I fari di Brindisi, ormai solo monumenti: affascinanti e abbandonati

Da secoli strumenti indispensabili alla navigazione e alla sicurezza dei marinai, con lo sviluppo delle nuove tecnologie di trasmissione satellitare, i fari hanno perso la loro principale funzione di comunicazione visiva e perciò vengono giorno dopo giorno dismessi e abbandonati, conservando però quell’atmosfera suggestiva, misteriosa e romantica che affascina e incanta, divenendo spesso fonte d’ispirazione per tanti artisti.
La presenza numerosa a Brindisi di queste infrastrutture di segnalazione marittima testimonia la vocazione portuale della città e il suo ruolo determinante negli intensi traffici marittimi e militari tra Europa e i Paesi del Mediterraneo. Alla fine dell’Ottocento il nostro era uno dei maggiori porti italiani per traffico passeggeri, segnando una movimentazione di 17.160 unità, di poco inferiore a quello di Venezia. Già nel progetto del 1834 voluto da Ferdinando II di Borbone, che riguardava principalmente i lavori di escavazione del porto e di bonifica delle paludi, era inclusa la costruzione di “tre fanali da servire di guida ai naviganti diretti nel porto di Brindisi, tra questi due di grande portata: uno sulla punta di Capo Gallo, o Torre Penna, e l’altro sull’isola delle Pedagne, detta Traversa, e uno piccolo sul Forte a mare”.
Il faro di Punta Penne era il principale della città (III ordine), si ergeva maestoso al centro di “una larga estensione di terreno basso e piano […] con la base circuita da una scogliera, sulla quale irrompono i furenti marosi delle bore – lo descrive così il “marino” Ferrando Ascoli nel suo volume pubblicato nel 1886 – il faro ha luce bianca a splendori di 30 in 30 secondi, e, situato sopra una torre circolare con casamento, alta metri 34, è visibile a miglia 17”. Di questa imponente struttura resta solo una suggestiva e malinconica cartolina in bianco e nero del 1901, dove è altresì visibile la torre cinquecentesca completa del piano superiore, parte demolita negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale. Lo stabile alla base del faro venne utilizzato dalla Guardia di Finanza per diversi anni, oggi versa in pessime condizioni strutturali.
Sull’isola dell’arcipelago delle Pedagne fu progettata una lanterna di segnalazione per identificare facilmente l’imboccatura del porto e quindi evitare possibili collisioni con gli isolotti della zona, la torre “cilindrica bianca in muratura con lanterna poligonale”, alta diciotto metri della portata di circa tredici miglia, fu avviata al funzionamento dal Genio Civile nel febbraio del 1861, due anni dopo il suo completamento costato 75.222 lire. All’epoca era un faro di V ordine “con lenti piane verticali per i lampi” alimentato a petrolio, poi dal 1915 divenne un fanale a lampi rossi; era custodito da tre fanalisti che si avvicendavano per la manutenzione. Nonostante i tanti anni di abbandono e il degrado causato dalle condizioni ambientali, sono ancora visibili alla base della torretta i vani con destinazione di alloggio temporaneo dei guardiani, con cinque stanze e due cucine. L’Autorità di Sistema Portuale ha però avviato una Conferenza dei Servizi con la Soprintendenza per valutarne il progetto la recupero dell’intera struttura, che prevede la verifica statica delle opere di fondazione con ricostruzione di muri e coperture, fino al rifacimento degli impianti tecnologici, al potenziamento della lanterna e dell’attracco all’isolotto. Il faro, a pannelli fotovoltaici, è tutt’oggi operativo a cura del Comando di Marifari della Marina Militare.
Il cosiddetto “faro di Forte a mare” era posto in realtà “sull’angolo rivolto a greco” del cavaliere del Castello Alfonsino. Con una parziale modifica dei lavori progettati nel 1834, dieci anni dopo venne potenziarlo per essere reso “visibile a maggior distanza”. Nel 1886, secondo la descrizione dall’Ascoli, era “un fanale a luce rossa fissa visibile a miglia 14, situato sopra una torretta circolare bianca della altezza di metri 46 dal pavimento del terrazzo su cui si basa”, fu poi sostituito nel 1930 da un traliccio in ferro a forma tronco piramidale a base quadrata, utile a sostenere la lanterna del faro con luce a quattro lampi per un periodo di venti secondi, con portata di circa trentacinque miglia marine. Entrò in uso nel 1938 con funzioni aeromarittime, restando attivo sino al 1984, quando venne dismesso conseguentemente alla dichiarazione di inagibilità del Forte, e sostituito da un faro elettronico posto sul Monumento al Marinaio. Nel maggio del 2004 il segnalamento tornò sulla terrazza dell’antico maniero, dove funziona con l’ottica rotante e portata della luce sul livello del mare pari a ventotto miglia. Nell’ottobre del 2017 il vecchio traliccio in ferro, uno straordinario esempio di archeologia industriale marittima da anni imbracato e sostenuto con una gabbia metallica, è stato smontato e conservato, da allora il paesaggio marittimo della città si è modificato, l’assenza di quella originale struttura si nota ancora oggi, soprattutto dal lungomare del porto interno.
