Dalla Madonna «Fuci fuci» alle processioni al Calvario: ricordi di tradizioni svanite

Tanto si è detto e si continua a raccontare sul significato delle tradizioni legate alla Santa Pasqua, la più antica e massima solennità della fede cristiana che si celebra ogni anno la domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Riti, leggende, proverbi e simboli della cultura popolare si fondono con la spiritualità e si tramandano da secoli con una vasta gamma di eventi e usanze che variano di località in località, riservando non poche sorprese. Il meridione d’Italia è sicuramente il territorio più ricco di queste straordinarie memorie devozionali, accomunate da commemorazioni di dolore, di penitenza e da rituali propiziatori. I numerosi influssi subiti durante le dominazioni hanno permesso la differenziazione delle rievocazioni figurate, rappresentazioni che in parte si sono perse nel tempo come diretta conseguenza di un processo evolutivo, sociale e culturale, della modernità. Ciò è avvenuto anche a Brindisi, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, quando si è interrotta la staffetta generazionale che tramanda di padre in figlio la sacralità e l’intensità emotiva dei riti e delle tradizioni pasquali, ormai affievolite e offuscate rispetto alle antiche origini.
Il lungo periodo di avvicinamento alla Settimana Santa, in passato chiamata Settimana Grande o Maggiore, di Indulgenza o anche Settimana Autentica, veniva aperto il Mercoledì delle Ceneri, quando si entrava nel periodo austero di penitenza (Quaresima), quaranta giorni dedicati alla preghiera, al digiuno e all’astinenza, durante i quali non si dovevano consumare, oltre alla carne, le uova e ogni tipo di formaggio, “altrimenti, si cadeva in peccato, mangiando di grasso”. Quel giorno si bruciavano i ramoscelli secchi delle Palme dell’anno precedente, un rito purificatore che ricordava la ciclicità della vita (nascita, vita e morte), le ceneri poi benedette in chiesa, venivano cosparse sulla testa dei fedeli.
La Domenica delle Palme, a rievocare l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, si svolgeva l’antica processione dell’Osanna, con il Capitolo e i fedeli muniti di rami di ulivo benedetti, che partendo dalla Cattedrale giungevano alla collinetta dov’è ora l’ex pesa pubblica dei Cappuccini: qui esisteva un monticello a forma tronco conica con scalinate disposte sui quattro lati, sulla sommità c’era il leggio affiancato da una colonna in marmo sormontata da una croce, oggi conservata all’interno della chiesa di S. Maria del Casale, e una cripta ipogea con la volta arricchita da affreschi bizantini. In questo luogo veniva letta l’epistola in lingua greca, una delle ultime memorie del rito religioso conservato per secoli dalle numerose colonie elleniche stabilite nel Salento, rimasta attiva sino ai primi anni ’50 del Novecento. La cerimonia era inoltre una rara opportunità di corteggiamento tra i giovani, con scambio di sguardi intensi a preludio del fidanzamento. Una volta tornati a casa, i ramoscelli benedetti venivano suddivisi i più parti: un pezzo veniva posto sull’uscio d’ingresso, uno sul terrazzo, un rametto veniva sistemato sul quadro della Madonna, un altro vicino alle foto dei parenti deceduti, dove c’era sempre un lumino acceso, e sulla testata del letto matrimoniale, beneaugurante. Altre fronde venivano sistemate sulle tombe di famiglia, nelle campagne di proprietà, sulle barche dei pescatori e nelle botteghe degli artigiani, era un modo per diffondere in ogni luogo la benedizione ricevuta, ma anche un rituale scaramantico-religioso a protezione contro ogni male.
I primi tre giorni della Settimana Santa sono solo apparentemente privi di significato, in realtà sono importanti per la preparazione al triduo pasquale e ai doveri della confessione. Le donne in questi giorni si dedicavano alla casa, che veniva “aperta alla luce” e pulita in maniera approfondita. Il lunedì è il giorno dell’amicizia, poiché Gesù a Betania restò in compagnia dei suoi tre grandi amici, Marta, Maria e Lazzaro. Il martedì per la tradizione religiosa è il giorno dello sdegno, generato dal comportamento dei commercianti che trasformarono il tempio in un luogo di mercato. Mercoledì è il triste giorno del tradimento, si ricorda Gesù “venduto” per trenta denari da uno dei suoi Apostoli.
