Dall’Africa a Porta Portese, sino a Cellino: una lettera e il suo viaggio lungo 77 anni

Voleva far sapere alla sua famiglia che era vivo e in buona salute, ma quella lettera inviata a Cellino San Marco nel gennaio del 1944 dal 24enne “p.o.w” (“prisoner of war”, prigioniero di guerra) Oronzo Daga, catturato dagli alleati durante la campagna d’Africa, nel piccolo centro del Brindisino è arrivata soltanto dieci giorni fa: il professor Matteo di Salvio, funzionario del Ministero degli Esteri e appassionato collezionista di libri e documenti antichi, dopo averla trovata su una bancarella del mercatino romano di Porta Portese, ha deciso di recapitarla ai famigliari del soldato cellinese, rientrato in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale dall’Africa settentrionale, dove era detenuto da diversi anni in un campo di prigionia inglese.
Mandava “saluti e forti baci” ai cari genitori, alla fidanzata Cosima, alle sorelle, ai cognati, ai piccoli nipotini e a chiunque chiedesse di lui, Oronzo, preoccupato di non ricevere notizie dei suoi da circa sei mesi: il 26 maggio del ‘43, infatti, gli era giunta dalla famiglia una lettera che lo informava che tutti stavano bene ma, dopo l’armistizio dell’8 settembre, seguito dalla progressiva occupazione del territorio italiano da parte delle truppe anglo-americane, nessun’altra novità. Dopo quella lettera mai consegnata, ne spedì altre, regolarmente arrivate a destinazione. Tornò a casa nella seconda metà del 1945 e l’anno successivo sposò Cosima, che gli era rimasta devotamente fedele durante il periodo della guerra e della prigionia e con la quale ebbe cinque figli, tre ragazzi e due ragazze. Immediatamente dopo il matrimonio, a causa delle scarse prospettive di lavoro, la famiglia Daga emigrò in Germania. Qui Oronzo lavorò sino alla fine degli anni Settanta in un birrificio nei pressi di Stoccarda, per poi rientrare definitivamente nella sua Cellino, laddove, 77 anni dopo essere stato spedito, il messaggio di questo giovane soldato è finalmente arrivato.
“Circa due settimane fa ho ricevuto la telefonata di un uomo di Roma, il quale mi ha comunicato di essere in possesso di una lettera datata 12 gennaio 1944, a firma del prigioniero di guerra Oronzo Daga”, racconta il signor Angelo Daga, ultimogenito dei coniugi Oronzo e Cosima. “Mi ha detto di essere un appassionato del genere e si è informato sui miei rapporti di parentela con l’autore, per essere certo che io fossi realmente il figlio. Contento di avermi trovato, ha ritenuto giusto che la lettera la conservasse qualcuno della famiglia, così me l’ha spedita. È stato un gesto di generosità che non dimenticheremo mai. Riceverla è stato molto emozionante e non mi vergogno ad ammettere di avere pianto. Mio padre è morto già da 13 anni, ma ci manca moltissimo. Pensiamo che questo ritrovamento sia il suo modo per dirci che è sempre con noi”, spiega commosso Angelo Daga.
In realtà, il ritrovamento della lettera è avvenuto qualche tempo fa. Il professor Di Salvio per anni, tutte le settimane, ha frequentato il celeberrimo mercato domenicale di Porta Portese nel quale, a dar retta a film e canzoni popolari, si trova di tutto: abbigliamento nuovo e usato, oggettistica, cimeli di guerra, reperti di antiquariato, modernariato e collezionismo. “Circa sei o sette anni fa, su una bancarella ho rinvenuto la lettera firmata dal soldato Oronzo Daga. Era in un plico che conteneva documenti molto diversi per epoca e contenuti. Già allora mi aveva colpito e incuriosito, ma mi ero limitato a catalogarla e a conservarla. Qualche settimana fa, mettendo ordine tra i fascicoli, è rispuntata”, racconta Di Salvio. “Conoscevo Cellino San Marco come il feudo di Albano Carrisi e, trattandosi di un paese molto piccolo, immaginavo che non avrei avuto difficoltà a rintracciare la famiglia del soldato. Così è stato. Il signor Angelo Daga all’inizio è rimasto sconcertato, non tanto per l’esistenza della lettera, quanto perché non si aspettava che lo chiamassi per fargliela avere. Di questi tempi, siamo tutti un po’ scettici. Forse anche io, se fossi stato nei panni del signor Angelo, in un primo momento avrei pensato che dietro una telefonata del genere si stesse celando una truffa o una richiesta di denaro. Per evitare fraintendimenti di sorta, gli ho immediatamente detto gli avrei spedito la lettera gratuitamente, pregandolo di considerarla un mio regalo. In fondo, è qualcosa che appartiene a lui e alla sua famiglia ed è giusto che torni nel posto a cui era stata destinata. Da parte mia, mi sento semplicemente lo strumento attraverso il quale si è compiuto un bellissimo viaggio nel tempo”, continua Matteo Di Salvio, prima professore di Lettere presso il prestigioso liceo Orazio di Roma e poi membro della diplomazia culturale italiana in Croazia, Slovenia e Francia.
