Giudici di pace un’astensione da record: sciopero parziale sino a febbraio

Migliori compensi, garanzie previdenziali e assistenziali, modifica dei criteri di trasferimento e delle norme sulla incompatibilità, stabilizzazione nell’organico della pubblica amministrazione come lavoratori pubblici subordinati al pari dei “colleghi” togati: è quanto in questi giorni rivendicano i Giudici di Pace, protagonisti di uno sciopero parziale delle udienze iniziato il 6 gennaio, che si protrarrà sino all’1 febbraio.
Si tratta di un’astensione molto lunga (il precedente più significativo riguarda le quattro settimane di sciopero nella primavera 2018), durante la quale, secondo quanto dichiarato dalle sigle “’sindacali” che l’hanno proclamata, Unagipa (Unione Nazionale Giudici di Pace) e Angdp (Associazione Nazionale Giudici di Pace), sarà comunque garantita da ogni magistrato un’udienza a settimana, nonché l’espletamento dell’attività urgente e indifferibile.
Tenendo fede a quanto annunciato il 10 dicembre 2019 a margine dell’ultimo infruttuoso incontro con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, i magistrati onorari continuano a manifestare il dissenso della categoria alla riforma Orlando, della quale denunciano tutti i limiti in termini di riconoscimento di diritti e garanzie di indipendenza per una consistente fetta di lavoratori che quotidianamente amministrano la giustizia.
In particolar modo, le ragioni della protesta si rinvengono nel mancato allineamento della normativa interna a quanto suggerito già nel 2016 dalla commissione europea nella procedura di infrazione (o, meglio, di preinfrazione) pendente contro l’Italia ed avente ad oggetto proprio il servizio prestato dai magistrati onorari (giudici e viceprocuratori).
Alla luce della sentenza O’ Brien (resa in data 1 marzo 2012) della Corte di giustizia europea, che ha equiparato i magistrati onorari britannici recorders ai giudici professionali, la commissione europea si è espressa positivamente sulla equiparazione di giudici onorari e vice procuratori onorari ai lavoratori pubblici dipendenti ai fini dell’applicazione del diritto Ue, indipendentemente dalla qualifica attribuita a livello nazionale.
Né il ministro Orlando, né il ministro Bonafede hanno tenuto conto di tale interpretazione e delle successive cause pregiudiziali intentate presso la Corte di giustizia europea.
Dopo il riordino del 2014 e la soppressione – con relativo accorpamento alla sede di Brindisi – delle sedi di Fasano, Ostuni, Mesagne, San Pietro Vernotico, Francavilla Fontana, Oria, San Vito dei Normanni e Ceglie Messapica, nel territorio della provincia di Brindisi l’agitazione riguarda un ufficio che comprende 7 giudici e un’utenza potenziale di quasi 400.000 persone.
Da informazioni acquisite in questi giorni, tramite il direttore amministrativo Dott.ssa Leone, l’adesione dei magistrati onorari brindisini alla protesta non arriva alla metà dell’organico: su 7 magistrati, infatti, soltanto 3 hanno fatto pervenire dichiarazione attestante la volontà di scioperare. Dato che parrebbe essere in controtendenza rispetto alle rilevazioni nazionali (in Sicilia e in Campania si parla di percentuali che si attestano intorno al 70% e persino di un’adesione bulgara del 90% nell’Ufficio del Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere).
“Non credo nello sciopero come forma di protesta, e ancora meno in questo caso”, ammette con una certa rassegnazione uno dei magistrati regolarmente al lavoro, raggiunto durante una pausa dell’udienza. “Occorrerebbe trovare altri metodi per dare valore e risonanza alle nostre rivendicazioni: scioperando, non incriniamo il sistema, ma creiamo soltanto un danno grave all’utenza, alla parte che chiede una risposta di giustizia, al testimone che si assenta dal lavoro per venire a svolgere il suo dovere civico, agli avvocati che hanno una situazione previdenziale più disastrosa della nostra, eppure continuano a lavorare”.
Sentito sul punto, il magistrato coordinatore Francesco Giliberti, giudice togato del Tribunale di Brindisi, spiega la limitata adesione dei magistrati onorari di Brindisi attribuendola ad una questione contingente prettamente anagrafica: “Si tratta in larga parte di giudici non più giovanissimi e in scadenza di mandato. Pertanto l’interesse ad una stabilizzazione e a maggiori gratificazioni economiche è in loro comprensibilmente scarso. E, in ogni caso, rispetto a quanto accade in altre zone d’Italia, il contesto brindisino è notoriamente meno sindacalizzato”.
Con estrema onestà intellettuale, il Dott. Giliberti riconosce che il sistema, così come ormai concepito e strutturato nel nostro Paese, non è più in grado di fare a meno, per l’amministrazione della giustizia, dei magistrati onorari: “Ciò che è prioritario, secondo me, è venir fuori dall’equivoco di fondo secondo cui i Giudici di Pace si occupano di un contenzioso per così dire bagatellare. Quanto meno numericamente, si tratta – al contrario – di un contezioso che, con riferimento al settore civile, può essere ritenuto approssimativamente pari a quello dei giudici togati, anche per la capacità di incidere sull’economia reale in un contesto geografico economicamente depresso quale è il nostro. E penso alla materia delle opposizioni ad ordinanza-ingiunzione e a quella del risarcimento dei danni da circolazione stradale. Quindi, a fronte di una richiesta di impegno e professionalità su una mole di lavoro che ha un peso specifico importante, è fondamentale che a questi magistrati vadano riconosciute le tutele giuridiche ed economiche di cui allo stato attuale purtroppo non godono. È altrettanto chiaro che in tanto possiamo essere solidali con le rivendicazioni che costituiscono oggetto della protesta, in quanto, nell’interesse dei cittadini, altrettanta professionalità venga garantita nelle procedure di reclutamento e selezione e nei sistemi di controllo del rendimento, che forse attualmente non appaiono adeguatamente penetranti”.
“Non è trascurabile”, prosegue e conclude il Giudice Giliberti, “la circostanza che la previsione di garanzie previdenziali e assistenziali e di compensi dignitosi potrebbe, a mio avviso, essere un modo per incentivare l’ingresso di nuove energie altamente qualificate nella magistratura onoraria”.
Spunto di riflessione che, senza dubbio, troverà d’accordo anche una larga fetta di avvocatura che, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 35 e i 45 anni, appare, per le più varie ragioni, demotivata allo svolgimento della professione libera.