Dai pappamusci al tabacco, in una lama di Ostuni

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

La recentissima notizia del possibile investimento dell’ex ministro allo Sviluppo Economico del governo Monti, il facoltoso banchiere Corrado Passera, ad Ostuni che riguarderebbe l’edificio dell’ex Fabbrica del Tabacco che, se tutto va secondo i programmi del gruppo che si sta occupando dell’acquisizione dell’immobile e dell’ottenimento delle autorizzazioni necessarie, presto dovrebbe risorgere come lussuoso resort, mi ha fatto venire la curiosità, sfruttando anche la stupenda mattinata di sole di cui abbiamo goduto domenica scorsa, di tornare a dare una sbirciatina in questa zona di Ostuni, vicina al nuovo parcheggio situato a valle del centro storico, che è ancora fuori dal normale circuito turistico ed in gran parte ancora coltivato ad orti – questo è anche il nome che si da alla zona adiacente allo stesso, in contrada Rosara – che sale verso il Santuario della Madonna della Grata e porta verso la Cripta di Santa Maria della Nova, in un percorso tutto in salita, in alcuni tratti anche ripida, fra il verde, con splendidi affacci e scorci sulla Città Bianca e sulla sontuosa Cattedrale posta in cima al colle.

L’interno della grotta adibita a chie sa rupestre già in epoca bizantina

Giunto ad Ostuni, usufruendo della nuova bretella stradale che, provenendo da Costa Merlata, introduce direttamente verso il grande parcheggio ai piedi del centro storico, lascio la mia auto, come mio solito, ben prima del mio primo obiettivo e, armato di fotocamera, mi incammino costeggiando i muretti a secco posti a bordo via.
E’ noto che percorrendo “pedibus calcantibus” un percorso fatto tante volte in auto, si notano particolari che altrimenti potrebbero sfuggire all’attenzione, uno fra questi, davvero notevole, mi ha fatto soffermare a lungo nei pressi della ex Stazione di Posta, una struttura cinquecentesca trasformata da qualche anno, tanto per cambiare, in un lussuoso Resort denominato Sant’Eligio ed il motivo di questo nome balza subito agli occhi osservando l’antico arco posto davanti a quello che originariamente era l’ingresso. Il nome deriva dalla dedica al santo protettore dei maniscalchi che operavano nelle stalle della Stazione di Posta “Camposada”, inoltre vi è un antico stemma con la scritta “quisquis huc venit huc rediet” (chi qui viene qui ritornerà), quanto mai adatta per una struttura alberghiera ed il fatto che risalga a secoli fa rende la cosa ancora più suggestiva.

Proseguendo verso il centro abitato si incontra prima l’antica chiesa, sconosciuta anche a molti ostunesi, di San Francesco di Paola, costruita nel XVIII secolo sull’area prima occupata dalla trecentesca chiesa intitolata a Santa Maria Maddalena, con annesso trecentesco convento, trasformato dopo l’unità d’Italia in ospedale ed ora adibito a casa di riposo, confinante con la vecchia Fabbrica del Tabacco la quale, nella sua struttura originaria ottocentesca ne faceva parte integrante come nuova area conventuale.
Dal momento che ci sono auto parcheggiate dappertutto che “inquinerebbero” le foto, per poter fare qualche scatto decente sono costretto ad arrampicarmi su una piccola altura da cui si può ammirare la innegabile bellezza, nel suo insieme, di quello che per alcuni, focalizzando l’attenzione solo sull’opificio, potrebbe essere considerato alla stregua di un grande manufatto in abbandono o, al più, avente qualche spunto di interesse per gli appassionati di archeologia industriale.

Evito di soffermarmi sulla leggenda metropolitana che collega la chiusura della fabbrica ad un tragico incidente che, sessanta anni fa, costò la vita alla giovanissima figlia del proprietario (il cui fantasma si aggirerebbe ancora in loco, ma io preferisco pensare che la sua anima innocente sia stata consegnata subito alla pace eterna) in quanto, oltre che sfornita di dati certi, è innegabile che proprio in quel periodo, a causa delle importazioni dall’estero, l’intero comparto, nella prima metà del secolo scorso, fiorente in tutta la Puglia meridionale della coltivazione e trasformazione del tabacco subì una crisi senza precedenti che portò allo smantellamento, nell’arco di un decennio, di tutti gli stabilimenti simili.
Anziché dirigermi, come sono portati a fare i turisti ed i visitatori, verso il centro storico, imbocco decisamente la stradina in salita posta sulla sinistra che porta al Santuario della Madonna della Grata, costruito ad inizio Novecento, nei pressi di una antica cappella, a seguito di un evento ritenuto, dalla pietà popolare, miracoloso: la guarigione immediata ed inspiegabile di un uomo affetto da dolori atroci alla colonna vertebrale (in dialetto chiamata grata), che si era rivolto con fede e devozione ad una effigie della Madonna situata nelle predetta cappellina rurale, di poi trasferita, non senza problemi, nella nuova chiesa.

Il complesso della chiesa di San Francesco di Paola e sulla sinistra si intravede la Fabbrica dei Tabacchi

Sapendo per una pregressa esperienza che continuando diritto mi sarei ritrovato chiuso da alti muri a secco e cancelli delimitanti le proprietà private, ho preso la stradina a sinistra che apparentemente allontana dalla città ma che, dopo un centinaio di metri, si interseca con un viottolo da cui si può proseguire a piedi la salita, davvero irta in alcuni punti al punto che metterebbe a dura prova i muscoli dei ciclisti più esperti i quali, non a caso, preferiscono allungare l’itinerario per arrivare sulla provinciale che collega Carovigno ad Ostuni e che in un tratto domina dall’alto proprio questo costone di “lama” ostunese, un tempo detta “li Furchi” cioè luogo di ricovero di animali selvatici, in quanto talmente sterposa e selvaggia da non essere ritenuta coltivabile o, altrimenti, utilizzabile a causa del pietrame e della inestricabile invadenza della vegetazione spontanea.

