Il genio lirico di Saffo: la poesia che anticipò la chimica dell’amore

Imparare a memoria, da sedicenne, i versi di quella che è considerata la più struggente lirica greca, lasciarli a germogliare – forse inconsapevolmente – in qualche angolo di sé, come il seme di una cultura umanistica che, malgrado gli studi scientifici, mai si è smesso di coltivare e interpretarli, a distanza di qualche decennio, alla luce delle conoscenze acquisite nel corso degli studi di Medicina sino a riportare i risultati di quella osservazione in uno studio interdisciplinare pubblicato su “Hormones”, rivista internazionale di Endocrinologia e Metabolismo: non è la trama di un film surrealista francese, ma quanto accaduto al professor Giampaolo Papi, brindisino, medico presso l’AUSL di Modena, nella quale dirige l’unità operativa di Endocrinologia, docente a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Endocrinologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma) e Cultore della Materia di Endocrinologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Quello che nell’edizione critica degli scritti di Saffo (a cura di Eva-Maria Voigt) è catalogato come Frammento 31, meglio conosciuto ai più come Ode della Gelosia, rappresenta, secondo quanto sostenuto nello studio, la prima descrizione clinica di cui vi sia traccia in letteratura di “reazione di attacco e fuga”, altrimenti detta “reazione acuta da stress”: nella poetessa di Lesbo, che sorprende la giovane di cui è innamorata insieme ad un uomo percepito come rivale, si attiva quella risposta fisiologica, immediata, involontaria e incontrollabile, che culmina con il rilascio di un particolare tipo di ormoni, le catecolamine (noradrenalina e adrenalina), le quali determinano aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità del cuore, costrizione dei vasi periferici, rossore al volto, aumento della pressione arteriosa, liberazione di zuccheri e acidi grassi, indispensabili per l’attività muscolare e per il metabolismo cerebrale, tremori e sudorazione fredda, aumento della temperatura corporea.
Tutti sintomi che Saffo, pur non essendo un clinico, riporta alla perfezione nella sua celeberrima lirica: “… Questa visione / veramente mi ha turbato il cuore nel petto/ appena ti guardo un breve istante nulla / mi è più possibile dire / ma la lingua mi si spezza e subito / un fuoco sottile mi corre sotto la pelle / e con gli occhi nulla vedo e rombano / le orecchie / e su me sudore si spande e un tremito / mi afferra tutta e sono più verde dell’erba / e poco lontana da morte / sembro a me stessa”.
Il progetto, intitolato “L’Endocrinologia celebra il genio lirico di Saffo”, è a firma, oltre che di Giampaolo Papi, della professoressa mesagnese Valentina Cuomo, dottoressa di ricerca in Filologia Classica e lettrice di Italiano all’università di Dresda, del dottor Enrico Tedeschini, Psichiatra dell’Ausl di Modena, della dottoressa Rosa Maria Paragliola, ricercatrice di Endocrinologia all’università Cattolica di Roma, di Salvatore Maria Corsello, professore associato di Endocrinologia all’università Cattolica di Roma e di Alfredo Pontecorvi, professore ordinario di Endocrinologia all’università Cattolica di Roma.
A chi è venuta l’idea di parlare nello stesso studio di Saffo e delle catecolamine?
“L’idea dello studio è stata mia, ma devo l’ispirazione alla mia ex compagna di classe Valentina Cuomo, filologa, con la quale ogni domenica, per circa mezz’ora, studio il greco online. Mi sono diplomato al liceo classico Benedetto Marzolla di Brindisi e sino alla fine sono stato indeciso sul percorso di studi da intraprendere successivamente: erano in ballo Lettere Classiche e Medicina. Ho scelto Medicina, ma non mi sono mai allontanato dagli studi classici. Qualche mese fa Valentina mi presentò questo testo di Saffo. Naturalmente conoscevo questi versi per averli studiati a scuola. Li ho riletti con gli occhi dell’endocrinologo e ho pensato che sarebbe stato interessante mettere nero su bianco quanto avevamo rilevato”.
Certamente, quando da adolescente ha mandato a memoria “Fainetai moi kenos isos theoisin emmen’oner”, non poteva aspettarsi che, qualche anno dopo, quelle reazioni psicofisiche così compiutamente descritte da Saffo, sarebbero state il suo pane quotidiano.
“Ammetto che la coincidenza mi ha affascinato. Ma soprattutto, da medico, sono sorpreso per la chiarezza e la precisione con cui una poetessa è riuscita a trasportare nei suoi versi un meccanismo scientifico così complesso come la reazione da attacco e fuga. Se pensiamo che Ippocrate, colui che è considerato il primo medico dell’antichità, visse due secoli dopo Saffo, la cosa è ancora più sorprendente”.
Perché la reazione di attacco e fuga è una risposta così importante dell’organismo?
“È una risposta ancestrale di difesa, completamente involontaria, comune anche agli animali, che ci consente in pochi secondi di organizzare la nostra reazione ogni qual volta si presenti la necessità di combattere o di scappare. Pensiamo a quando ci innamoriamo e incontriamo improvvisamente la persona oggetto del nostro interesse. Ci batte il cuore, la salivazione si azzera, sudiamo, arrossiamo, qualcuno di noi non riesce a sopportare la visione della persona amata e cambia strada. Questo, con endecasillabi meravigliosi, descrive Saffo: la reazione del sistema simpatico, che si chiama autonomo proprio perché non siamo in grado di esercitare su di esso alcun controllo, alla sola vista di colui o colei che amiamo. In nessun trattato di Endocrinologia mi è mai capitato di trovare tanta lucidità clinica. L’unica cosa che manca è il momento conclusivo della reazione di attacco e fuga, perché la poesia è tronca. Quindi, come va a finire? Saffo scappa o ammazza di botte l’uomo che sta corteggiando la sua amata?”.
