante ruolo da protagonista.
Se la Germania e altri paesi del Nord Europa stanno spingendo per importare gas più economici dalla Russia – ora che le riserve petrolifere del Mare del Nord stanno diminuendo – attraverso il gasdotto Nord Stream II che completerà il Nord Stream I nel trasporto del gas russo verso l’Europa sotto il Mar Baltico, il gas proveniente dalle regioni mediterranee riapre il dialogo e ridefinisce le relazioni internazionali dell’Italia.
L’ENI è considerato un attore fondamentale della politica estera italiana, è presente in progetti energetici in quasi tutti gli Stati dell’area: Grecia, Turchia, Egitto e Libano. La presenza della maggiore azienda italiana nella zona è giustificata dal fabbisogno energetico ed in particolare di gas del nostro paese.
Secondo Terna – Rete Elettrica Nazionale – l’operatore che gestisce le reti per la trasmissione di elettricità in Italia, nel 2017 a fronte di un consumo di oltre 301mila gigawatt/h di potenza, aumentato del 2,2% rispetto all’anno precedente, il nostro Paese ha prodotto più di 215mila gigawatt/h di potenza da combustibili solidi e gassosi, di cui più di 140mila da gas naturale, con un consumo di oltre 25 miliardi di metri cubi di gas.
Il ministero dello Sviluppo Economico rivela a sua volta che “il sistema nazionale è alimentato prevalentemente con gas prodotto in paesi stranieri, importato per mezzo di gasdotti internazionali o trasportato via mare in forma liquefatta come GNL e importato tramite terminali di rigassificazione”. I dati forniti dalla Direzione generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e per le infrastrutture energetiche, mostrano come l’anno scorso l’Italia abbia importato oltre 69 miliardi di metri cubi di gas, di cui il 39,5% direttamente dalla Russia, il 28 dall’Algeria, il 9,7 dal Qatar, il 6,7 dalla Libia e il 4,6 transitato da Austria e Svizzera, ma comunque importato dalla Russia.
L’evidente dipendenza dell’Italia dal gas russo, che da solo copre oltre il 45% delle importazioni, rappresenta un problema strategico per il nostro Paese che cerca di rendersi sempre meno dipendente da un unico fornitore. L’obiettivo del governo italiano resta, infatti, quello di diversificare le fonti energetiche e limitare la dipendenza dal gas russo e algerino.
Negli ultimi giorni, è divenuto definitivo l’accordo tra i governi di Israele, Cipro, Grecia e Italia sul progetto di un gasdotto sottomarino che colleghi lo Stato ebraico all’Europa. Non è chiaro, però, come possano essere affrontate le sfide finanziarie e ingegneristiche che gli oltre 2mila chilometri di tubazioni sottomarine ed i 6miliardi di dollari richiedono.
Brindisi, pertanto risulterà essere, il principale innesto, alla rete nazionale del gas, di ben tre gasdotti provenienti dal bacino del mediterraneo: il gasdotto “Tap”, che sbarcherà a Melendugno; il gasdotto “Eagle LNG”, con approdo a Lendinuso; e quello relativo all’accordo italo-greco-cipriota-israeliano, con approdo a Otranto, “IGI Poseidon”. Tutti si ricongiungeranno alla Rete Adriatica Snam a poche centinaia di metri dalla periferia di Brindisi: in contrada Matagiola, sulla strada che dal rione Sant’Elia porta a San Donaci, a tre chilometri dalla città.
Riaprire un dibattito sugli obiettivi sostenibili ed ecocompatibili dell’economia brindisina, non rappresenta mai un puro esercizio filosofico, bensì una visione, forse non pienamente obiettiva, delle dinamiche e delle ragioni che, ancora una volta, non vedono protagonisti gli amministratori, gli industriali e le categorie del mondo del lavoro. Ancora una volta, da Brindisi passa la storia della rinascita economica ed, ancora una volta, la città si presenta impreparata a cogliere i vantaggi che, una mega struttura, è in grado di comportare.