Dalla Conca alle Sciabiche: presepi marini nei luoghi-simbolo di Brindisi

di Alessandro Caiulo per il 7 Magazine

Anche quest’anno, come è ormai tradizione, un piccolo drappello di subacquei brindisini, di cui mi onoro far parte, ha deposto la statuetta della Natività in una grotticella ad alcuni metri di profondità, alla base di una parete rocciosa, nei pressi della Conca di Cala Materdomini. Ciò è avvenuto proprio alla vigilia di Natale quando il maestrale, anzi “lu zzifuru”, per dirla alla sciabicota, ha concesso una tregua e la bonaccia o, per dirla alla brindisina, il “quagghio di mare” ha avuto il sopravvento e si sono presentate le condizioni ideali. Anche perché la giornata invernale era riscaldata da un insolito sole primaverile che ha reso veramente piacevole l’immersione la quale, così, non si è limitata al mordi e fuggi della breve processione al luogo deputato ad ospitare la Sacra Famiglia fino all’Epifania – quando verrà riportata in superficie – ma si è prolungata, essendoci concessi anche un’oretta di svago sottomarino fra polpi, pesci e le altre creature marine che popolano il nostro bellissimo mare.
Tradizione, devozione, riflessione e preghiera: c’è tutto quanto questo in un presepe, per quanto piccolo o povero o artistico possa essere e mi piace pensare, anzi ne sono convinto, che non è perché ci sia stato inculcato da piccoli, ma perché Dio che si fa uomo e decide di nascere in un’umile mangiatoia, non può lasciare indifferenti. Il presepe è il simbolo di tutto questo anche per chi si professa agnostico o lontano dalla fede cristiana.
La scelta della Conca di Materdomini, che da una quindicina di anni a questa parte ospita il presepe, non è stata casuale in quanto si tratta di uno dei luoghi simbolo dei brindisini e della brindisinità, di quella più verace che rischia di perdersi e snaturarsi dietro a chi preferisce l’omologazione alla tradizione e che, evidentemente, le radici preferisce tagliarle anziché curarle, incurante della sorte dell’albero, una volta che sarà stato privato di ciò che gli consente di far muovere al suo interno la linfa vitale.
Il pensiero, a questo punto, non può che correre verso un altro luogo simbolo, un tempo luogo del cuore pulsante, della Brindisi dei nostri nonni, che è stato scelto per mettere in mostra un suggestivo presepe: mi riferisco alle Sciabiche, il vecchio quartiere marinaro quasi completamente demolito sul finire degli anni cinquanta, in nome di un modernismo che all’epoca si spacciava per risanamento e che riteneva un bene per tutti abbattere con la ruspa, simbolo del progresso, tutto ciò che non rientrava negli schemi dei potenti di turno. Il che comportò una vera e propria diaspora del popolo sciabbicota. Solo una minima parte, tendenzialmente le famiglie colpite dalla prima ondata di demolizioni, si trasferì dirimpetto, nel cosiddetto Villaggio Pescatori che fu edificato negli anni trenta del secolo scorso al Casale, mentre tutti gli altri si sparpagliarono, pur senza perdere l’identità, nei vari rioni della Città.
Ricordiamo, a beneficio di chi non lo sapesse, che la sciabica (dall’arabo sabbak) è una rete a strascico, formata da due lunghe ali ed un sacco, usata per la pesca lungo la riva in acque poco profonde, posta in mare da una piccola imbarcazione, che poteva essere anche un semplice schifarieddu, in modo da formare una specie di semicerchio con la concavità rivolta verso la riva; viene tirata a terra da due squadre di pescatori che, gradualmente, si avvicinano fino ad incontrarsi nel momento in cui il sacco, con il pescato, solitamente costituito da pesci di piccola taglia, viene tirato a riva. Il fatto che in passato nel vecchio borgo dei pescatori vi fossero decine e decine di queste reti in mostra, specie quando il mare grosso non consentiva di andare per mare ed il tempo veniva utilizzato per la sistemazione e riparazione delle sciabiche stesse, ha probabilmente fatto si che con il nome di questo essenziale strumento di lavoro si identificasse il quartiere stesso.
