“Culla cozza”: si torna a coltivare mitili nelle acque del porto

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Se tutto va per il verso giusto, nel giro di qualche anno i brindisini, e non solo loro, potranno tornare a gustare cozze nere ed ostriche a chilometri zero, vale a dire prodotte ed allevate nel nostro fecondissimo mare, rinverdendo una tradizione che dopo duemila e passa anni di vita, era andata via via scemando dopo l’avvento della grande industria chimica ed energetica a Brindisi, che aveva portato allo spostamento dei pali delle cozze dalle foci di Fiume Piccolo e Fiume Grande al lato opposto del porto medio, in località Sciaia, che vuol dire allevamento di ostriche, salvo essere definitivamente sfrattati dalla improvvida localizzazione in zona Marimisti dei cantieri navali e, poi, poco più avanti anche del porticciolo turistico. Il tentativo di effettuarne la coltivazione nel porto esterno, fra l’Isola di Sant’Andrea e la Diga di Punta Riso, andata avanti per una decina di anni, si scontrò con l’avvio degli invasivi lavori –mortiferi per animali filtratori come sono i mitili – per la realizzazione della colmata di Capobianco, rimasta, per tutta una serie di vicissitudini, incompleta e inutilizzata.
Vogliamo parlare del progetto “culla cozza” che aspira alla creazione di una vera e propria fattoria didattica nel mare del porto di Brindisi per riportare in auge la cozza nera settembrina e le ostriche tipiche brindisine, da coltivarsi tassativamente senza l’uso di plastica, onde evitare lo scempio che si è venuto a creare nei fondali del Mar Piccolo di Taranto – letteralmente soffocati da milioni di retine tubolari in materiale sintetico, abbandonate in mare, anziché smaltite, da quella stessa gente che dai generosi frutti del mare trae sostentamento e che costituiscono un pericolo mortale per molte specie marine, inclusi cetacei e tartarughe – sfruttando tutti quei materiali vegetali che un tempo venivano impiegati per la pesca e l’allevamento tradizionale.
La fase sperimentale ha fino ad ora dato buoni esiti e un primo raccolto, sia pure di soli 250 chili, di cozze settembrine, hanno confermato la bontà del prodotto, invogliando ad andare avanti.
Abbiamo rivolto qualche domanda sull’argomento all’amico Mino Donativo, Maresciallo della Brigata Marina San Marco, da sempre attivo in attività di associazionismo e volontariato con particolare attenzione al mondo del mare, dello sport e della storia della città, che è anche il presidente dell’associazione che sta portando avanti, con determinazione, questo interessante progetto.
Innanzi tutto, cercando di non abusare di terminologia anglofona alla quale sono personalmente allergico, preferendo il ritorno all’idioma locale, potresti illustrare il progetto “culla cozza”, come è nata questa idea, chi ne sono gli autori e come e dove si sta sviluppando?
“In effetti, parlando di cozze, è più facile usare termini nostrani come zoca (il bisso del mitile) che termini anglofoni. Siamo un gruppo di appassionati del mare e della città Brindisi con specifiche competenze che ha focalizzato il proprio interesse verso il mare e le risorse che da esso derivano. Siamo tra i vincitori del bando Innova Brindisi del Comune di Brindisi e grazie a Palazzo Guerrieri, cogliendo tale opportunità, abbiamo creato una Associazione di Promozione Sociale Poseidhome, la casa del mare, che ci permette di realizzare il sogno di riportare le nostre antiche tradizioni al centro di un modello di sviluppo alternativo a quello dell’industria, legato al mare e ai suoi mestieri.
Il motore del progetto è Michele Petracca, il professore, colui che dall’alto della sua età ed infinita esperienza ci guida e ci insegna le antiche arti ed i mestieri del mare, assistente di laboratorio all’Istituto Nautico Carnaro, vanta una grandissima esperienza che spazia dalla produzione di mute artigianali negli anni 90, alla creazione della coop.soc. Euro Pesca che nei primi anni del 2000 ha prodotto cozze brindisine per alcuni anni, coinvolgendo ex detenuti e ragazzi inoccupati; la burocrazia, gli eventi, ma soprattutto gli interessi industriali sul porto, hanno fatto desistere nel proseguire questo splendido progetto per la produzione di Ostriche e Cozze nere brindisine. Il nostro Popeye, Marcello Romanelli, è colui che della pesca ne ha fatto un mestiere, infatti lui è uno dei pochi pescatori professionisti ancora in attività in città, che si occupa di pesca turismo e delle uscite in mare. Della squadra fa parte Dino Graziano. che studia per diventare guardia ambientale e si occupa del rispetto delle leggi e della tutela della natura oltre di visite guidate in zone umide, parchi e riserve. Chiudono la squadra alcuni ragazzi che sono le braccia e l’energia dell’associazione come Andrea Petracca e Gianmarco Quarta, oltre a collaborazioni esterne come quella dell’ingegner Francesco Viva che insieme al padre ci assistono con prototipi e progetti realizzati con la stampa 3D.
