Il paradiso in mare, l’inferno sott’acqua

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Anche se l’estate è ufficialmente terminata da più di una settimana si sa che a Brindisi la bella stagione è dura a morire e, almeno per ciò che concerne le condizioni meteo e la voglia dei brindisini di continuare ad andare a mare, si potrà proseguire ancora per qualche settimana.
Ovviamente non c’è più il tutto esaurito ferragostano e, allora, per chi ama le immersioni subacquee, è possibile programmare qualche scorribanda in posti che, in estate, sono invasi dalla presenza umana. Il che, al netto della confusione e degli schiamazzi che regnano sulle spiagge e la difficoltà di poter giungere con l’auto vicino alla riva – difficile altrimenti trasportare le bombole e le altre attrezzature necessarie – fa anche si che i pesci e molti altri organismi marini si tengano ben lontani dalla linea di costa, preferendo la maggiore tranquillità che regna al largo.
L’inizio dell’autunno, pertanto, è anche il periodo ideale per cercare nuovi luoghi di immersione o, magari, riscoprire posti che non si visitavano da anni.
E’ nata così l’idea di prendere il mare da una corta e stretta striscia di litorale roccioso, di libero accesso, posta fra Hemingway Beach ed il Lido del Carabiniere, a cui si accede da una stradina che aggira un fitto canneto.
All’appello hanno risposto presente sei amici – Antonello, Gianfranco, Augusto, Fabio, Fabrizio ed Alberta, la nostra mascotte – tutti puntuali all’appuntamento, segno evidente della gran voglia di mare e bollicine, nonostante l’estate sia formalmente archiviata.
Per esperienza sappiamo benissimo che, specialmente in inverno, quando la costa non è frequentata, bande di inquinatori seriali usano luoghi seminascosti, in cui è possibile accedere con auto o camioncini, per scaricare di tutto e di più, ma mai mi sarei aspettato, a settembre, di trovare una vera e propria discarica a cielo aperto affianco alla spiaggia frequentata dai carabinieri, a pochi passi dal campetto di basket, con una recinzione a vista che rende impossibile ipotizzare che nessuno si sia mai accorto, dall’interno della “Zona Militare con sorveglianza armata”, delle montagne di rifiuti di ogni genere, anche maleodoranti, che venivano scaricati sotto il loro naso da gente senza scrupoli e con una bella faccia tosta, per non dire altro.
Oltre ai cumuli dei rifiuti, chiaramente trasportati con mezzi meccanici, disseminati qua e là, sono ben visibili, più vicino al mare, anche blocchi di cemento e calcestruzzo, frutto di qualche recente demolizione abusiva di una qualche altrettanto abusiva costruzione, oltre a bottiglie di plastica, profilattici, ovviamente usati, ed anche guanti e mascherine che ci ricordano, qualora ce ne fosse bisogno, che siamo pur sempre in periodo di pandemia; non poco per un tratto di poche decine di metri di costa!
Meno male che almeno il mare si presenta ai nostri occhi in tutto il suo azzurro splendore e quando mettiamo la testa sott’acqua, ne abbiamo immediata conferma: almeno qui la sciatteria umana non ha attecchito e, probabilmente anche per un gioco di correnti, di plastica sul fondale ce n’è poca o niente.
Man mano che ci allontaniamo dalla riva, gli scogli, prima brulli e desolati, cominciano a popolarsi di vita: strane spugne gialle dall’aspetto alieno, ricci, cetrioli (pizze) di mare e pesci, tanti pesci delle più diverse specie presenti nel basso Adriatico che è quasi impossibile ricordare ed enucleare tutte quante.
La presenza di tanta varietà ittica è presto spiegata: laddove il fondale comincia a degradare intorno ai cinque metri, scorgiamo dapprima qualche ciuffo di Posidonia oceanica, da cui fugge via, attorniato da giovani tordi e donzelle, anche un piccolo pesce pappagallo, una specie propria delle coste del Nord Africa che da un paio di anni si comincia a notare anche dalle nostre parti e poi, man mano che procediamo pinneggiando verso il largo, una intera prateria di almeno un paio ettari di questa pianta acquatica fondamentale per la vita e l’equilibrio marino.
Per chi non lo sapesse, la Posidonia oceanica, che a dispetto del suo nome è specifica del mar Mediterraneo e non si rinviene altrove né, tanto meno, negli oceani, non è un’alga, come comunemente si crede, ma è una vera e propria pianta, provvista di radici, fusto, foglie, con un ben preciso periodo di fioritura autunnale e produzione di frutti galleggianti assai simili – giusto per rimanere in clima mediterraneo – alle olive.
Pur avendo girovagato per i fondali brindisini per anni, mai mi era capitato di vedere una così vasta ed incontaminata distesa di Posidonia, il che mi ha procurato una gran gioia, stante la fondamentale importanza che questa pianta riveste: produce ossigeno, fornisce cibo e rifugio per numerose specie e protegge le coste dall’erosione.
Praticamente il posidonieto rappresenta per il Mediterraneo ciò che la Foresta Amazzonica rappresenta per il nostro pianeta: senza l’ossigeno prodotto da questa pianta marina, grazie al suo sviluppo fogliare, il nostro mare sarebbe molto povero, quasi morto. Si è calcolato che ogni metro quadro di prateria libera nell’acqua ben venti litri di ossigeno al giorno. Per cui un paio di ettari, come quelli da noi visitati su questo tratto di litorale brindisino, producono circa centocinquanta milioni di litri di ossigeno l’anno.
