Gli occhi di Giulia brillano nel suo diario

Un libro postumo, intitolato profeticamente “Scriverò tutto domani” e curato, tra gli altri, dalla sua mamma, e un certificato di laurea triennale in Lingue, culture e letterature straniere riconosciutole post mortem dall’Unisalento per ricordare che era ad un passo da quel traguardo così importante.
Aveva 22 anni, Giulia Romano: un rapporto viscerale con la scrittura e la lettura, una folle passione per la danza e un profondo culto per la saga di Harry Potter. 22 anni e due grandi amori, Andrea e Alessandro. E genitori che l’adoravano, professori che la stimavano, amiche e amici che ne apprezzavano l’intelligenza, l’umorismo, la generosità.
Poi un raro e aggressivo linfoma, partito dalle ghiandole surrenali e rapidamente diffusosi in tutto il suo esile fisico, in pochi mesi le ha stravolto l’esistenza: Giulia Romano è morta il 23 maggio del 2018, ma “si è laureata” ugualmente, esattamente due mesi dopo, perché Ennio e Daniela, genitori orgogliosi di questa ragazza incredibilmente ingorda di vita e curiosa del mondo, hanno interessato il preside del corso di laurea frequentato dalla loro figlia, il professor Diego Simini, per farle riconoscere il titolo a cui lei teneva tanto.

Qualche mese dopo, si è fatta strada nella famiglia l’idea di raccogliere e ordinare i suoi scritti, di dare loro forma organica in un libro che di Giulia raccontasse la vita e non la morte, “perché così avrebbe voluto lei. Né io né mia moglie volevamo celebrarla o farne conoscere la malattia, l’unico scopo che ci siamo prefissati è stato quello di darle voce adesso che lei non può più parlare”, precisa Ennio, il padre. Perché “tutto ciò che esiste ha una storia da raccontare”, come appunta un giorno Giulia sul diario, e a distanza di due anni dalla tragica morte, la sua esistenza racconta il bene, la speranza, la luce.
Insieme alle due amiche di famiglia Mariarosaria e Maristella e con la competente supervisione della signora Augusta Epifani, dipendente della libreria Liberrima (uno dei luoghi del cuore di Giulia), la madre Daniela Nuzzo ha selezionato gli scritti più rappresentativi di Giulia, affidando poi il lavoro di revisione all’editor Pierluigi Mele. Ne è venuto fuori qualcosa a metà tra l’autobiografia e il diario, spesso illustrato da Giulia stessa, con un’appendice in cui di lei parlano tutti coloro che l’hanno conosciuta e amata, i genitori, il nonno, gli zii, le amiche, i fidanzati. La ricorda persino Alessia Gazzola, l’autrice dei romanzi della serie “L’allieva”, molto amati dalla giovane leccese: “sarebbe stato uno spasso chiacchierare con una lettrice attenta, simpatica e intelligente come te”, dice con affetto la famosa scrittrice.

Le pagine scelte dalla mamma ci restituiscono un ritratto schietto, trasparente, lontano dalle agiografie che molti genitori tessono per i figli persino quando sono ancora in vita: Giulia è la sua ironia e la sua voglia di vivere, ma anche i suoi spigoli e il lato oscuro e nascosto di chi al suo diario si consegna esattamente per quella che è, le vette e i precipizi, la dolcezza e le asperità, la forma italiana perfetta e, quando serve, il turpiloquio. L’intuito e la sensibilità da un lato, la corazza impenetrabile e la coda pungente da Scorpiona di razza dall’altro, a voler dare una connotazione zodiacale alle sue contraddizioni.
Passata come una supernova nella vita di tutti coloro che hanno avuto il privilegio di viverle accanto, dalle pagine di “Scriverò tutto domani”, tra inquietudini sentimentali tardoadolescenziali, citazioni di autori classici e contemporanei, racconti scolastici, aneddoti vari, disegnini, vignette e fumetti, emerge una maturità emotiva sorprendente in una 22enne (“Dio, smettila di mandarmi sempre lo stesso coglione in corpi diversi”, scrive quando il suo fidanzato la fa infuriare, preghiera che ti aspetteresti da una single quarantenne delusa dagli uomini e incapace di instaurare relazioni stabili e non da una splendida giovane donna con tutta la vita davanti).

Proprio a causa di Giulia e della sua stellare vitalità, la casa editrice Moon, che ha pubblicato il libro, ha intitolato “Supernova” la nuova collana dedicata a biografie e diari. E, in questo senso, davvero l’accostamento con la supernova non appare peregrino, perché Giulia è stata un’esplosione di vita in grado di sprigionare più luce e più energia di quanto ci si aspetterebbe in una ragazza così giovane, esaurendosi poi nel giro di pochi mesi, esattamente come fanno quegli astri così rari e particolari.
22 anni e un gatto, una mezza luna e una stella tatuati sulla scapola sinistra: questa era Giulia, la femminilità e l’indipendenza di una felina, l’etereo sogno di riacciuffare le cose smarrite per strada nel suo percorso di vita e la speranza di raggiungere gli universi più lontani. Così, sulle pagine del suo diario, lei stessa spiega la scelta di questo tatuaggio, citando, accanto a una pietra miliare dei libri di fantascienza come Stardust, un classico della letteratura italiana, l’Orlando di Ariosto, la cui missione è di recuperare sul satellite terrestre il senno perduto. Innamorata del passato, come ogni brava studentessa del liceo classico, ma con lo sguardo spalancato sul futuro che un pezzettino dopo l’altro stava costruendo: due aspetti che in lei convivevano in completa armonia, sfaccettandone il carattere e approfondendone la sensibilità.
“La vedevo scrivere per ore, china sulla scrivania della sua stanza, e mi chiedevo cosa avesse di tanto importante da affidare a quelle pagine. Però, malgrado la curiosità, non mi sono mai permesso di dare un’occhiata, ho sempre rispettato la sua intimità. Poi durante la malattia ha smesso di scrivere. Non ce la faceva fisicamente, oltre a non averne l’umore giusto. Ma sono convinto che, se anche avessimo trovato pagine relative a quel periodo, non le avremmo pubblicate. Volevamo valorizzare la sua intelligenza e il suo umorismo, non raccontare una tragedia. Quella la viviamo senza bisogno di ostentarla”.

