Franco Arina il sindaco-record: tre mandati, più di chiunque altro

di Gianfranco Perri

Negli ormai più di 170 anni trascorsi dall’Unità d’Italia ad oggi, Brindisi ha avuto in totale 39 sindaci, in varie occasioni intercalati da commissari prefettizi, ed alcuni di loro hanno esercitato il mandato in più d’una occasione, consecutiva o meno, ma nessuno ha superato i dieci anni in carica del dottor Francesco Arina, sindaco di Brindisi in ben tre occasioni: dal 15.7.67 al 29.11.71; dal 25.11.75 al 9.10.80 e dal 28.5.93 al 3.6.94. Certamente un record, ma non casuale né solo statistico, bensì anche e soprattutto record di capacità gestionale, grazie alla ammirevole qualità umana professionale ed etica di un cittadino esemplare, nato a Taranto e presto, nel primissimo dopoguerra subito dopo la laurea, divenuto brindisino a tutti gli effetti e per sempre.
La Costituzione repubblicana emanata nel 1947 fissò i principi inerenti al nuovo ordinamento dei Comuni e delle Province, ripristinando l’elettività – da allora a suffragio universale – dei consigli provinciali e di quelli comunali che al loro interno eleggevano, rispettivamente, il presidente e la giunta provinciale, o il sindaco e la giunta comunale. Nel 1993 una nuova legge previde l’elezione diretta per 5 anni dei sindaci e quindi la nomina della giunta comunale da parte del Sindaco, con l’obiettivo di rompere con il sistema precedente che assegnava ai partiti politici un ruolo fondamentale nella determinazione dei livelli di rappresentanza politica e di valorizzare, in conseguenza, la responsabilità dei sindaci verso i cittadini. Però non tutto sarebbe poi andato per il meglio. Mentre infatti nei primi cinquant’anni repubblicani – tra il 1945 e il 1994 – erano stati 14 i sindaci di Brindisi eletti dal Consiglio e c’erano stati solo 2 commissari prefettizi, nei seguenti venticinque anni – dal 1994 ad oggi – con i 7 sindaci eletti direttamente dai cittadini ci sono stati ben 5 commissariamenti: troppi! E non è certo un buon segno. Vuol dire infatti, che in ben 5 occasioni, per 5 dei 7 sindaci cioè, il mandato dei cittadini non ha potuto essere ottemperato per intero dall’eletto. In un solo caso a causa di forze maggiori, in due casi per la perdita del necessario appoggio politico e in ben due altri casi ‘per gravi ragioni giudiziarie’.

Francesco Arina era nato il 16 maggio 1919, si era laureato in Pedagogia all’Università di Bari e quasi da subito, nel 1947, si era iscritto all’Ordine dei giornalisti. Nel 1949, ancora molto giovane, era entrato nel Consorzio del Porto – cui rimase legato con intrinseca passione per tutta una vita – dove, dal 1958 fino al 1984, ricoprì il ruolo di Segretario generale. Ma anche l’interesse e la passione per la politica e per l’amministrazione pubblica lo coinvolsero molto presto, e dal 1948 al 1951 fu membro provinciale della ricostituita Deputazione Provinciale di Brindisi e quindi, in varie occasioni, fu eletto membro del Consiglio Comunale di Brindisi restando in carica – varie volte anche da assessore – dal 1951 al 1953, dal 1960 al 1980 e dal 1990 al 1993.
Quello al Consorzio del Porto di Brindisi – l’organismo creato nel 1949 dall’Amministrazione Provinciale dalla Camera di Commercio e dai Comuni della provincia, sollecitati dal bisogno di lavoro delle popolazioni locali, allo scopo di incrementare le attività portuali e favorire l’industrializzazione della zona attraverso la creazione di un Punto Franco e di una Zona Industriale a regime doganale normale – fu per Franco Arina il lavoro più persistente e più coinvolgente della sua vita, e nello svolgerlo, con continuità con impegno e per tanti anni, lo fece sempre con estrema eleganza preparazione e correttezza, meritandosi il rispetto quasi reverenziale di tutti coloro che ebbero modo di conoscerlo di seguirlo e di interagire con lui durante tutti quegli anni: più di venticinque. E quando, durante molti di quegli stessi anni, dovette assolvere anche alla funzione e ai doveri di sindaco, seppe farlo ammirabilmente riuscendo spesso ad integrare in maniera sinergetica il suo lavoro e le sue competenze a reciproco vantaggio del porto e della città.