Prima di arrivare alla auspicata meta si incontra una ricca dimora residenziale, vecchia di almeno un secolo, con la curiosa e ricercata forma di antico maniero, con tanto di merli e torrino e, nell’agro circostante, si notano alcune “casedde” (i trulli salentini conosciuti nel leccese col nome di pagghiare) che fanno da umile contrasto allo sfarzo del castello. In uno spiazzo erboso l’inciviltà dell’uomo moderno e la poca accortezza della autorità preposte al controllo ha fatto si che si venisse a formare una vera e propria discarica a cielo aperto dove i cafoni di turno abbandonano l’impossibile; un abitante della zona, incuriosito dalla mia presenza, mi confida che è una piaga a cui non si riesce a porre rimedio e, alla luce anche della mia esperienza itinerante, non posso che condividere il suo rassegnato pensiero.

Neanche questa stradina in salita conduce direttamente alla cripta ma sbuca sulla provinciale appena pochi metri prima della comoda scalinata che scende verso la chiesa di Santa Maria della Nova, edificata nel 1561 proprio davanti all’ingresso della cripta situata nella profonda grotta che ospita l’antica chiesa rupestre, risalente – secondo gli studi condotti una quarantina di anni fa dal vecchio rettore della cappella don Luigi Roma, e riportati in un libro scritto a due mani dal suo successore, don Cosimo le Grottaglie e da Luigi Greco – alla seconda colonizzazione bizantina, avvenuta un migliaio di anni addietro ad opera dell’imperatore Basilio il Macedone circa mille anni fa, quando furono edificate anche le mura cittadine che, ancora oggi, imbiancate di calce, rendono così suggestiva e maestosa la vista di Ostuni.

Come abbiamo accennato, la chiesa con annessa cripta è situata in cima alla lama li Furchi, si tratta di una struttura gotica priva di fronzoli e molto squadrata, anche se non manca qualche archetto ed un grazioso rosone decorato, come era nello stile dell’epoca, con motivi antropomorfi e vegetali.
Ciò che è davvero splendido si trova al suo interno: si tratta dei tanti affreschi presenti sia nella chiesa cinquecentesca che nella retrostante cripta.
Innanzi tutto Santa Maria della Nova (cioè della buona novella) con in braccio Gesù Bambino, affianco a San Bernardino da Siena con in mano un libro aperto.
Notevole è l’influenza bizantina anche sugli affreschi cinquecenteschi, come, ad esempio Gesù che benedice alla maniera greca, con tre dita della mano destra. Nella cripta ci sono gli affreschi della Virgo Lactans (la Vergine Maria che allatta il Bambinello), molto simile alla Madonna Galactotrofusa presente nella chiesetta di Sant’Anna a Brindisi, la Madonna Nikopeia, cioè portatrice di vittoria, che è stata quella maggiormente raffigurata non solo sulle icone, ma anche sugli stendardi delle truppe bizantine, poi la Deesis col Cristo giudice e scene della flagellazione e crocifissione. Ai piedi della Croce vi è raffigurata una processione di flagellanti inginocchiati in perfetta tenuta da “pappamusci”; tale affresco è datato 1524, per cui rappresenta con ogni probabilità una delle prime rappresentazioni di queste confraternite che fra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo cominciarono a prendere piede nel nostro territorio e, ancor oggi, sono molto importanti per i riti tradizionali della Settimana Santa, specialmente nella vicina Francavilla Fontana.

Il cinquecentesco arco d’ingresso ingresso della Stazione di Posta

Altre figure simili ai pappamusci sono riportate ai piedi di un affresco posizionato sul lato destro della chiesa cinquecentesca, per cui risalgono ad un periodo sicuramente successivo rispetto a quelli della cripta, ma sono l’ulteriore dimostrazione della sempre maggiore importanza che stavano assumendo alle nostre latitudini e che avrebbero toccato l’apice nel secolo successivo.
Secondo gli studiosi il termine pappamusci deriverebbe da papamoscas che, nell’etimologia spagnola, sta a significare babbeo, proprio nel senso di colui che babba guardando le mosche, anche se dalle nostre parti si accarezza l’idea che possa significare “mangia gatti”, la qual cosa ha contribuito al sorgere, nei paesi limitrofi, della leggenda metropolitana dura a morire che vuole i francavillesi ghiotti divoratori di questo sornione felino.

A Taranto i membri delle confraternite che tutt’oggi animano la processione di misteri sono chiamati “perdoni”, mentre a Grottaglie “bubbli bubbli”, un termine che rievoca lo spauracchio dei bambini, a Gallipoli, dove è celebre la processione in cui portano in giro per il borgo vecchio statue di cartapesta, semplicemente confratelli.
La caratteristica che ne denota la comune origine e la derivazione dalle antiche confraternite dei flagellanti è che, siano essi pappamusci, perdoni, confratelli o bubbli bubbli, procedono lentamente in coppia, indossano una tunica e sono scalzi ed incappucciati, proprio come quelli che abbiamo visto raffigurati negli affreschi della chiesa rupestre di Santa Maria della Nova.
Va precisato, per evitare di andare incontro a delusioni, che attualmente la chiesa che ospita la cripta è, ad eccezione di particolari festività religiose, quasi sempre chiusa, per cui è bene informarsi presso la parrocchia dei Santi Medici Cosma e Damiano, da cui dipende, per avere dettagli sulle possibilità di visita .