di Giovanni Membola per IL7 Magazine
Le origini delle grande venerazione popolare verso San Giorgio sembrano portare ai principi del IV secolo, pochi decenni dalla morte del “megalomartire” riconosciuto da tutte le chiese cristiane.
In Italia ci sono ben 169 comuni e altre località minori dove il Santo, rappresentato sul cavallo bianco nell’atto di trafiggere il drago, è riconosciuto come patrono, di questi luoghi 21 portano il suo nome.
A Brindisi la diffusione del culto risale al XII secolo, probabilmente in concomitanza con le prime crociate e con l’incremento del passaggio dei pellegrini e dei traffici marittimi con la Terra Santa. Ne furono promotori i normanni ed i veneziani, già devoti al Santo, che divenne così il Patrono della nostra città. Risalirebbe a questo periodo l’arrivo a Brindisi del braccio mummificato di San Giorgio, reliquia oggi conservata in una teca nel Museo Diocesano “Giovanni Tarantini” presso la chiesa di Santa Teresa.
La devozione per San Giorgio si consolidò in epoca aragonese, quando al Santo-militare fu dedicata una festa di grande partecipazione popolare, una sorta di riconoscimento ai dominatori dell’Italia meridionale e al loro santo protettore. Durante i 71 anni di sovranità aragonese infatti furono realizzate imponenti ed importanti opere di fortificazione a difesa del centro abitato, che scongiurarono una possibile invasione turca, come avvenuto tragicamente a Otranto con l’atroce attacco del 12 agosto del 1480. Brindisi e Gallipoli furono le uniche città della Terra d’Otranto a rimanere fedeli agli aragonesi anche quando il re di Francia Carlo VIII, discendente degli Angioini, conquistò quasi interamente il regno prima di essere respinto dalle truppe dell’alleanza (1494-1495). Ferdinando d’Aragona volle ripagare la fedeltà dimostrata con importanti benefici, facendo altresì coniare una moneta in argento e rame dove su un lato erano incise le parole “Fidelitas Brundusina”, asserzione ancor’oggi riportata nell’emblema cittadino, e sull’altro lato l’effige di san Teodoro – divenuto santo patrono della città – in tenuta militare e scudo, sul quale erano rappresentate le due colonne romane. Le monete furono foggiate sia nella zecca di Brindisi, che durò per tutto il periodo aragonese, ma anche nelle altre città del regno e nella stessa Napoli. Un legame che vide i brindisini fa propria anche una importante tradizione dei dominatori, la Cavalcata di San Giorgio.
La cerimonia in onore del martire protettore di Saragozza, capitale d’Aragona, si svolgeva nell’ultima settimana di aprile e prevedeva un imponente corteo per le strade della città di due compagnie di archibugieri, ognuna comandata da un capitano. La prima accompagnava il Sindaco della città che a cavallo “circondato da molti staffieri riccamente vestiti, recava il gonfalone della città con le sue insegne: da una facciata lo stemma con le colonne, antica arme di Brindisi, e dall’altra l’immagine loricata di S.Teodoro”. Seguiva la compagnia con a capo il Camerlengo (o Maestro giurato), anch’esso a cavallo ed armato di spada a simboleggiare il potere, circondato da tutti i nobili brindisini, armati sui propri destrieri.
Il corteo partiva dal Sedile (il palazzo di città) e giungeva al Castello di Terra tra rulli di tamburi, il suono delle trombe e gli spari a salve degli archibugi. Qui li attendeva il Castellano, che sul ponte, dopo aver fatto “molte cerimonie”, consegnava al Sindaco lo stendardo reale. Questi giurandone solennemente la restituzione, lo affidava al Camerlengo.
Il corteo a questo punto si ricomponeva con in testa la compagnia del Camerlengo, e dopo aver fatto il giro della città, giungeva alla piazza nobile tra “strepiti di tamburi, di trombe, di scoppi e artiglierie”. Mentre il Sindaco nel suo discorso inneggiava al re, alle finestre del Palazzo pubblico venivano issati i due stendardi, che qui restavano esposti per otto giorni. Il primo maggio si ripeteva la cavalcata per riportare il vessillo reale al Castellano in rispetto alla promessa fatta dal Sindaco.
Durante l’intera settimana veniva permesso ai cittadini di armarsi ed “esercitarsi amichevolmente alle armi”, una pratica che doveva essere utile anche per l’addestramento alla guerra ma che in realtà si trasformò ben presto in scontri e risse tra cittadini dei quartieri rivali e tra questi e i soldati della guarnigione, con prigionieri da una parte e dall’altra dello schieramento. Durante queste finte battaglie popolari, originariamente amichevoli, venivano utilizzate spade di legno e pietre che causarono numerosi feriti gravi e anche alcuni morti, tanto che ”furono vietati sotto gravi pene”.
Il “pittoresco spettacolo” della festa venne inoltre rovinato dalle discordie nate per “futili questioni di precedenza tra il Sindaco ed il Camerlengo”, pertanto verso la fine del cinquecento il Viceré decise di sopprimere l’intera cerimonia.
La Cavalcata in onore di San Giorgio è una cerimonia che continua a svolgersi regolarmente in questo periodo in alcune località della Baviera, dove figuranti in abiti tradizionali, musicisti e fantini in sella a cavalli ornati a festa percorrono il centro cittadino dove poi si svolge la “danza delle spade”. Anche a Bitti, cittadina del nuorese, e a Montorgiali nel grossetano, sempre nell’ultima settimana di aprile si svolge una processione con i cavalli bianchi in onore del santo draghicida, celebrato il 23 del mese.
A Brindisi troviamo importanti ed antiche rappresentazioni del martire di Nicomedia: su una formella che compone il rivestimento argenteo dell’arca che ha contenuto le spoglie di San Teodoro d’Amasea durante la sua traslazione a Brindisi, San Giorgio sarebbe raffigurato come “un intrepido cavaliere che affonda la lancia nelle fauci di un famelico drago […] senza barba, munito di scudo crociato e collocato tra due palme”; il santo nativo della Cappadocia è anche presente sul pannello dorsale degli stalli frontali del coro dei canonici della Basilica Cattedrale, e in uno degli affreschi presenti sulle pareti del Tempio di San Giovanni Al Sepolcro, leggibile solo nella parte posteriore del cavallo con il braccio destro del cavaliere, la spada al suo fianco, il mantello rosso svolazzante sotto l’armatura e il drago trafitto dalla lancia, che si contrappone all’animale orientato nel senso opposto dipinto sullo strato inferiore. L’immagine è riproposta sulla controfacciata della chiesa di Sant’Anna, su un affresco della seconda metà del XIII secolo, ormai in buona parte sbiadito.
Al santo cavaliere, protettore sia dai crociati che dai loro avversari islamici, era intitolato il bastione demolito nel 1865 durante i lavori di costruzione della stazione ferroviaria, una chiesa situata nella zona, e la domus templare brindisina, attiva già dal 1169.