Il progetto intende ripercorrere l’esperienza maturata, ricreando inizialmente un piccolo laboratorio per la sperimentazione della mitilicoltura autoctona, che appunto rappresentano la CULLA, per lo sviluppo e la produzione della COZZA brindisina,oltre a riproporre vecchi mestieri ed artigianato salentino in ottica plastic free da offrire come esperienze a turisti, studenti e disoccupati.
I Francesi, noti come i signori delle ostriche, riguardo alla coltivazione dei pregiati molluschi, qualcosa l’hanno imparata da noi. Per la precisione, a insegnarglielo sono stati i Borboni di Napoli che, a loro volta, avevano appreso la tecnica dagli antichi romani. Risale a quell’epoca un personaggio passato alla storia col nome di Sergius Orata, il quale impiantò un fiorente allevamento di pesci e, soprattutto, di ostriche divenendo più ricco di quanto si potesse immaginare. Della sua intraprendenza imprenditoriale racconta Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia: Sergio Orata aveva importato le ostriche da Brindisi per avviarne la coltivazione nel lago costiero di Lucrino, poco a nord di Napoli, ed aveva ideato delle tecniche di coltura, alcune delle quali tuttora utilizzate in Francia, come l’utilizzo di tegole spalmate di calce e sabbia per ospitare il raggruppamento delle ostriche che venivano disposte sul fondo marino o su impalcature in legno, o ancora quella consistente nel praticare un minuscolo foro sul guscio delle ostriche ancora piccole e unirle in serti che poi venivano appesi a pali di legno infissi nell’acqua, per agevolarne la raccolta.
Questo salto nel tempo è utile capire come la nostra idea progettuale oltre a riportare in auge la produzione dei famosissimi molluschi made in Brindisi, possa farlo ritornando nello stesso tempo all’utilizzo di materiali semplici e del tutto naturali, sposando la nuova tendenza del Plastic Free, nella realizzazioni delle piccole sciaje didattiche. L’intento è quello di riportare Brindisi ad essere la nuova frontiera delle ostriche e delle cozze nere datterine (le settembrine).
Spesso, quando si parla di mitilicultura, si usano termini tipici della cultura contadina come semina e innesti; ci vuoi riassumere la vita di una cozza nera dalla nascita fino al momento in cui viene servita in tavola?
In effetti è curioso notare che riferendosi all’allevamento delle cozze, spesso si usano termini tipici dell’agricoltura, come coltivazione, raccolta e seme, a sottolineare le similitudini concettuali di questa attività con le colture vegetali. I mitili, comunemente chiamati cozze ma noti con diversi nomi regionali, sono molluschi bivalvi filtratori, dotati di guscio e valve, apparati simmetrici uniti fra loro e da legamenti, che possono chiudersi rapidamente, riaprirsi o rimanere serrati grazie all’azione di piccoli ma efficienti muscoli. Le due facce della conchiglia sono unite da una cerniera dentellata che si trova nell’estremità più sottile. Queste creature marine dalla forma a goccia possiedono branchie e lamelle, necessarie per assorbire l’ossigeno e al contempo trattenere il nutrimento, costituito da microplancton e particelle sospese nell’acqua. Il guscio presenta cerchi di accrescimento ed è generalmente nero all’esterno, ma può assumere tinte dal viola al marrone e forme leggermente differenti, in base alle zone di provenienza, mentre l’interno è azzurrognolo e iridescente. Negli esemplari adulti, il mollusco all’interno può essere arancione carico, per le femmine, o giallo, per i maschi, mentre i bordi delle lamelle branchiali sono neri. La riproduzione avviene fra la primavera e l’estate, e diversamente da vongole e capesante, le cozze non vivono sotto la sabbia e non hanno organi propulsivi per muoversi in acqua, ma restano fissate a strutture di vario tipo grazie al bisso, un intreccio di fibre molto resistenti che si elimina con la pulizia prima della cottura. Questi animali -che possono raggiungere e talvolta superare i 10 centimetri di lunghezza e i 4-5 di larghezza e vivono anche più di cinque anni- appartengono al genere Mytilus, il quale comprende due specie simili, la edulis (cozza comune) diffusa soprattutto nell’Oceano Atlantico, e la galloprovincialis (mitilo mediterraneo). Quest’ultima, la più presente sui nostri banchi del pesce, allo stato selvatico vive nei pressi degli scogli, ed è presente anche in Mar Nero e sulla costa atlantica orientale. I mitili hanno colonizzato diverse aree del mondo, dove sono considerati specie invasive. Spesso si attaccano agli scafi delle grandi navi commerciali, cosa che ha permesso un trasporto involontario e una propagazione globale. In Italia il litorale con maggiore presenza è quello adriatico, dove è diffuso l’allevamento delle cozze e il suo commercio costituisce da secoli una fetta importante del mercato ittico. In questo bacino anche gli esemplari selvatici trovano un habitat ideale, grazie alle foci dei fiumi e alle acque salmastre, ricche di nutrimento. Il ciclo della miticoltura dura circa un anno, ma in alcune aree, come l’Adriatico, anche meno”.
