Capitale del canto alto: «La morte del vescovo di Brindisi»

Tra vuoti di memoria e stanche lamentele, perchè viviamo in una città al limite della inutilità, rendo omaggio a Brindisi, l’amata immortale e a quanti vogliono sostenere un percorso culturale per il recupero di una identità di cittadini in vacanza di responsabilità, perlustrando un sofisticato dono fatto alla città di Brindisi, attraverso il tormentato ed intimo dubbio che assalì, l’allora vescovo di Brindisi, quando dalla città, tra storia e leggenda, partì per la terra Santa, un esercito di straccioni guidato da ragazzini di poco più di 10 anni. Era forse il 1212 ed il vescovo storicamente esistito, sarebbe Gerardo, ma a lui la storia non fa rivenire alcuna rilevanza storica in ordine ad una cronaca di fatti come quelli narrati in “The Death of bishop of Brindisi”, questo il titolo originale dell’opera.
Gian Carlo Menotti il compositore italiano più celebre e celebrato, ideatore del Festival dei Due Mondi di Spoleto e morto nel 2007 a 96 anni, scrisse la sua opera più grande e più dolorosa nel 1963. Altri artisti si sono cimentati col tema della Crociata dei Fanciulli, ma l’opera di Menotti le sovrasta, realizzando un “canto alto” sul perché del male e della morte. Lo stesso Menotti, più volte interrogato sulla ragione di un lavoro così complesso ha sempre risposto: “L’ idea dell’esistenza di Dio e della morte mi ha sempre affascinato”.
La cantata narra di una crociata di bambini, esaltati ed inermi, che si imbarcano a Brindisi per liberare la Terra Santa, ma fanno naufragio. I bambini credevano che Dio li avesse scelti per liberare Gerusalemme senza armi: dopo il fallimento delle precedenti Crociate, sembrava aver indicato che disapprovava una lotta per la Città Santa, con la forza di braccia. Molti adulti condivisero questa convinzione e sostennero la partenza dei bambini.
L’opera non racconta la crociata, ma la disperazione del vescovo di Brindisi che in punto di morte si sente oppresso dal rimorso per aver propiziato, con la benedizione della nave in partenza, la morte di tanti innocenti.
Il tema, attualissimo, non sfugge alla considerazione, che alla sensibilità del vescovo, si attesta, arbitraria, una levata di indifferenza se non proprio di odio per i tanti naufraghi del mare mediterraneo.
Assistito da una suora, il vescovo ripercorre, con animo straziato, la partenza dei bambini, l’incoraggiamento del popolo, la tempesta, i flutti, le urla degli innocenti al momento del tragico naufragio, l’invocazione di mamma e papà e infine la loro morte. Muore anche il vescovo, avvelenato dai ricordi, da una crisi profonda, che gli fa dubitare di Dio.
L’ abilità di Menotti è indubbia: testo e musica procedono alla pari tenendo sempre alta la tensione della narrazione.
La cantata è scritta in inglese e prevede oltre al vescovo, affidato ad un baritono, la presenza della sua perpetua, un soprano. Lo strazio dei bambini che è sostenuto da un coro di voci bianche, che canta l’infanzia strapazzata, violata, abusata dalle complesse dinamiche sociali, culturali e religiose. Oltre ad uno spartito godevole, i testi sono dello stesso autore che si conferma un buon narratore in prosa.
L’opera, replicata più volte in America, è stata messa in scena una sola volta in Italia, alla 38^ edizione del Festival di Spoleto nel 1996. Per l’occasione e per renderne più immediata la comprensione del testo inglese, cantato da Kenneth Cox e Michelle DeYoung, per la direzione del Maestro Steven Mercurio con le ottime voci di, l’ Orchestra e il Coro del Festival e l’ eccellente Coro di Voci Bianche dell’Arcum, la Cantata, fu preceduta dalla lettura del testo in italiano da Gigi Proietti nel ruolo del vescovo di Brindisi e Paila Pavese della suora-perpetua.
