I Messapi e la trozzella più grande del mondo

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del museo Ribezzo…lasciata la sezione preistorica, si accede alla sala dedicata ai messapi: ad accogliere il visitatore vi è una trozzella di notevoli dimensioni, credo che la si possa definire “la più grande del mondo”. Ma cosa è la trozzella? E soprattutto chi erano i Messapi? Passare del tempo a contemplare i reperti messapici custoditi ed esposti nelle vetrine potrà senz’altro aiutarci a rispondere a queste domande e a conoscere più a fondo gli antenati dei salentini.
Ma facciamo un passo indietro e ritorniamo alla sezione precedente (vedi IL7 Magazine n°4 del 24 gennaio), quella che ci ha condotto in un viaggio nel tempo alla scoperta del popolamento del territorio brindisino nel periodo preistorico e protostorico: i reperti delle ultime vetrine si erano fermati all’età del bronzo. Le tracce di popolamento successive a tale epoca risalgono all’età del ferro, periodo che vede la Puglia abitata dagli Iapigi, una popolazione venutasi a formare dalla mescolanza tra le popolazioni indigene presenti sul territorio sin dal Paleolitico e i vari flussi migratori che nel corso dei secoli hanno interessato la penisola tra cui ricordiamo i Micenei, le popolazioni provenienti dall’Anatolia e dall’Epiro, ed infine, gli Illiri, venuti dai Balcani. Intorno al VII secolo a.C. la popolazione iapigia si differenziò in tre gruppi: i Peuceti (nella Puglia del centro) i Dauni (Puglia del nord) e i Messapi (Puglia del sud – da Egnazia al Capo di Leuca).
A questo punto ritengo doveroso rispondere alla domanda che ci siamo posti in precedenza: “chi erano i Messapi”?
Alcuni storici dell’antichità hanno attribuito ai Messapi discendenze mitologiche (come spesso accade, nel tentativo di legittimare le origini di una popolazione). Secondo Strabone, i Messapi discendono da un gruppo di Cretesi che, al seguito di Teseo, era approdato sulle coste pugliesi a causa di un naufragio e aveva fondato le città messapiche. Per ciò che concerne l’origine del nome messapi, fra le varie ipotesi formulate la più suggestiva è quella secondo la quale “Messapi” significherebbe “popolo fra i due mari” (così come Mesopotamia significa terra fra i due fiumi); secondo un’altra ipotesi la popolazione prenderebbe il nome da “Messapo” un eroe beota che si era trasferito nel sud Italia.
Tralasciando le origini mitologiche e rifacendoci ai rinvenimenti archeologici è possibile stabilire che i Messapi furono fortemente influenzati dalla cultura greca, ma allo stesso tempo furono in grado di mantenere una propria identità e autonomia respingendo i continui attacchi da parte degli Spartani che si erano stanziati sulla costa ionica fondando la città di Taranto. Infatti nonostante i messapi fossero dediti principalmente all’agricoltura e alla pastorizia, in caso guerra si rivelarono tenaci combattenti a cavallo, arcieri, e abili domatori di cavalli, tant’è che il poeta Virgilio riferendosi all’eroe Messapo scrive nell’Eneide: «Ma tu o Messapo domatore di cavalli…che nessuno né col ferro né col fuoco può abbattere… »).
Anche la religione fu influenzata da quella ellenica e forte divenne il culto verso la dea Demetra, dea del grano e dell’agricoltura. Uno dei santuari più importanti dedicati alla dea e a sua figlia Persefone si trovava presso il Monte Papalucio, ad Oria. Nella sala messapica del museo Ribezzo, il culto demetriaco è documentato dalla tomba del IV secolo a. C., proveniente da Valesio (nei pressi di Brindisi): su una delle lastre laterali interne, all’interno di un rettangolo sormontato da una fiaccola demetriaca, è incisa l’iscrizione “Tobaroas Damatrioas” che significa “(sono) della sacerdotessa di Demetra”.
Alle spalle del sarcofago sono esposte invece svariate epigrafi sulle quali vi sono iscrizioni in messapico, importante testimonianza della lingua messapica, non a caso, il museo è dedicato a un illustre studioso di questa lingua, l’archeologo e glottologo Francesco Ribezzo (1875-1952).
Fra i vari reperti, quelli che più identificano la popolazione messapica sono le trozzelle (finalmente possiamo rispondere alla nostra prima domanda): si tratta di anfore dalla forma ovoidale, caratterizzate da coppie di rotelle plastiche, o trozze (dalle quali prendono il nome) disposte sulle anse verticali. Gli esemplari esposti sono talvolta riccamente decorati da elementi geometrici come cerchi, scacchiere, quadrati, triangoli, altre da elementi fitomorfi. Si tratta di una tipologia vascolare strettamente legata alla figura femminile.

I MESSAPI E IL TERRITORIO BRINDISINO
All’inizio i Messapi vivevano in villaggi costituiti da un insieme di capanne circondate da mura a secco. Nel corso del VI secolo a.C. i villaggi vennero sostituiti da abitati attraversati da strade e organizzati con spazi abitativi, artigianali, cultuali, funerari. A partire dal IV secolo a.C. le città iniziarono a essere cinte da mura “ciclopiche”.
Nelle vetrine sono esposti i reperti rinvenuti principalmente in contesti funerari provenienti da vari centri messapici del territorio brindisino: Egnazia, Carovigno, Francavilla, Muro Tenete, Muro Maurizio, Valesio.

BRINDISI MESSAPICA
Per quanto Brindisi abbia rivestito, per via del suo porto, un’importante ruolo in epoca messapica (secondo alcuni storici antichi Brindisi divenne capitale della Messapia), poco rimane dell’antica città messapica, ormai in gran parte sepolta sotto gli strati delle epoche successive. Secondo il geografo e storico Strabone la città di Brindisi prende il nome dalla parola Brentesion che in lingua messapica significa “testa di cervo”, evidentemente alludendo alla forma del porto.
L’insediamento urbano messapico si sviluppava sulla collina di ponente del porto interno, difeso da possenti mura megalitiche di cui ne è un esempio il tratto ancora oggi visibile tra corte Capozziello e via Pasquale Camassa.
A Brindisi sono state scoperte diverse tombe del periodo messapico, i cui corredi funebri evidenziano una forte influenza greca. Testimonianza del legame con gli antichi Greci è il caduceo bronzeo (un bastone sormontato da due serpenti) del quale, purtroppo se ne sono perse le tracce… (alcuni studi specialistici lo localizzano in una collezione privata a Venezia altri nel Museo archeologico di Napoli). Dall’ iscrizione incisa sul caduceo si è dedotto un possibile avvicinamento diplomatico fra Brindisi e la colonia ateniese di Thurii (Calabria). A chiudere la sezione messapica del nostro museo vi sono i reperti rinvenuti nella necropoli protocorinzia stanziata in via Tor Pisana, intorno al VII sec a.C. La presenza di una comunità corinzia nel nostro territorio, potrebbe giustificarsi come uno scalo/emporio commerciale o come un tentativo di colonizzazione.
Percorrendo le scale che portano al piano superiore ci lasciamo alle spalle le testimonianze lasciate dai nostri avi Messapi, una valorosa popolazione che riuscì a respingere con forza e tenacia i tentativi di occupazione spartana, ma che nulla poté davanti alla macchina da guerra romana, la quale, nel 266 a.C. conquistò il porto di Brindisi…. ma di questo parleremo nel prossimo numero.