Il porto, infatti, era strettamente collegato con lo sviluppo della città e di per sé avrebbe impattato in maniera contundente tutta la città stessa, in un periodo in cui sembrava – era un’opinione al tempo di fatto quasi unanime tra tutte le forze vive cittadine – che l’obiettivo primario da perseguire fosse l’accelerata ‘industrializzazione”.
E così, quando si fu consolidando la nuova politica che per il Mezzogiorno italiano previde la creazione di nuove aree di sviluppo industriale mediante l’impianto di grandi stabilimenti con l’obiettivo e la speranza di stimolare intorno ad essi uno sviluppo che indotto da una serie di piccole e medie industrie potesse radicare un’economia industriale e quindi promuovere e poi incoraggiare la diffusione di una mentalità imprenditoriale anche nelle regioni ancora economicamente depresse, Brindisi, positivamente animata dall’aspirazione di appropriarsi di un ruolo che le restituisse prestigio nel contesto nazionale e internazionale e spinta dalla necessità di uscire da una crisi economica e dal conseguente dramma della disoccupazione, si fece unanimemente avanti quando anche i suoi politici e gli amministratori dell’epoca si convinsero che quel modello di sviluppo fosse ormai l’unico possibile per risollevare le sorti della città.
Nel marzo del 1959 ci fu la posa della prima pietra del grande petrolchimico Montecatini, e nel 1963 si iniziò la produzione del polipropilene. In seguito, nel 1969, l’Enel completò il primo gruppo della grande centrale termoelettrica, mentre il porto si era già approntato per la movimentazione di navi e merci, con i suoi specchi d’acque banchine e aree di servizio di Costa Morena completamente realizzata proprio intorno a quegli anni.

«…La Montecatini e l’Enel cambiarono profondamente l’aspetto sociale di Brindisi. Molti contadini divennero operai, c’era tanto lavoro, gli alberghi e i ristoranti erano pieni grazie ai trasfertisti del Nord. Gravò su Brindisi anche la presenza della vicina Base militare americana di San Vito, costruita tra il 1961 e il 1964, che vantava migliaia di addetti, molti dei quali vennero a vivere in città e tutti questi nuovi residenti provocarono un vero e proprio inaspettato boom immobiliare.» [“Il ‘mio’ dottor Arina” di Antonio Quagliarella – 2022]
Purtroppo, tutti quegli entusiasmi, tutti quegli sforzi e tutto quell’enorme lavoro di tanti bravi brindisini che con assoluta convinzione ed in assoluta buonafede offersero in prima persona il loro contributo a quell’ambizioso progetto, dopo solo qualche decennio dalla realizzazione erano destinati a rivelarsi quasi del tutto illusori. Questo però lo sappiamo adesso fin troppo bene e lo possiamo e, aimè, certamente lo dobbiamo dire e ripetere, senza comunque ovviare al dovere di ricordare anche come la notizia dell’impianto di un grande complesso industriale in città generò allora un’enorme e generalizzata ondata di entusiasmi, tra la popolazione intera e praticamente tra tutte le sue parti dirigenti.

Ignari tutti che molti di quei grandi impianti dell’industrializzazione del Sud sarebbero finalmente diventati ‘cattedrali nel deserto’; che i tentativi di creare una rete di piccole industrie e stimolare iniziative economiche locali sarebbero per lo più falliti; che quel modello di sviluppo sarebbe risultato estraneo al contesto in cui fu impiantato; che i danni ambientali causati sarebbero stati gravissimi; che gli errori commessi sarebbero risultati irreversibili e il tempo perduto impossibile da recuperare. Del resto, le reali possibilità occupazionali generate dall’industria brindisina risultarono, a consuntivo fatto, insufficienti a soddisfare tutte le grandi aspettative che si erano generate nella popolazione della regione, mentre il sistema finì col produrre un definitivo sradicamento della manodopera dalla campagna e da altri settori tradizionali aggravandone la crisi già in atto, senza, peraltro, neanche riuscire a stabilizzarla del tutto nell’industria. Pertanto, di fatto e purtroppo, alla fine della giornata, si sarebbe trattato di un progressivo, ma ugualmente clamoroso, fallimento.

Ma il giornalista – oltre a numerosi articoli, da esperto dei temi marittimo-portuali scrisse molte monografie – l’amministratore pubblico, il politico e il sindaco di Brindisi Franco Arina, ebbe al contempo anche tanti altri impegni pubblici di prestigio, assolti tutti ed ognuno egregiamente. Da Segretario del Consorzio del porto lo fu anche dell’Area di Sviluppo Industriale ASI e quindi, dal 1960 al 1990, fu Vicepresidente della Comunità dei porti adriatici. Fu Presidente del Consiglio di amministrazione dell’ospedale ‘A. Di Summa’ dal 1971 al 1975 e il 29.4.72 pose la prima pietra del nuovo ospedale ‘A. Perrino’. Nel 1983 presiedette il Rotary club di Brindisi e dal 1983 al 1984 fu Presidente del Comitato di gestione della USL-BR4.
Da attore politico di primo piano per tanti anni, Franco Arina mantenne sempre rispettose ed in alcuni casi cordiali relazioni anche con i suoi tanti avversari, di ogni parte, dal – combattivo ma leale – Mimmo Mennitti, all’on. Mario Marino Guadalupi, il quale finanche «gli affidò il figlio Vincenzo quando questi, nel 1975, iniziò la sua esperienza come assessore.» [Antonio Quagliarella]Al sindaco Francesco Arina, giunto in prossimità del termine del suo primo mandato, toccò anche essere fautore e coordinatore dell’immane ed ardua opera di soccorso ai naufraghi della nave greca Heleanna che, incendiatasi a largo di Torre Canne all’alba del fatidico 28 agosto del 1971, provocò 34 morti e centinaia di feriti. Per tale encomiabile operato, il 15 ottobre del 1972 la città di Brindisi fu decorata con la medaglia d’argento.