Grazie a Dio qualche edificio e qualche viuzza ha resistito alla furia distruttrice dell’epoca ed oggi si comincia a comprendere l’importanza di preservare, soprattutto a beneficio delle future generazioni, questi luoghi del cuore dove tradizione, storia e folklore rappresentano un unicum che oltre a testimoniare il nostro passato, ci fanno meglio comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo andare.
Il presepe a cui faccio riferimento è quello che l’amico Franco Romanelli, sciabbicoto doc e grande cultore delle tradizioni marinare brindisine, ha realizzato, utilizzando pietre scolpite e levigate naturalmente dal mare come statuette e posizionate, su uno strato di sabbia di mare, sotto una vecchia lampara, sulla poppa di uno schifarieddu, la piccola e tradizionale imbarcazione in legno un tempo utilizzata dai pescatori brindisini, che fa bella mostra di se nel cortile antistante l’ex Circolo Nautico, su piazzale Lenio Flacco.
Sono andato volentieri a visitarlo nel giorno di Santo Stefano e ho avuto il piacere di incontrare proprio Franco Romanelli, il quale ha fatto da cicerone non solo a me ma alla tanta gente che, incuriosita, si affacciava per dare una sbirciatina e poi rimaneva incantata ad ascoltarne i racconti e le spiegazioni.
La domanda, secca, che il buon Franco poneva ad ogni nuovo arrivato era: chi ha scolpito le statuette di pietra? E grande era la sua soddisfazione quando l’interrogato, anziché pensare a mano umana, rendeva merito alla natura e riconosceva che erano state levigate in quelle forme dalle correnti del mare e dal vento nel corso dei millenni: riconoscibilissimi San Giuseppe e la Madonna, ma anche i pastori le pecorelle e finanche un guardastelle (il tipico personaggio del presepe che scruta il cielo), oltre che un grosso cammello che, per ragioni di spazio, era stato posizionato ai piedi della barca.
L’invito a dare un’occhiata all’interno, dove, nella porzione concessa in comodato d’uso al Circolo Remiero, è stato allestito un piccolo museo dell’antico quartiere delle Sciabiche, veniva accolto da tutti con piacere.
Il sogno di Franco Romanelli ed anche di suo figlio Antonio e di tanti amici delle varie associazioni che stanno collaborando al progetto, è che questo museo diventi stabile e si arricchisca sempre di nuovi pezzi che le famiglie dei vecchi pescatori e marinai vorranno donare affinchè siano esposti anche in memoria dei loro cari, oltre che a testimonianza perenne delle antiche tradizioni marinare.
In effetti su un tabellone appeso all’interno del museo vi è indicato ben chiaro l’obiettivo prefissato: “il recupero della memoria delle Sciabiche, il più antico quartiere di Brindisi, fulcro dello sviluppo storico della città. Divulgazione degli antichi saperi e delle abilità marinaresche tradizionali, per trasmettere alle future generazioni la memoria e la cultura di una città che vive sul mare e per il mare, con installazioni artistiche dinamiche, utilizzando luoghi ed elementi che raccontano tradizioni e storie passate e vissute”.
Guardandomi attorno noto, con piacere, che è bandito qualsiasi oggetto di plastica e che vi è la riscoperta degli antichi materiali con cui i nostri nonni ed i nonni dei nostri nonni e decine di generazioni prima di loro, costruivano gli attrezzi da pesca e quelli per solcare il mare.
Ci sono le nasse in giunco, non solo vecchi cimeli, ma anche quelle nuove, che ancora oggi vengono costruite, secondo l’antica tradizione in questo materiale naturale a costo e chilometri zero, rivalutato grazie all’impegno di chi come Michele Petracca, grande esperto di attività marinaresche, crede che sia ancora possibile coniugare la passione per il mare con la riscoperta dei vecchi mestieri; anche i quadri con i nodi da marinaio sono opera sua come pure è noto il suo impegno, insieme a quello dell’impareggiabile Mino Donativo, per la ripresa degli allevamenti di cozze nel Porto di Brindisi, con l’utilizzo sempre, ovviamente, di materiali naturali, come le fibre vegetali di canapa, per la creazione delle reti tubolari per i mitili.
