Dal Centro Fauna selvatica di Ostuni al suggestivo santuario di S.Biagio, passando per i colli

Domenica scorsa mi sono aggregato molto volentieri ad una bella iniziativa del Presidente WWF Brindisi, Giovanni Ricupero, che, questa volta, non aveva nulla a che vedere con l’attività di volontariato in senso stretto, del genere, per intenderci, della pulizia di un bosco o di una spiaggia o altra iniziativa meritoria per l’ambiente, ma, più semplicemente, una visita guidata presso il Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi, nella sede di Ostuni, a cui ha fatto seguito un’escursione sui colli sovrastanti, davvero molto interessante ed avvenuta nello spirito dell’aggregazione, della socializzazione e dell’amicizia, perfettamente in linea con lo scopo primario di questa associazione dedita alla tutela ambientale ed all’armonia fra uomo e Natura.
Considerata la giornata domenicale, l’orario scelto è stato decisamente comodo, con appuntamento in contrada San Lorenzo, dove, in una antica masseria di proprietà dell’ente provinciale, circondata da olivi plurisecolari, nella pace più assoluta, insiste la sede di Ostuni del Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi.
Ad accoglierci, sbrigate le incombenze burocratiche e non, resesi necessarie nel rispetto delle misure antipandemia Covid-19, c’è la responsabile del Centro Fauna, la biologa Paola Pino d’Astore, che ha rinunciato volentieri alla giornata di riposo domenicale, per fare da cicerone a beneficio, specialmente, dei più giovani del gruppo.
Nel “briefing” iniziale si è spiegata la differenza, anche per le leggi in vigore, oltre che dal punto di vista etologico, fra l’animale selvatico e quello domestico, nonché l’importanza che, nel caso di orfanelli come cuccioli di mammiferi o pulli di uccelli, non si perda l’identità di specie che al contrario deve essere rinforzata durante la necessaria degenza in modo da poter essere rilasciati in natura, perché lo scopo di strutture come quella gestita dalla Santa Teresa SpA per conto della Provincia di Brindisi, è proprio quello di dare una nuova chance di vita allo stato libero ad animali selvatici che, senza il soccorso umano, sarebbero sicuramente deceduti.
E’ seguita, poi, la visita vera e propria alla struttura ed alle sue spaziose voliere: mentre gli adulti sono stati molto presi da una Poiana, un bel rapace diurno stanziale, che ricorda nelle forme una piccola Aquila, colpita da pallini di un’arma da fuoco, pur essendo specie protetta e, per di più, nel mese di luglio a caccia chiusa, riportando anche una frattura dell’omero per la quale è nella fase di riabilitazione al volo, la fantasia dei bambini è stata, invece, catturata da animaletti più semplici e conosciuti, come un cardellino ed una tortorella, oltre che alcune testuggini terrestri tenute in custodia che, con grande gioia e partecipazione, hanno loro stessi provveduto a nutrire, sotto l’attento sguardo della responsabile del Centro Fauna.
Come ci riferisce la biologa Paola Pino d’Astore, da che, dopo la chiusura durata quasi due anni a seguito della riforma Delrio, il Centro Fauna è stato riattivato (grazie ad una convenzione fra Regione Puglia e Provincia di Brindisi), sono stati numerosissimi gli animali selvatici, in gran parte appartenenti a specie protette, che nel 2019 sono stati soccorsi, curati e riabilitati. Significativo è risultato il numero di esemplari che sono tornati a vivere liberi in natura, ovvero il 59% dei soggetti ricoverati. Le specie rinvenute in difficoltà appartengono prevalentemente al gruppo zoologico degli uccelli, seguito dai mammiferi (Riccio europeo, Volpe, Lepre europea, Pipistrello) e dai rettili (testuggini terrestri e di palude). Tra gli uccelli, oltre ai rapaci diurni e notturni, si registrano anche quelli acquatici (Cormorani, Gabbiani, Aironi, Anatre) e urbani (corvidi come la Gazza e la Taccola; passeriformi come il Verdone, il Verzellino, il Cardellino, la Capinera, la Cinciarella; e poi Rondoni e Tortore dal collare orientale), nonché altre specie come l’Upupa, la Rondine, la Ghiandaia.