A raccontare la storia del nonno Oronzo e della missiva arrivata a destinazione 77 anni dopo è la nipote Daniela Daga, figlia di Angelo, che su Facebook ha pubblicato un’immagine della lettera autografa del nonno, ringraziando colui che si è attivato per recapitare alla famiglia un ricordo così prezioso: “Ho scambiato con la signora Daniela poche battute, ma anche da quel poco che ci siamo detti è venuto fuori l’amore immenso che nutriva per suo nonno. La genuinità del suo sentimento mi ha intenerito a tal punto che spero davvero di riuscire a conoscerla, una volta che l’emergenza sanitaria sarà rientrata e potremo tornare a viaggiare”, conclude Di Salvio.
La lettera, scritta con grafia malferma e qualche errore grammaticale che tuttavia non ne guasta la dolcezza (“oqqupazione”, “penziero”, “laltro giorno o ricevuto”), reca nell’intestazione scritta da Daga “Camp Postal Section – Middle East Forces”. Nelle Middle East Forces erano schierate formazioni militari provenienti da vari Paesi che combattevano al fianco delle divisioni dell’esercito britannico all’inizio prevalentemente di stanza in Egitto.
Ebbene, secondo quanto ricostruito incrociando i ricordi dei famigliari con quanto da lui stesso scritto, Oronzo Daga dovrebbe aver partecipato, come artigliere del regio esercito, all’assedio di Tobruch, la città libica considerata di grande importanza strategica e politica, a difesa della quale gli angloamericani avevano posto truppe australiane: teatro di uno degli scontri più sanguinosi della campagna d’Africa, dopo essere stata espugnata in un primo momento dalle forze dell’Asse Roma-Berlino, Tobruch fu definitivamente riconquistata dagli Alleati l’11 novembre 1942. I soldati italiani e tedeschi furono imprigionati e trattenuti sino alla fine del conflitto. Vennero prevalentemente smistati in diversi campi situati nella fascia settentrionale del continente africano (Egitto, Tunisia, Libia, Algeria e Marocco) e nel corso della prigionia capitava che venissero spostati da un campo all’altro e sottoposti a ogni genere di sopruso. Non si conosce esattamente il momento in cui Daga cadde prigioniero degli alleati, se prima o dopo il ‘42. Quel che è certo è che, in ogni luogo in cui è stato tradotto, il giovane soldato cellinese ha patito la fame e la sete, ha dovuto sopportare caldo asfissiante e umidità, ha vissuto in condizioni igieniche precarie che hanno causato malattie, anche mortali, tra i suoi commilitoni. Sino a quando è stato in vita, di quella battaglia Oronzo Daga ha raccontato i dettagli a figli e nipoti che, specialmente durante le serate invernali, amavano assieparsi davanti al camino intorno a lui per ascoltare la sua testimonianza di sopravvissuto al più catastrofico conflitto della storia dell’umanità.
L’esperienza in guerra segnò profondamente Oronzo soprattutto perché, avendo compiti di artiglieria pesante, era sempre in prima linea. Il figlio Angelo ricorda che suo padre gli raccontava della fatica che faceva per caricare i cannoni e del timore che vi fossero incidenti nel corso di quell’operazione così delicata: “A distanza di tanti anni, la guerra lo terrorizzava ancora. Se vedeva delle immagini particolari in televisione, che ritraevano conflitti attuali, non riusciva a non pensare all’orrore che aveva vissuto in prima persona. Per il resto, era un instancabile lavoratore e una persona molto dolce e pacata, per questo i suoi figli e nipoti lo hanno sempre amato e rispettato”. Era un uomo generoso, Oronzo: una volta, sfinito dal caldo africano e dalla sete, diede ad un soldato inglese il suo orologio in cambio di una borraccia d’acqua che condivise con i suoi commilitoni: ne bevvero un sorso ciascuno, dopodiché gli altri prigionieri, grati per quel dono, ricomprarono l’orologio di Daga dagli inglesi, scambiandolo con delle calze che avevano realizzato a maglia loro stessi. Dell’altruismo e del coraggio del giovane Oronzo si accorse anche il Regno Unito. Pare infatti che, forse durante un’azione di guerra non meglio precisata, Oronzo, già prigioniero degli alleati, abbia salvato da morte certa un ufficiale inglese, guadagnandosi così un riconoscimento da parte della Corona. A Cellino arrivarono la Croce al Valore e una lettera di accompagnamento, ma poiché Daga in quel momento si trovava già in Germania, l’amministrazione comunale le inviò al consolato italiano a Stoccarda, dove Oronzo poté ritirarle e conservarle gelosamente.
“Nonostante non fosse una persona particolarmente istruita, mio nonno ha rappresentato per tutta la famiglia un patrimonio di umanità di immenso valore”, rivela Daniela Daga, la nipote artefice della diffusione mediatica della storia. “I suoi ricordi di guerra hanno fatto parte della mia vita sin da piccola: quando, per invitarmi a non sprecare il cibo, mi disse che gli inglesi davano ai prigionieri soltanto una borraccia d’acqua e un tozzo di pane a settimana, restai senza parole. Con le lacrime agli occhi, mi raccontava che i suoi compagni di divisione morivano a decine ogni giorno, per la fame e le infezioni. Diceva sempre che l’aver vissuto quell’orrore gli aveva insegnato a non temporeggiare: è per questo che, appena rientrato, volle subito sposare la nonna Cosima, per non perdere nemmeno un attimo di vita insieme a lei. I suoi insegnamenti non mi lasciano mai. Alla persona che ci ha spedito la lettera ho detto semplicemente “che Dio la benedica”, perché questo bellissimo regalo resterà nel mio e nel nostro cuore per sempre”, conclude Daniela.

(Nella foto, da sinistra Oronzo Daga, la sua lettera e Matteo di Salvio che l’ha ritrovata)