Enea riparte da Muro Tenente e dall’Appia in Tabula

Spetta ad Enea, l’eroe troiano cui la tradizione attribuisce la fondazione di Roma e, quindi, della cultura occidentale, inaugurare, venerdì 18 giugno alle ore 21, il progetto “Appia in Tabula”, ciclo di eventi musicali, teatrali e di poesia realizzato presso il Parco dei Messapi di Muro Tenente, tra Mesagne e Latiano, sotto la direzione artistica di Amerigo Verardi.
In “Eneide”, l’attore, regista e musicista cegliese Giuseppe Ciciriello, nei panni dell’aedo, accompagnato dai musicisti Piero Santoro e Ferdinando Filomeno, porterà in scena, in un monologo di narrazione e musica, i primi cinque libri dell’opera virgiliana in una interessante rielaborazione del mito che prende avvio dalla nascita dell’eroe, figlio del mortale Anchise e della dea Afrodite, e termina al momento della partenza da Cartagine, dove Enea, accolto dalla regina vedova Didone, era approdato in seguito alla fuga da Troia distrutta dagli Achei.
Ciciriello, affermato attore teatrale che negli anni ha partecipato anche a svariate produzioni cinematografiche e televisive (da ultimo, ha recitato una piccola parte in uno dei più grandi successi televisivi della scorsa stagione Rai, “Le indagini di Lolita Lobosco”, con protagonista Luisa Ranieri), ha scelto di raccontare le vicende seguendo una trama lineare, laddove il testo virgiliano utilizza l’espediente del flashback (le peregrinazioni per mare degli ultimi sei anni, infatti, vengono narrate dal troiano durante un banchetto organizzato in suo onore dalla regina cartaginese, che amò Enea e in seguito alla separazione si uccise trafiggendosi con la spada regalatole dall’eroe e gettandosi poi su una pira).
Il testo che Ciciriello porterà in scena in anteprima a Muro Tenente non è affatto una traduzione dell’Eneide latina ma, piuttosto, una totale riscrittura delle vicende evocate dal poeta romano che, nelle intenzioni degli autori, ambisce ad essere un nucleo narrativo addirittura pre-virgiliano (“abbiamo preso la storia e l’abbiamo sviluppata, non mettendola in versi, partendo da elementi trascurati, come la genesi di Enea, e lasciando l’eroe al suo viaggio, visto che, per il messaggio che vogliamo far passare, il suo destino dopo Didone ci interessa meno”).
Perché l’Eneide?
“Questo spettacolo non nasce isolato, fa parte di una trilogia che abbiamo intitolato “Eroe e contemporaneo”: nel 2019 abbiamo portato in scena l’Iliade e nel 2020 l’Odissea. Riguardo al mito di Enea, sono moltissimi gli spunti di riflessione, a cominciare dalla storia dei profughi troiani, la cui città è andata distrutta, che sono costretti a mettersi in viaggio alla ricerca dell’Esperia e che durante le varie tappe subiscono anche le sventure derivanti dalle maledizioni di Era. Oltre a questo, ci è piaciuto dare risalto ad un aspetto che nel testo di Virgilio viene poco approfondito, cioè il rapporto genitori-figli: sappiamo che Anchise restò zoppo dopo essere stato fulminato da Giove, perché durante una festa, ubriaco, aveva rivelato la sua relazione con Afrodite. Dell’essere rimasto storpio in giovane età Anchise fece una colpa al figlio Enea, che era il frutto della sua notte d’amore con la dea, e questo compromise i rapporti tra i due. Da parte sua, Afrodite fu una madre assente. Dopo il concepimento, sparì dalla vita del figlio e riapparve soltanto durante la guerra di Troia, seguendone poi il viaggio sino all’arrivo in Lazio”.
Esiste, da qualche anno a questa parte, un filone culturale di recupero del mito classico in chiave interpretativa del presente: in quest’ottica, Enea dove e come si colloca?
“Io lo collocherei nella narrazione, anche contemporanea di un profugo che poi alla fine fonda la civiltà occidentale. Quindi, se noi dovessimo raccontare ciò che già sta avvenendo e che forse avverrà in modo ancora più frequente nei prossimi decenni, il mito di Enea è molto calzante: parliamo di un immigrato che è costretto a fuggire e che probabilmente costruirà la società del domani. Poi, avendo scritto questo testo nel periodo della pandemia, abbiamo lavorato molto nel cercare di costruire un collegamento con il presente riguardo ai rapporti intergenerazionali: io e i miei coetanei apparteniamo, per esempio, ad una generazione che non fa facilmente figli e che delega ad altri l’accudimento degli anziani. Invece in Enea, che fugge da Troia con il padre e con il figlio, c’è il prendersi cura delle altre generazioni, l’assumersi la responsabilità del proprio passato e del proprio uturo”.
In effetti, quando lo scorso anno, nel pieno della prima ondata del Covid-19, passò il concetto degli anziani come soggetti sacrificabili, molti ricordarono l’esempio di Enea, che portò in spalle il padre Anchise fuggendo da Troia in fiamme. Forse però non abbiamo imparato granché dall’eroe troiano.