Di tipologia insolita, sia per la geometria che per l’ubicazione, anche il faro di Punta Riso, una struttura fatta realizzare dalla Commissione dei Porti e attivato nel 1893 per segnalare la presenza dell’isola di Sant’Andrea, a nord del porto esterno della città, con una lampada di IV ordine a luce bianca a splendori e intervallo tra i lampi di cinque secondi. Alcuni anni dopo fu realizzato lo scalo di alaggio per le barche dei fanalisti e il pontile in legno in legno e ghisa, lungo 210 metri, che lo collegava all’isola. Dal 1931 divenne un fanale a luce verde a lampi e nel 1952 viene installata una nuova lanterna metallica utile ad ospitare le apparecchiature di V ordine. Sette anni dopo la tipica torretta bianca alta dodici metri venne rivestita con “tesserine maiolicate bianche e nere, da venti millimetri, che compongono strisce orizzontali alterne, due nere e una centrale bianca” ricorda l’architetto Chiara Sasso, autrice di alcuni interessanti studi sulla conservazione del patrimonio industriale e paesaggistico pugliese. Ai piedi della torretta vi è un caratteristico basamento circolare utilizzato in passato come ambiente di servizio, affiancato da altri due locali indipendenti “mai utilizzati né come alloggio né come deposito dai faristi, per l’eccessiva umidità”. L’intera struttura è realizzata da conci di carparo locale “in una variante rossastra”, gli stessi usati per il Castello Aragonese (per questo è detto anche Castello Rosso), con i blocchi cavati nei pressi della struttura, dove si notano ancora i numerosi scogli squadrati e tagliati. Lo specchio d’acqua che separava il faro dall’isola venne colmato nel 1985 durante la costruzione della lunga diga foranea (2.385 m.), al quale oggi il faro rimane sottoposto, ciò ha determinato la dismissione della struttura con il trasferimento dell’ottica su una nuova torre poco distante, spenta definitivamente alcuni anni dopo, e la demolizione della parte nord della fabbrica “compromettendo l’integrità formale e volumetrica e restituendone un’immagine menomata”.
L’intera struttura oggi soffre di estesi fenomeni di degrado a causa principalmente degli effetti chimici e biologici dell’ambiente marino, ma anche dall’azione umana. Nonostante ciò l’arch. Sasso ha elaborato una interessante proposta di restauro e recupero funzionale del faro, con il consolidamento delle coperture e interventi di reintegrazione dell’immagine attraverso il trattamento delle superfici, con una parziale ricostruzione del basamento. Ciò permetterebbe alla struttura non solo “d’innestarsi al percorso pedonale della diga”, ma soprattutto raggiungere l’obiettivo di “proporre la lettura di un territorio – la Terra d’Otranto – interessato da tante vicissitudini a causa della sua esposizione verso Oriente da proporsi come un vero e proprio Ecomuseo del Mediterraneo”. La proposta prevede il riuso del luogo come museo e sala espositiva, un osservatorio sui processi socioculturali che permetta di capire e “rileggere la storia del territorio tra diversità e contaminazioni” avvenute nel tempo con l’arrivo dal mare di numerose popolazioni.
La riqualificazione di questi manufatti costieri di pregio storico e paesaggistico non è una novità, negli ultimi anni vi sono stati numerosi processi di riconversione di alcuni fari dismessi, trasformati in strutture ricettive eco-sostenibili di successo, lo stesso è avvenuto per quelli ancora funzionanti, utilizzati per la valorizzazione e promozione del patrimonio naturale e architettonico del territorio con l’organizzazione di eventi e rassegne culturali, come accade da qualche anno nel celebre faro otrantino di Palascia.