Nel mezzo del suo secondo mandato, nel 1977, il sindaco Arina si trovò ad affrontare anche la gravosa crisi conseguente al fallimento dell’industria aeronautica brindisina SACA, ed in quella difficile e delicata circostanza giocò un ruolo fondamentale nel complicato processo di ricerca di una possibile soluzione che potesse salvare dal dramma della disoccupazione quasi mille operai brindisini. Una vicenda che finalmente si concluse positivamente grazie all’accordo raggiunto in pieno agosto a Roma con la IAM-Augusta che rilevò le attrezzature, gli impianti e soprattutto le maestranze della ex SACA, impegnandosi a costruire a Brindisi una nuova e moderna fabbrica. La notte tra il 7 e l’8 dicembre di quello stesso anno, una grande tragedia cittadina: a causa di una fuga di gas esplose il reparto P2T del petrolchimico. L’esplosione provocò 3 morti e 50 feriti, distruggendo le vetrine di molte abitazioni della città e dei negozi del centro: un vero trauma per l’intera città.
E per fortuna, anche in quel secondo mandato non mancarono le gratificazioni, come quella sperimentata nell’intimo dal sindaco Arina il 3 marzo del 1980 in occasione della visita a Brindisi del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il quale volle congratularsi personalmente con lui nel manifestargli la sua ammirata commozione per il calore dell’accoglienza ricevuta dal sindaco dalla città e dalla sua popolazione.

Poi, nel 1984, anche per l’instancabile dottor Francesco Arina giunse il momento della pensione e del meritato riposo dal lavoro formale, quello al Consorzio del porto, ma con ciò non cessò certo il suo impegno sociale e politico che si protrasse con rinnovato vigore per ancora una decina d’anni, dai banchi del Consiglio comunale prima e poi direttamente dall’ufficio del sindaco in quell’anno che, a cavallo tra il 1993 e il 1994, costituì di fatto la delicata transizione tra l’antico ed il nuovo ordinamento legale dei Comuni e delle Province d’Italia, chiudendosi per sempre un’epoca e aprendosene un’altra.
Per concludere credo possa essere apprezzato da alcuni dei lettori, magari da coloro che per ragioni strettamente anagrafiche non hanno potuto conoscere di persona il dottor Arina, riportare qui alcuni pochi paragrafi che raccontano l’uomo, il Franco degli amici e della famiglia, fedelmente ripresi dall’opuscolo – prima citato e di cui invito alla lettura – recentemente pubblicato da Antonio Quagliarella: “Il ‘mio’ dottor Arina”.

«Tanti lo ricordano come persona elegante nei modi. Io vorrei ricordarlo quanto lo fosse anche per come sapeva portare i suoi doppiopetto, perché il fisico glielo consentiva e poi per la mano di un sarto di cui non rivelava il nome per evitare che lo trascurasse acquisendo nuovi clienti… Sapeva completare il suo aspetto inappuntabile con gran gusto nello scegliere le cravatte, vezzo che si concedeva nelle sue trasferte romane e napoletane… Mantenne l’abitudine di cenare in famiglia e quasi sempre intorno alle 20. Era il suo modo di dimostrare che il lavoro e la politica non avrebbero mai invaso lo scorrere della sua vita con moglie e figli… Las passione per i frutti di mare e per il pesce erano un altro elemento distintivo del ‘privato’ del Nostro. Pochi sanno che la domenica metteva il grembiule da cuoco e prendeva possesso della cucina; nessuno poteva metter naso, salvo che per riordinare tutto il lavoro finito, vantaggi dei grandi chef…»
Il dottor Franco Arina morì a Brindisi, la città che lo aveva adottato ed in cui era vissuto ininterrottamente per sessant’anni. Era il 31 ottobre del 2006 ed aveva già compito ottantasette anni. Antonio Quagliarella così conclude il suo opuscolo: «Sono convinto, come tutti quelli che gli hanno voluto bene e lo hanno stimato, che gradirebbe tanto che a Brindisi gli fosse intestata una viuzza, un vicolo anche cieco, magari dalle parti di via Lata, da dove sbirciare qualche volta il suo Porto.» Indubbiamente un legittimo e giusto auspicio!