Ma non è solo questa l’utilità della Posidonia per l’ecosistema marino del Mediterraneo: la prateria di Posidonia, come ho avuto modo di constatare anche personalmente, pullula di vita: gli studiosi affermano che un solo ettaro può ospitare fino a trecentocinquanta specie diverse di animali marini fra pesci, cefalopodi, gasteropodi, echinodermi, ecc.
Questa è la ragione per cui più volte, nel corso dell’immersione, sono stato fermo ad osservare quello che avveniva all’interno e sopra i ciuffi di Posidonia e come ad ogni mio movimento e ad ogni mio respiro, seguito dal ribollio delle bollicine che dall’erogatore salivano in superficie, tutto cambiava: i pescetti che erano sopra le chioma delle piante si rituffavano spaventati all’interno, quelli che erano nascosti fra le foglie, venivano fuori di scatto; tranne le solite castagnole, dette anche rondinelle di mare, che, a migliaia e totalmente indifferenti alla nostra presenza, si scansavano solo di quel tanto necessario per farci passare.
Ho parlato non a caso di pescetti, in quanto va precisato che oltre a fornire habitat e nutrimento per tanti animali marini, la prateria è una vera e propria “nursery” in quanto offre riparo dai predatori ai giovani di molte specie di pesci anche di interesse commerciale, che trascorrono seminascosti fra le foglie i primi mesi della loro vita, fino a quando non si sentiranno sufficientemente grandi e sfacciati da andare ad affrontare il mondo.
Questo lo sanno anche i grossi pesci che, infatti, non è raro incontrare ai margini, certi che qualche giovincello farà un passo falso, probabilmente l’ultimo della sua breve vita: ma questa è la natura e, si sa, il pesce grande mangia quello piccolo, e quando mi è passata davanti agli occhi una enorme orata di almeno cinque chili di peso ho subito pensato a quante decine di quei pescetti avrebbe ingurgitato in un solo giorno, prima di cominciare ad avvertire il senso di sazietà.
Altra funzione fondamentale che riveste la Posidonia è quella di consolidare il fondale sottocosta, in quanto contrasta in maniera efficace – assai più della tanto decantate ed artificiali barriere soffolte – il trasporto dei sedimenti sottili ad opera delle correnti costiere, smorzandone la forza e prevenendo, così, l’erosione costiera. Inoltre gli strati di foglie morte sulla spiaggia attenuano l’azione delle onde e trattengono la sabbia, specie in occasione delle violente mareggiate invernali.
Ma torniamo alla nostra scorribanda marina, durata quasi un’ora e mezza, interamente dedicata a girovagare nella prateria alla scoperta non solo della fauna ittica, ma anche di numerose effigi del nostro remoto passato: in particolare terrecotte e pezzi di anfora che ci ricordano come sia insidiosa la costa rocciosa e frastagliata fra il Serrone e Materdomini, scenario di decine di antichi naufragi.
Simpatiche e baffute triglie, in gruppetti di una decina di esemplari, si spostano di continuo spazzando il fondale alla ricerca spasmodica di cibo.
Gruppetti di giovani occhiate, che sorvolano i ciuffi di Posidonia, si incrociano con banchi di salpe dalla caratteristica livrea a strisce orizzontali argento ed oro. Un grosso Paguro bernardo si inabissa fra le foglie, mentre i suoi occhi sporgenti continuano a fissarci, più con curiosità che con paura.
Un tempo era molto facile trovare grossi esemplari di Pinna nobilis (cozza penna, il più grande bivalve dei nostri mari, potendo raggiungere anche un metro di lunghezza) seminascoste fra le piante di Posidonia fino a quando, tre anni fa, sono stati registrati in tutto il Mediterraneo moltissimi casi di moria di questa cozza dovuti al protozoo parassita Haplosporidium pinnae che ha sterminato la quasi totalità della popolazione, portandola alla soglia dell’estinzione e, infatti, nel corso della nostra passeggiata sottomarina abbiamo rinvenuto solamente i resti di qualche conchiglia
Ormai è più di un’ora che siamo sott’acqua ed è il momento di fare ritorno; essendo la giornata soleggiata e l’immersione a bassa profondità, per ritornare al punto di partenza è stato sufficiente fare affidamento sulla posizione del sole, che avevamo alla nostra destra all’andata e che manteniamo alla nostra sinistra al ritorno.
Rimettiamo i piedi sulla terraferma esattamente nel punto da dove eravamo entrati in acqua e ci godiamo il calore corroborante del sole di mezzogiorno.
Mi guardo ancora in giro a decido di andare a vedere più da vicino i cumuli di immondizia e rifiuti vari che sono stati disseminati in questo angoletto, altrimenti bellissimo, della nostra costa e mi chiedo cosa possano avere nel cervello, oltre a tanta spazzatura, gli individui che, rischiando anche una incriminazione penale, vengono a disperdere in mezzo alla natura, detriti di ogni genere, anziché andarli a conferire nei luoghi a ciò deputati.
Discorso a parte, in quanto in loro c’è solo tanta idiozia e maleducazione, per i gitanti della domenica che, dopo aver passato la giornata a mare, magari anche facendosi qualche selfie sui social per fare ammirare ai propri amici la bellezza della natura, lasciano per terra o buttano in acqua, bottiglie e stoviglie di plastica.
Ancora una volta un senso di amaro ha attenuato la dolce sensazione di pace e tranquillità che avevamo provato in fondo al mare, in quanto i segni evidenti delle brutture degli uomini non ci fanno godere appieno delle bellezze della natura.