So che la pesca sostenibile e l’utilizzo di materiali non plastici sono una vostra come anche una mia fissa; da frequentatore subacqueo del Mar Piccolo a Taranto conosco la tragedia di un fondale letteralmente soffocato da milioni di vecchie retini da cozze, abbandonate da allevatori incivili ed ingrati verso quello stesso mare da cui traggono sostentamento per vivere. Mi sembra di aver capito che se vincerete la vostra scommessa con la cozza brindisina non si correrà questo rischio, è così?
“Nel nord Europa ci sono aziende che producono cozze riducendo i rifiuti, utilizzando corde riciclabili e altri materiali biodegradabili e riescono a mantenere anche volumi di produzione sostenibili. Il mercato alimentare è sempre più attento all’ambiente e la certificazione biologica è un vantaggio importante. Mi piace ricordare che un chilo di cozze produce solo 200 grammi di CO2, mentre la stessa quantità di carne bovina ne produce 34 chili. La nostra sperimentazione ha voluto testare materiali, tecniche e dati sulle temperature e sulle correnti marine e in oltre 5 mesi di lavoro siamo riusciti a lavorare con più soluzioni, al fine di comprendere meglio quali possano essere le condizioni di produzione per la realizzazione di un impianto su larga scala. Nel corso della sperimentazione sono state portate in produzione differenti tecniche, definite classiche o tradizionali, abbiamo sostituito la calza o retina in pvc, che come evidenziavi è il vero problema, altamente inquinante, della produzione massiva industriale, con una realizzata da noi in fibra vegetale e siamo riusciti a produrre più di quanto preventivato grazie ad alcuni accorgimenti suggeriti da esperienze pregresse. Abbiamo testato la durata dello spago di juta – la cimetta di lino – la fibra di cocco e canapa, siamo riusciti a misurare la forza di carico e la durata in termini di giorni, per confermare la resistenza in acqua saline. Sempre con la convinzione che i materiali vegetali siano gli indiscussi protagonisti per una coltivazione senza plastica, i nostri dati hanno confermato non solo la buona tenuta ma anche una certa resistenza alla salinità, alle temperature ma sopratutto all’usura dei materiali stessi, garantendo una tenuta che rende il tutto consono con i tempi e la qualità del prodotto finale”.
Non ti faccio una domanda finale, né ce ne sono di riserva, ma ti lascio tutto lo spazio che ti serve per dire ciò che vuoi e lanciare il messaggio che preferisci: che ci dici?
“Intanto ringraziamo per lo spazio e l’attenzione che ci state dedicando,qualsiasi iniziativa senza il supporto dei media locali non sarà mai abbastanza valida da essere conosciuta. Dopo le restrizioni per la pandemia che ci ha tenuti fermi e distanti per diversi mesi, finalmente possiamo tornare a programmare ed incontrarci per realizzare quello che stiamo progettando, restiamo un gruppo aperto con la convinzione che più personalità e professionisti riusciamo a coinvolgere, più facile diventa la realizzazione della Fattoria Didattica del Mare. In questi mesi ci dedicheremo alla richiesta formale di uno specchio d’acqua e alle relative autorizzazioni affinché presto si possa parlare dell’impianto nato da uno esperimento sociale. Ci piacerebbe presto replicare ma sopratutto alzare il livello con la sperimentazione della coltivazione delle Ostriche con la convinzione che, grazie caratteristiche del nostro mare, possiamo ottenere un prodotto che porti Brindisi e le sue cozze nei piatti e nelle piazze internazionali della cucina del mare. Il nostro progetto prevede anche la realizzazione di prodotti artigianali locali salentini con l’utilizzo di materiali disponibili a costo zero in natura, corsi per la realizzazione di nasse, ceste e accessori e l’utilizzo di scarti come i gusci delle ostriche per la madreperla: si tratta di altre idee che stiamo sviluppando, immaginando la creazione di botteghe artigiane.
Siamo sicuramente dei sognatori ma poiché restiamo convinti che un solo posto di lavoro in più che saremo capaci di creare può rendere felice qualcuno, noi continueremo a sognare”.