Tra le cause del ricovero vi sono le fratture degli arti (da impatto con auto, oppure da colpo di arma da fuoco), i traumi cranici, le ferite lacero-contuse, le infezioni batteriche, cuccioli e pulcini che hanno perso i genitori, l’intrappolamento accidentale (in rete, ami e lenze, fili di cotone, fil di ferro), l’imbrattamento del piumaggio (con vernice, colla, erba appiccicosa). Ed è sempre in aumento la sensibilità e l’attenzione delle persone che si prodigano per aiutare ogni selvatico casualmente rinvenuto in difficoltà.
Terminata la visita guidata nel Centro Fauna, abbiamo raggiunto e visitato, sui colli di Ostuni, l’Oasi Naturalistica di San Biagio, uno dei luoghi preferiti dagli operatori faunistici per il rilascio di fauna selvatica riabilitata e pronta per il ritorno in natura, nei casi in cui si tratta di specie idonee all’habitat boschivo a macchia mediterranea.
Lasciate le auto ai margini della strada asfaltata, ci siamo incamminati dapprima su uno sterrato dal paesaggio incantevole e sorprendente che conduce verso una bella masseria dedita all’allevamento di ovini e bovini dove, all’ombra di un maestoso ulivo secolare, vi era un bel gruppetto di mucche che ruminava beatamente e la cui vista contribuiva, ancor più, a rendere magica l’atmosfera bucolica del luogo.
Lasciata alla nostra destra la masseria, il cammino fra rocce e pietrisco, è divenuto più impervio anche perché, essendo in discesa, bisognava davvero stare attenti a dove si mettevano i piedi. Per questo i tentativi dei bambini di farsi una corsetta, sono stati prontamente stoppati dagli attenti genitori.
Ci rendiamo subito conto di essere davvero in un sito di grande valore paesaggistico dove la vegetazione, composta in massima parte da essenze mediterranee, appare incontaminata. Nel primo tratto, quello più brullo ma non per questo meno bello, la macchia mediterranea è più bassa ed è composta, soprattutto, da piante estremamente resistenti alla siccità come il Cisto, il Rosmarino ed il Timo, man mano che si procede la vegetazione diviene più folta e gli arbusti sono più alti, riconoscibilissimi e frequenti sono il Lentisco, la Fillirea, il Corbezzolo, la Ginestra e l’Oleastro, mentre nella vera e propria boscaglia, divengono specie dominanti le querce come il Leccio e la Roverella.
Giunti, più o meno, a metà strada, giungiamo in un punto molto panoramico dove, dall’alto colle di Rialbo, possiamo ammirare in tutta la sua bellezza la Piana degli Ulivi secolari che dai piedi dei colli di Carovigno, Ostuni e Fasano, arriva fino al mare: un paesaggio davvero mozzafiato, quello sul Parco Naturale Regionale delle Dune Costiere, che in una giornata splendida, come è stata quella della nostra “scampagnata”, ha permesso allo sguardo di spaziare dal Pilone fino al faro di Torre Canne ed oltre.
Siccome siamo diretti al Santuario rupestre di San Biagio, edificato fra le rocce verso il XII secolo, era impossibile non pensare, da un lato, alla bellezza del paesaggio di cui potevano godere i monaci orientali che per primi vennero ad abitare in questo luogo, tanto simile ad un paradiso, dall’altro il mio pensiero non poteva non soffermarsi sul fatto che, estate o inverno che fosse, questi poveri monaci basiliani che si muovevano a piedi scalzi o, al più, con degli stracci o del pellame legati alla meno peggio ai piedi, non dovevano trovare un granchè né piacevole né salutare quella che per noi è una bella passeggiata a contatto con la natura!