“Se siamo disposti a sacrificare gli anziani, è perché la nostra visione inizia e finisce nel presente. E non so quanto questo aspetto ci sia chiaro, perché i comportamenti quotidiani, e anche i programmi politici, continuano a non dare valore al passato, alla storia e, di conseguenza, agli anziani. Non so nemmeno se dopo la pandemia la sensibilità rispetto a questo argomento sia aumentata. Forse il virus ci ha aiutato a mettere un accento su qualcosa che stavamo trascurando, ma credo sia presto per dire se questa attenzione ci renderà migliori”.
Ogni personaggio mitologico viene ritenuto archetipo di una qualità in particolare: Ulisse è l’astuzia, Ettore è la virtù familiare. Volendo estremamente semplificare, Enea è archetipo di cosa?
“Secondo me, anche per la rilettura che noi ne abbiamo fatto, Enea è l’archetipo di chi viaggia verso l’incerto. Mentre per Ulisse il viaggio ha come direzione la casa, quindi è un viaggio di ritorno che ha una meta certa, Enea viaggia verso l’ignoto, verso l’Esperia, che è una promessa incerta. La cosa interessante è, poi, che ad Enea ogni tappa successiva viene chiarita di volta in volta, durante il viaggio: i Penati gli rivelano che si soffermerà sulle sponde del fiume Tevere, l’oracolo gli dà un altro indizio, Eleno aggiunge un altro pezzo di verità. Dove sia l’Esperia lo scopre alla fine”.
Alle scuole medie, durante l’ora di “Epica”, ci insegnavano a parlare di lui come del “pio Enea”: è ancora valido questo epiteto?
“Sì, purché non ci si soffermi soltanto su quell’aspetto. In lui c’è la famosa pietas, il rispetto per gli anziani, per gli dei, per la sofferenza altrui. Ma c’è molto altro, c’è il coraggio di mettersi in viaggio nonostante non sappia bene dove andare. Ecco perché il paragone con i profughi contemporanei è così opportuno”.
Al di là del prestigio artistico, quale significato culturale ha esibirsi in un contesto storico e ambientale così importante come Muro Tenente?
“Per questo tipo di testo è interessantissimo, perché si tratta di un contesto che è già evocativo di suo. Muro Tenente è un punto di unione tra la civiltà greca e quella romana. Inoltre, avendo gli archeologi trovato alcuni riferimenti alle guerre puniche, c’è anche qualcosa di Cartagine. Non potevamo avere scenario migliore”.
Nell’ultimo anno e mezzo complicatissimo, per lei il momento peggiore qual è stato?
“Il primo lockdown è stato durissimo. Ci venivano cancellate le date e non sapevamo quando avremmo potuto recuperarle ma, soprattutto, non sapevamo quando sarebbe finita. Abbiamo deciso di investire il tempo nella produzione, però all’inizio è stato molto difficile, perché ci mancava la prospettiva del futuro. Riapriremo tra un mese? Tra due mesi? In estate? Ci facevamo queste domande e non ci davamo una risposta rassicurante”.
Dal punto di vista politico quali sono state le mancanze?
“Credo che siano stati penalizzati soprattutto il teatro ragazzi, che aveva un mercato molto florido, e le piccole compagnie, quelle che fanno un grande lavoro sul territorio. Forse per queste realtà si poteva fare di più, anche se la pandemia è stata talmente inaspettata e travolgente che poi alla fine si è fatto quello che si è potuto”.
Come artisti, avete mai avuto la percezione di essere superflui per il Paese? In fondo, il mondo culturale è stato l’ultimo a rimettersi in moto, vi hanno definito “servizi non essenziali”.
“Io non ho mai avuto questa percezione, perché è una visione che non mi appartiene. Non ho mai messo in discussione che la mia professione sia utile. Anzi, la ritengo indispensabile. Piuttosto, penso che una nostra mancanza, come artisti, sia stata quella di non coinvolgere il pubblico nel rendere pubblici il nostro disagio e i nostri bisogni. In questi mesi abbiamo visto un sacco di manifestazioni di lavoratori dello spettacolo, però a queste manifestazioni non si è unito il coro degli spettatori che ribadisse quanto il nostro settore sia necessario non soltanto per noi che ne facciamo una fonte di guadagno, ma anche per loro che ne fruiscono. Quindi ad un certo punto si è diffusa l’idea che le nostre attività fossero necessarie esclusivamente per noi artisti. Ecco perché la politica si è adagiata sull’idea del bonus. Ma la responsabilità è tutta nostra e, come comparto spettacolo, non dobbiamo evitare di interrogarci sulle nostre mancanze”.
Dopo la data di Muro Tenente, dove continuerà il viaggio di Enea?
“Debuttiamo a Modena il 15 luglio e saremo in giro durante l’estate. Nel prossimo anno puntiamo alle scuole: il mito non è qualcosa di lontano e di astratto, è importante che entri nella vita quotidiana, perché i ragazzi ne apprezzino l’attualità”.