De Benedetto e Di Giulio: altri grandi bottai brindisini

Durante la prima metà degli anni Venti del Novecento, la piccola industria brindisina di costruzioni delle botti in legno per il trasporto e la conservazione dei vini, ebbe una crescita notevole. Nel giro di pochi anni nacquero e si svilupparono oltre una mezza dozzina di nuove fabbriche che si aggiunsero a quelle già esistenti, molto spesso collocate a poche decine di metri di distanza tra loro. Erano gli anni del grande sviluppo della vitivinicoltura brindisina determinata dall’enorme richiesta di mosti e di vini da taglio sul mercato nazionale ed europeo, favorito anche dal trattato commerciale tra Italia e Francia siglato nella seconda metà dell’Ottocento dopo l’epidemia di fillossera nei vigneti transalpini. L’ingente quantità di vino e di alcoli prodotti nel territorio brindisino generò una forte richiesta di barili e di altri contenitori necessari alla fermentazione, pertanto gli esperti artigiani locali espansero la loro produzione investendo su nuovi opifici e laboratori. “L’industria delle botti – scrive Giovanna Bozzi (2011) – è legata all’immagine, ancora presente nella memoria dei brindisini, della banchina del porto ingombra di botti”.
Domenico De Benedetto aveva iniziato ad apprendere l’arte di fare le botti a mano presso la ditta Zaccaria, un’azienda locale specializzata nella produzione di fusti e barili di vari formati, col tempo il lavoro diventò una passione e per questo nel 1918 decise di fare il grande passo ed aprì un suo primo “piccolo” laboratorio artigianale in via Cappuccini 7-9, quasi ad angolo con via Adamello e via Osanna, nei locali che erano stati utilizzati in precedenza come stabilimento vinicolo da Teodoro Romano. Il lavoro in quegli anni non mancava, per cui nel giro di poco tempo divenne necessario estendere la bottega: nel 1924 l’imprenditore brindisino decise di acquistare altri due capannoni adiacenti con l’annesso cortile, ampliando di ulteriori cinquecento metri quadrati l’area complessiva a disposizione dell’impresa artigianale. Ciò produsse anche nuovi posti di lavoro per falegnami e manovali brindisini, i cosiddetti “vuttari”, le venti unità lavorative iniziali presto raddoppiarono, in questo modo si riuscì a garantire una produzione di almeno cinquanta contenitori al giorno di varie capacità e forme, tra botti, tini, mastelli ed altri tipi di recipienti realizzati con legno di castagno e di rovere. Se da un lato della strada le richieste continuavano ad aumentare, nella vicina fabbrica di botti di Bernardo Cafiero e del figlio Antonio, ubicata proprio dirimpetto (su via Osanna, vedi il numero precedente), in quegli anni si stava vivendo una difficile crisi finanziaria.
Domenico De Benedetto, che nel corso degli anni aveva ricevuto diversi attestati di benemerenza tra cui un diploma con medaglia d’oro della Camera di Commercio di Brindisi, nel gennaio del 1940 decise di estendere le proprie attività produttive oltre i confini locali ed esportare i prodotti anche sul mercato nazionale, specialmente alla Stock di Trieste, e all’estero, inviando le sue merci in Grecia, Argentina, Canada, Australia, Cipro, Palestina e Libano. Due anni dopo il lungimirante imprenditore brindisino decise di aprire una succursale a Latiano, una scelta illuminante visto che nel dicembre dello stesso anno la fabbrica di via Cappuccini venne colpita e notevolmente danneggiata dai bombardamenti aerei della Raf inglese. L’intera produzione da quel momento si trasferì nella filiale della provincia, le lavorazioni proseguirono qui, anche se in maniera decisamente ridotta, sino al termine del conflitto mondiale, ma almeno si era al riparo da ulteriori pericoli. Negli anni Cinquanta una nuova e grande fabbrica venne realizzata sulla via per Bari, nei pressi del ponte sul canale Cillarese, condotta poi dal figlio Francesco dopo la morte del titolare. Una decina di anni dopo l’erede trasformò completamente l’originale attività artigianale decidendo di aprire una nuova azienda per la fabbricazione di materiali in legno per imballaggi nella zona industriale di Brindisi (G. Catanzaro, 1997).