La mattina del Giovedì Santo il Vescovo, con una solenne cerimonia in Cattedrale, consacra il Sacro Crisma (l’olio benedetto) e nel tardo pomeriggio in ogni chiesa vi è la celebrazione liturgica vespertina “in Coena Domini”, a ricordo dell’Ultima Cena di Gesù con i discepoli e il rito della Lavanda dei piedi. Al termine delle sacre funzioni inizia la visita nelle chiese ai cosiddetti “Sepolcri”, ovvero gli Altari della Reposizione dove ci si dovrebbe fermare in raccoglimento davanti all’esposizione del S.S. Sacramento. Gli altari sono appositamente addobbati con fiori colorati di vario genere, in un recente passato erano adornati quasi esclusivamente con le piantine di grano e di legumi dal caratteristico colore giallognolo, poiché fatti sviluppare in ambienti oscuri già dalla metà del periodo quaresimale. La tradizione vuole che ci si debba recare ad almeno sette chiese diverse, o comunque a rendere visita ad un numero dispari di sepolcri. Dopo la mezzanotte, nelle stradine del centro storico pertinenti la parrocchia di Santa Lucia, si svolgeva la suggestiva rievocazione della ricerca del Figlio Gesù da parte di Maria, con lo squillo acuto della tromba a simboleggiare drammaticamente il richiamo disperato della Vergine, accompagnato dal ripetuto rullo di tamburo. Una tradizione secolare che suscitava grande emozione, e non solo tra gli abitanti della zona.
Nel primo pomeriggio del Venerdì Santo vi è la liturgia dell’Adorazione della Croce, meglio conosciuta come la “messa scigghiata” (messa scombinata), caratterizzata della nudità degli altari, dai paramenti violacei che ricoprono il Crocifisso e dal silenzio delle campane. Nel pomeriggio sfilavano le processioni dei Misteri, con le statue della Madonna Addolorata e del Cristo Morto collocato nel “cataletto”, muovevano in ordine le processioni della chiesa del Cristo, della SS. Annunziata, della Pietà e in tarda sera quella della chiesa di San Paolo, il sabato pomeriggio il rito si svolgeva anche dalla Chiesa delle Anime. Davanti al sagrato delle chiese venivano indette le tanto discusse aste, ovvero si designavano i portatori a spalla dei sacri simulacri in funzione della più alta offerta economica, tutto ciò ritardava non poco l’avvio del rito religioso. Ogni processione giungeva al Calvario accompagnata dal suono struggente delle marce funebri eseguite dalla banda musicale. Da alcuni anni il tutto è stato ridotto ad un’unica cerimonia cittadina, che richiama il rituale spagnolo seicentesco dell’Entierro (sepoltura). Sino agli anni ’40 si esagerava con la spettacolarizzazione dei riti, sia durante la Via Crucis che nella rappresentazione della Passione di Cristo, con l’esaltazione e teatralizzazione degli eventi religiosi, una sorta di competizione tra le confraternite che causò inevitabili provvedimenti da parte dell’Arcivescovo.
Prima della riforma liturgica degli anni ’50, a mezzogiorno preciso del Sabato Santo si festeggiava la Resurrezione di Cristo: al “Gloria in excelsis Deo” si scioglievano le campane delle chiese e si facevano suonare a festa, contestualmente per le strade e nelle piazze i ragazzini battevano su scatole di latta, pentole e vecchi tegami, provocando un tremendo frastuono, simbolicamente per scacciare il diavolo. Dopo il riordino, il sabato è tornato aliturgico, si resta in silenzio e in raccoglimento in attesa della Veglia solenne della notte.
Continua a conservare un fascino particolare la celebrazione eucaristica della mattina di Pasqua nella chiesa di San Paolo Eremita, quando si officia l’insolita processione dell’Immacolata, meglio nota come Madonna del Terremoto e che nell’occasione assume la denominazione di “Matonna fuci fuci”, proprio perché viene portata velocemente, dall’ingresso della chiesa all’altare maggiore, per assistere alla Resurrezione del Cristo. È una tradizione iniziata ai primi anni dell’800 dai frati minori francescani dell’attiguo convento, un modo per far partecipare la Madre non solo al dolore per la morte del Figlio, ma anche alla Sua Resurrezione.
Antiche tradizioni dalla grande forza rappresentativa che, in buona parte, meriterebbero di essere recuperate e conservate, per promuovere il momento più sentito dell’intero anno liturgico.