Poco prima della rappresentazione, Proietti, già notissimo al grande pubblico per la versatilità delle sue doti artistiche, dichiarò di essere rimasto sorpreso dalla richiesta esplicita che gli aveva rivolto il Maestro Menotti: “La mia inmagine è un po’ lontana da queste operazioni colte, ma tutto sommato questa è una prova d’ attore e non mi mancano piccole escursioni nella musica alta”.
La sofferta ed intensa crisi di coscienza che colpisce il Vescovo di Brindisi a seguito del naufragio dei bambini, non è mai banale e si sostiene in un processo interiore ed intimo che fa precipitare l’uomo di fede in una profondissima crisi esistenziale.
Le sue sono state scelte dettate dall’accondiscendenza alla voce del popolo, che acclamava il valore della crociata e la guida divina all’azione dei bambini, contro gli infedeli che avevano in disprezzo le sacre testimonianze della fede cristiana in Terra Santa.
“Oh Dio, Dammi un nemico da uccidere, non un bimbo da aiutare. Temo la voce dell’innocente, perchè ho imparato che, chi ama l’inerme, deve diffidare del suo amore”.
“Chiudi, sorella, le porte, non posso sopportare le loro grida”.
“Molti sono gli innocenti che chiedono aiuto, ma Dio ha creato Pilato, da tutti noi”.
Alla notizia del naufragio, il popolino brindisino, stando alla narrazione del libretto, scese per le strade ecominciarono ad inveire contro il vescovo: “Maledetto sia il pastore che conduce a morte il suo gregge! Pietre contro il suo palazzo, bruciamo i suoi libri, rompiamo il suo bastone e gettiamo il suo anello nel mare. Lasciamo che cammini nudo, un uomo tra gli uomini”.
Menotti scrive queste parole, agli inizi degli anni ’60, in un tempo di grandi fermenti e di rivoluzione dei costumi. Il tratto culturale americano, traspare dall’opera, che proprio negli Stati Uniti viene omaggiata e ricercata, ma risente della cultura italiana, nel suo spessore che la rende difficile al cambiamento.
La sottolineatura che credo sia utile, sta tutta nel fatto che, senza che ve ne fosse necessità storica, di crociate ne sono salpate dai porti tirrenici della Francia e dell’Italia, anche Menotti riconosce a Brindisi, al suo vescovo, una dignità ed una capacità di rappresentare la sensibilità nuova e per sostenere una tesi storica verosimile e corroborare, la nascita di una umanità nuova, proprio a partire dal vescovo di Brindisi che nella logica della fede del XIII secolo, altro non poteva che chiudersi nella torre della fede e in preghiera vivere con tribolazione, per riconoscersi responsabile delle vite perdute di bambini innocenti.
55 anni fa, la cultura di cui è imbevuto Menotti, invoca Brindisi ed il suo vescovo come fosse questa città, il luogo privilegiato del rilancio di una umanità più accorta alla sensibilità che va ben oltre certo populismo che serpeggiava latente nella cultura di massa, che di lì a poco, avrebbe invaso le nostre identità, affogandoci tutti nei beni di consumo, i più inutili i più astrusi.
Brindisi è questo, porta di speranza, luogo dove il senso profondo e mai profanato dell’accoglienza e dell’ospitalità, reclama sensibile responsabilità e ci invita a guardare con speranza ad ogni futuro possibile.
Più volte l’arte ha ribadito Brindisi come paradigma delle snsibililità.
Sarebbe utile se a Brindisi, per il tramite delle istituzioni preposte al governo della cultura, l’opera “The Death of Bishop of Brindisi” divenisse, come tanto altro misconosciuto, ma esistente e vero, percorso per la rielaborazione di una consapevolezza nuova. Non orgogliosi, ma responsabili di essere cittadini di una delle città più belle, a cui manca una cittadinanza all’altezza del suo ruolo.