Lei cosa si è risposto?
“Non saprei, da medico mi limito a osservare le cose dal punto di vista della descrizione clinica. Però è una domanda che mi hanno fatto sia i ragazzi del liceo classico, durante un corso di orientamento per la scelta della facoltà universitaria, sia i miei studenti di Medicina, quando ho presentato loro lo studio. Chissà…”.
Al di là della bellezza letteraria dei suoi versi, dunque, c’è scienza in Saffo.
“Sì, Saffo descrive esattamente, per la prima volta nella storia, una vera e propria sindrome, cioè un complesso di segni e sintomi. La sua capacità di osservazione la rende molto più simile ad una scienziata che a una poetessa. Faccio un esempio: Saffo poteva limitarsi a dire che la vista dell’amata la faceva sudare, invece ha precisato la caratteristica di quel sudore, parlando di sudorazione fredda e mostrando di saper distinguere la sudorazione derivante dal caldo da quella derivante dal rilascio di catecolamine. Tutto ciò è eccezionale”.
Quindi, l’accurata analisi filologica preliminare è stata importante proprio per dare fondamento scientifico allo studio.
“Esattamente, l’analisi filologica è stata fondamentale, anche tenuto conto del fatto che sulla traduzione di alcuni versi non c’è convergenza. Faccio un altro esempio: noi riteniamo che la traduzione “sono più verde dell’erba” non sia esatta alla luce della risposta ormonale che si attiva in quei casi. Per questo abbiamo tradotto quel verso con “più pallida del fieno”, perché la reazione più normale è che Saffo, per effetto del sudore freddo, impallidisca e non che diventi verde”.
Nell’ultimo anno la clinica e la prevenzione delle malattie non Covid hanno risentito dell’attenzione posta alla pandemia: anche la ricerca ha avuto contraccolpi importanti?
“Sicuramente sì, ne ha risentito e anche le riviste scientifiche hanno ricevuto e pubblicato studi per lo più in materia di rianimazione, infettivologia e pneumologia. Però credo che ad un certo punto anche le grandi riviste non vedessero l’ora di pubblicare qualcosa di diverso, che non avesse stretta attinenza con la pandemia. La ricerca non può fermarsi, deve andare avanti: la ragione di questo studio sta proprio nella nostra volontà di vedere oltre il Covid”.
Perché al momento di specializzarsi ha scelto l’endocrinologia?
“Perché, da giovane studente, ho sempre trovato attraente la prospettiva che molti dei nostri pensieri e molte delle nostre azioni quotidiane fossero correlati al nostro assetto ormonale, per cui ho pensato che mi sarebbe piaciuto approfondire questi meccanismi. Quando mi sono specializzato, ho avuto la conferma di quanto gli ormoni intervengano in maniera decisiva sul nostro carattere, sul nostro umore e su molti aspetti della nostra vita”.
Quanto può essere produttivo un approccio di genere anche nella medicina, proprio sulla base delle differenze ormonali tra uomo e donna? In particolare mi riferisco alla sperimentazione dei farmaci che, essendo testati prevalentemente sugli uomini, spesso presentano reazioni inaspettate sulle donne, che hanno risposte ormonali e immunitarie diverse.
“È una certezza che donne e uomini funzionino in maniera diversa dal punto di vista della produzione di ormoni e sulla base di queste differenza la ricerca deve agire. Pensiamo alla menopausa: il calo ormonale provoca nelle donne un impatto serio, ad esempio, a livello dell’apparato scheletrico, impatto che negli uomini non registriamo. Però, da questo punto di vista, credo che la medicina stia facendo passi da gigante, inquadrando ogni patologia a seconda che abbiamo di fronte un paziente di sesso femminile o di sesso maschile”.
Lei è iscritto all’elenco speciale dell’Ordine dei Giornalisti di Bologna. Ritiene che nella comunicazione sanitaria dell’ultimo anno si sia sbagliato qualcosa? Con riferimento alla quantità di notizie che venivano messe in circolo senza essere vagliate con accuratezza, mandando in confusione i cittadini, si è parlato addirittura di “infodemia”.
“Davanti ad un evento nuovo, la gente vuole sapere e quindi l’informazione deve essere data. È chiaro che, trattandosi di una patologia mai studiata prima, non era possibile avere tutti gli elementi per dare notizie sempre precise. Però io preferisco sempre che si parli, anche generando dibattito, perché l’informazione è un processo formativo al quale è giusto che partecipino anche gli utenti e non soltanto gli addetti ai lavori, Non si può pensare che la comunicazione avvenga quando di un determinato fenomeno si sa tutto, si dà l’informazione che è compatibile con le conoscenze scientifiche del momento, che poi possono cambiare, ma è un rischio che non possiamo evitare. Forse l’errore è stato che, in qualche caso, hanno parlato anche coloro che non erano proprio esperti della materia. Davanti ad un virus, normalmente intervengono i virologi. L’errore è stato di chi ha parlato senza essere addetto ai lavori e ha detto quando non doveva dire. Questo sicuramente si poteva evitare”.