Dopo mezz’ora di lento cammino, essendoci adeguati al passo dei più lenti, che non necessariamente sono i più piccoli, giungiamo, finalmente, al cospetto del Santuario che, visto frontalmente, appare quasi come una semplice chiesetta dal momento che è ben visibile la sua facciata, il campanile, da oltre cento anni privo di campana, e, perfino, una bifora dal sapore decisamente romanico, in perfetta asse con l’ingresso. Una volta entrati, invece, ci si rende conto che parte di essa è ipogea, cioè costituita da una caverna naturale come, anche, ipogei, sono una serie di piccole caverne, alcune collegate tra loro, e costituenti gli altri vani dell’eremo di cui fa parte la chiesa rupestre. Sul piccolo altare, da ben 240 anni, troneggia la statua lignea di San Biagio, il padrone di casa.
Va detto che questo santo, assai prima di Sant’Oronzo, è stato scelto dagli ostunesi come patrono della Città Bianca, e fu un medico e vescovo vissuto a cavallo fra il III ed il IV secolo, decapitato durante la persecuzione di Diocleziano. Fra le sue tante peculiarità, si dice che pregarlo dia beneficio a chi soffra di malattie di gola e per questo è anche il patrono degli otorinolaringoiatri.
La sua devozione è molto sentita ad Ostuni ed ancor oggi, il giorno della sua festa, il 3 febbraio, una nutrita processione percorre a piedi gli stessi sentieri da noi percorsi, per giungere al Santuario e rendere visita al Santo.
Tale spettacolo di natura ed arte, sia anche povera, continua anche dal punto di vista geologico dal momento che a poche centinaia di metri dal Santuario, in una proprietà privata, per cui non è visitabile, c’è la Grotta di San Biagio, o Grave di Pizzocucco, dal nome del colle che la ospita, esplorata di recente, con i dovuti permessi dei proprietari e delle autorità, da un gruppo speleologico escursionistico che lo ha descritto come un’enorme voragine aperta nella roccia a cui si accede da un ingresso verticale da cui bisogna calarsi con le apposite imbracature e corde. La “stanza” sotterranea scoperta è lunga circa 100 metri ed in alcuni tratti è larga 80 metri, con stalattiti e stalagmiti che, nei punti di incontro, come alle grotte di Castellana, hanno formato delle vere e proprie colonne: ma c’è ancora tanto da esplorare e scoprire, prima ancora di ipotizzare di poter mettere in sicurezza e poter considerare turisticamente questa scoperta.
Sul sentiero di ritorno il senso di benessere e di pace che mi aveva accompagnato fino a quel momento è messo a dura prova quando scorgo, a poca distanza tra loro, ben tre vecchi bossoli di cartucce da caccia, una gialla, una rossa ed una blu, segno evidente ed inequivocabile che qualche sparatore/bracconiere – non cacciatore, in quanto il vero cacciatore non va mai a sparare dove è vietato, come è il caso di questa oasi di protezione, come anche non spara al di fuori del periodo in cui è aperta la caccia, né spara alle specie protette – è passato di qui e spero fortemente non solo che quei tre colpi siano andati a vuoto ma anche che, poi, sia inciampato su un sasso e si sia preso una bella storta alla caviglia….
Davvero una gran bella passeggiata in un luogo affascinante come è la collina ostunese che ti avvicina alla natura ed al metafisico e non a caso, la Diocesi di Brindisi-Ostuni, ha scelto la visita al Parco Archeologico e Naturale di Santa Maria d’Agnano, alla base dei colli, per celebrare, giovedì 17 settembre, la XV giornata per la custodia del creato.
Custodire il creato come restituire alla vita libera voli di uccelli e corse di mammiferi selvatici nel magnifico scenario naturalistico di San Biagio ed ascoltare un bambino di otto anni che spontaneamente ringrazia per la bella esperienza fatta in Natura.