Unica eccezione, comunque “vintage” dal momento che si tratta di un qualcosa vecchio di almeno cento anni, è l’attrezzatura completa da palombaro utilizzata dal papà di Franco Romanelli e che ci veniva illustrata con un pizzico di commozione, anche ricordando lo zio che trovò la morte lavorando sott’acqua. Settanta, forse ottanta chilogrammi di peso in metallo che il palombaro indossava e calzava prima di essere calato per ore ed ore nelle profondità marine, alimentato di aria da un tubo che veniva ventilato a manovella dalla superficie, mentre ora, per chi si immerge, può sembrare scomoda una cintura di zavorra con sei o sette chili di piombi ed una bombola da dieci o dodici litri sulle spalle!
Bellissimo l’angolo dedicato al Palio dell’Arca, la manifestazione organizzata dai Vogatori Remuri in occasione delle feste patronali e che rivedono in chiave moderna l’utilizzo degli schifarieddi che gareggiano all’interno del porto.
Ma belli e ancor più suggestivi i cimeli e le vecchie foto esposte di alcune famiglie di pescatori, contraddistinte dalla loro “ngiura” che, lungi dall’essere un termine offensivo (nulla a che vedere con il latino “iniuria” e l’italiano “ingiuria”), era il nome con cui le vecchie famiglie sciabicote erano conosciute e di cui andavano fiere.
Penso, con malcelato orgoglio a quella della mia famiglia e ricordo quando, negli anni settanta, il padre di un mio compagno di scuola – come usavano fare all’epoca i genitori per comprendere le frequentazioni dei figli – mi chiese chi fossi, a chi fossi figlio, cosa faceva mio padre e chi era mio nonno, concluse affermando con sicurezza: allora sei “Pezzagnora”, quando torni a casa salutami papà e digli che sono Leonzio ti li Russi! Sul momento rimasi quasi turbato, fino alla conferma che ebbi a casa, quando mio padre, dopo essere risalito alle tre/quattro generazioni precedenti del mio amico Piero, mi spiegò questa tradizione della “ngiura” che si era tramandata per generazioni e che costituiva motivo di orgoglio e di memoria per chi non c’era più, anche se i fatti della vita avevano ormai disperso le nuove generazioni, portandole a vivere e lavorare lontano dal mare.
A questo proposito Romanelli ci fa notare una sua vecchia poesia in cui racconta il famoso aneddoto delle difficoltà che incontrava il postino delegato alla consegna della corrispondenza alle Sciabbiche, in quanto per capire dove i destinatari dei plichi abitavano non era sufficiente il cognome ma doveva individuarne la “ngiura” altrimenti i vicini non erano in grado di dare indicazioni!
Tantissime le conchiglie, tutte rigorosamente del mare di Brindisi, in mostra dentro una lunga fila di di boccacci in vetro ed anche carapaci di grossi granchi e stelle marine, finite a suo tempo nelle reti a strascico, degne di un museo di scienze naturali.
Il tabellone che ho trovato più utile e divertente è sicuramente quello contente la Rosa dei Venti brindisina, in cui sono indicati i nomi dialettali dei venti provenienti dai diversi quadranti: sia “li vientu ti fori (punenti, tramontana, livanti, mastrali, crecu, zzifuru e burrinu) e vientu ti terra (libecciu, sciroccu, faugnu, carbinu e africani) ed al centro della rosa la biancata o quagghiu ti mari!
Ma non è finita. Insieme alle decorazioni artistiche che rievocano il Natale e che adornano anche gli oggetti appartenenti alla vita quotidiana legata al mare, vi sono anche elementi grafici e virtuali che spiegano la loro storia e una vera e propria mostra fotografica, davvero suggestiva, che racconta da vicino la tipica giornata dei pescatori brindisini, nel passato, come nel presente, il tutto messo in piedi anche grazie all’impegno di Giulia Ruggiero e Genny Giammarruco con la collaborazione degli artisti Davide Taberini e Francesca Prudentino del Circolo remiero.
Il suggerimento che posso dare ai nostri lettori è quello di andare a visitare il presepe sullo schifarieddu ed il museo delle Sciabbiche, a chi ha organizzato la mostra/museo va il mio ringraziamento e l’incoraggiamento ad andare avanti in questa direzione, mentre a chi amministra questa città non posso che rivolgere un pressante invito a far si che il tutto non sia limitato al periodo natalizio, ma che un’iniziativa ed un progetto di tal fatta, che mira a poter tramandare ai posteri le tradizioni della Brindisi marinara, possa trovare una concreta stabilità non solo nel tempo ma anche nello spazio messo a disposizione.