Nel libro c’è, in effetti, una frattura temporale, un salto di parecchi mesi in cui lasciamo Giulia a godersi l’estate di sole, aperitivi e feste a Spiaggiabella, il mare dei leccesi, e la ritroviamo in un letto dell’Ospedale degli Infermi di Rimini, a chiamare spiritosamente “Cicerone” la massa tumorale che le abita nella pancia e che i chirurghi le asportano nel corso di un intervento complesso durato più di otto ore: “Non ha mai perso la sua ironia”, sorride il padre. “Da classicista quale era, ha dato un nome classico al suo tumore. Forse era il suo modo di esorcizzare la paura. Abbiamo fatto la scelta di non rivelarle la gravità della sua situazione clinica, di sdrammatizzare, di centellinare le informazioni di carattere medico, ma mia figlia era intelligente e siamo convinti che abbia compreso che le restava poco da vivere. Nonostante ciò, è stata lei a darci coraggio sino all’ultimo, anche quando era talmente debilitata da dover sospendere i cicli di chemioterapia che erano stati previsti al momento della diagnosi”, spiega Ennio Romano.

Aveva occhi tra l’azzurro e il verde, Giulia, con piccole macchioline di nocciola e di grigio che spuntavano sull’iride a screziarne qua e là la trasparenza. Per pura combinazione, veniva interrogata ogni volta che un ragazzo rompeva con lei e, malgrado il trauma della storia chiusa, collezionava 8 e 9 sul registro di classe, al liceo classico Palmieri di Lecce. Amava divertirsi con gli amici, ma il posto in cui si sentiva più a suo agio, oltre a Spiaggiabella, era un piccolo angolo della Liberrima, accanto allo scaffale di fumetti e fantasy, dove a un anno dalla scomparsa le è stata dedicata una targa commemorativa. I luoghi che amava di più si legano l’uno all’altro anche nella morte: per volontà della mamma, le ceneri di Giulia, raccolte nel sacchetto di uno degli ultimi libri acquistati nella libreria del centro storico di Lecce, vengono disperse nel suo mare preferito (“ci è sembrato il modo migliore per salutarla”, aggiunge commosso il padre”).

Giulia che nutre una fede cieca nel potere delle parole e per questo si augura di saperle usare soltanto per cose buone, “perché le uniche parole che rimpiangerei più di quelle non dette sono quelle pronunciate per ferire”. Giulia che inizia ad apprezzare il suo nome soltanto quando scopre che significa “la preferita di Giove”, il re degli dei, dal quale si aspetta cura e protezione nei tormenti della sua adolescenza vissuta a fior di pelle, senza mai risparmiarsi. Giulia che finisci il libro e ti viene voglia di esserle amica, come dice Salinger ne Il giovane Holden. E ti si strozza in gola il rimpianto di non poterla mai conoscere, questa meraviglia di ragazza che, come tutte le adolescenti, guardandosi allo specchio avrebbe voluto essere diversa, magari più alta e con le tette più piccole.

Le piacevano le metafore, il suo diario ne è zeppo. Aveva smesso presto di guardare quello che lei chiamava “il giardino accanto”, abitato dall’erba più verde, perché, immaginandosi in futuro padrona di un parco con piscina, del giardino aveva scelto di non accontentarsi. Sperava nel meglio e voleva sempre di più: “io non sono un pezzo del gioco di nessuno / e se tutto va male io mi rialzerò e ci riproverò”, versi che tradiscono chiaramente una filosofia di vita votata alla resilienza e alla ricerca della felicità. Lo conferma il padre, quando dice che “Qualunque cosa avesse scelto di diventare, Giulia sarebbe stata una persona felice, perché si impegnava ogni giorno per esserlo”. Ne dà ulteriore prova la madre, quando, a chiusura del libro, scrive di aver voluto offrire “ai lettori la possibilità di conoscere una ragazza la cui voglia di vivere ha contagiato tutti coloro che l’hanno conosciuta”.

“Mamma di Giulia per sempre”, si firma Daniela, e Dio solo sa come si riesca ad essere genitori per sempre di chi non c’è più. Forse un aiuto può arrivare proprio dalle righe che Giulia nel diario dedica al ragazzo con cui a malincuore ha interrotto la relazione: “L’amore è sempre stato più forte del dolore. Ed è ancora più forte ora che non ci sei. Supera il silenzio, la distanza, la separazione”. Parole che, lette adesso, appaiono come il più commovente testamento spirituale che potesse lasciare non soltanto al suo fidanzato, ma a tutti coloro che hanno avuto la sfacciata fortuna di attraversarle la strada.