Ma la più antica e storica famiglia di maestri bottai brindisini è stata quella dei Di Giulio, testimoniata in atti notarili risalenti almeno dalla fine del XVII secolo, con importanti riferimenti anche nel catasto onciario del 1745 voluto da Carlo di Borbone. I primi laboratori erano situati nel rione delle Sciabiche, una posizione adatta sia per l’approvvigionamento di legname che per il trasporto delle botti finite all’imbarco sui piroscafi e bastimenti. Gli ultimi bottai a lavorare nelle botteghe dell’antico quartiere nei pressi del porto sono stati Giovanni e Cosimo Di Giulio, poi alla fine dell’Ottocento, con lo sviluppo delle linee ferroviarie, i figli di Giovanni decisero di trasferire la loro attività in via Circonvallazione per Lecce (ora via Bastioni Carlo V), nei pressi della stazione ferroviaria, fondando nel 1888 l’impresa “Fratelli Di Giulio”, che nel 1911 risulta avere quindici lavoranti alle proprie dipendenze. Quando tre anni dopo Giuseppe Di Giulio, il maggiore dei fratelli, per dissidi famigliari decise di emigrare in Argentina, la società prese il nome “Ditta Raffaele Di Giulio e Fratelli”, trasferendo poi sede e attività (era il 1921) nei locali dell’ex stabilimento vinicolo di Gaston Giran, con ingresso principale su via Appia, ad angolo con via Tor Pisana, dove vi era un ampio cortile utilizzato per la lavorazione del legno e come deposito del legname. Qui si raggiunse una produzione di ben ottanta botti al giorno, sempre più grandi e pregiate, rese ancora più resistenti da cerchiature in ferro, coperchi e sigilli, che insieme ai bordolesi, ai tini per la fermentazione e ai barili venivano destinate al mercato nazionale ma anche esportate all’estero, principalmente in Grecia e Germania: nell’occasione le botti venivano sigillate con cera lacca sul quale veniva impreso il timbro dello stabilimento. L’alta qualità dei prodotti venne riconosciuta ovunque, lo testimoniano i numerosi e prestigiosi attesti di merito conferiti all’impresa artigiana brindisina in ogni manifestazione fieristica dove era invitata a partecipare, su tutte la medaglia d’oro ricevuta in premio alla Fiera Campionaria di Milano. I Di Giulio facevano parte di quella classe imprenditoriale che non si limitava a rimanere rinchiusa nel nostro territorio, erano i “capitani coraggiosi” che audacemente si aprirono al commercio a distanza grazie anche ai nuovi strumenti di comunicazione, come la pubblicità e la partecipazione a fiere ed esposizioni. Perfino le carte intestate e le cartoline postali della Ditta Di Giulio, prodotte dall’editore Laterza di Bari, si distinsero per cura ed eleganza, così come il logo “geometrico su fondo retinato” realizzato nel 1937, è stato riconosciuto come un “importante riferimento … consono ad un linguaggio moderno”.
L’impresa è sempre riuscita a fronteggiare e superare i momenti di crisi causati dapprima dal calo della richiesta greca avvenuta agli inizi degli anni Trenta, e poi dagli eventi bellici, quando divenne veramente molto difficile approvvigionarsi di legname e di altri materiali utili alle produzioni di botti e contenitori vari. Ma l’arrivo sul mercato della plastica e l’utilizzo diffuso dell’acciaio inossidabile causò il definitivo crollo delle ordinazioni, pertanto nel 1971 l’attività venne cessata. Alcune strutture dello stabilimento sono rimaste visibili sino al 2006, quando furono demolite per fare spazio alle nuove costruzioni.
Di bottai a Brindisi non se ne trovano più, sono molto rari anche nel resto della nazione, le botti in legno vengono prodotte a livello industriale ed impiegate soprattutto per invecchiare vini e liquori pregiati, comunemente si utilizzano contenitori in vetroresina, più economici e durevoli, oltretutto più leggeri e agevoli da pulire. Ma per la conservazione, la maturazione e per l’affinamento del vino, il legno continua ad essere considerato il materiale preferenziale, poiché regala aromi, conferisce struttura e maggiore durata nel tempo alla preziosa bevanda.