Il terribile terremoto con «tsunami» che colpì Brindisi nel 1743: ecco da cosa venne provocato

La scoperta scientifica, riportata su alcune riviste specializzate anche estere, potrebbe apparire di poca rilevanza e riservata ad un pubblico di nicchia con interessi lontani mille miglia da quelli della gente comune, mentre, in realtà, fa luce su un episodio accaduto oltre un quarto di millennio addietro, che a Brindisi è ancora ricordato.
Un gruppo di ricercatori che fan capo all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ed all’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale ha scoperto ad una cinquantina di chilometri a sudest della Penisola Salentina, a largo di Santa Maria di Leuca un sistema di faglie, ancora attivo, che si estende per circa 100 chilometri e che è stato il responsabile del terribile terremoto che il 20 febbraio del 1743 seminò morte e distruzione in tutto il Salento e che, per quanto riguarda specificatamente Brindisi, si associò ad uno “tsunami”, uno dei pochissimi nel bacino del Mediterraneo di cui si ha traccia precisa e concorde in epoca storica.
Cercando di spiegarlo in maniera semplice, come anche io l’ho capito, la faglia, dal punto di vista geologico, che è quello che qui ci interessa, è una frattura della crosta terrestre accompagnata dallo spostamento di una delle parti, denominata labbro, lungo il piano di frattura, con relativo contatto fra le due masse rocciose da essa divise.
La circostanza che questa frattura sia ancora attiva, anche se lo spostamento appare millesimale, a fronte di una faglia venutasi a creare più di un milione di anni fa, denota la permanenza della sismicità in loco e per i tempi del nostro pianeta i 277 anni che sono trascorsi da quel funesto evento sismico, sono paragonabili ad un battito di ali di una farfalla.
Prima di rievocare il terremoto e lo tsunami del 1743, va specificato che l’area in cui esiste la faglia tende ad essere soggetta a terremoti molto meno frequentemente rispetto alle aree di catena più recenti che sono poste ai suoi margini
Non a caso le zone più sismiche sono, sul lato italiano gli Appennini e su quello opposto, le isole ioniche della Grecia che subiscono le conseguenze telluriche della pressione che su di essi esercita la placca tettonica sottomarina.
Dal momento che non è mia intenzione improvvisarmi geologo o vulcanologo e nemmeno latore di sventure ed essendo evidente che chi ha interessi più specifici in materia e più adeguata preparazione andrà ad abbeverarsi direttamente agli studi scientifici originali, torniamo a noi, anzi tuffiamoci nel mare del tempo per tornare indietro, fino alla notte del 20 febbraio del 1743, quando la Città di Brindisi – che dell’antica Brundisium, terza città italica per importanza e primo porto dell’impero romano, conservava a malapena il ricordo, ridotta come era ad appena seimila abitanti dalla miseria e dalle pestilenze abbattutasi nei due secoli precedenti che ne avevano decimato la popolazione – fu scossa, nel giro di pochi minuti da tre lunghe scosse di terremoto e dopo quasi mezz’ora dovette fare i conti con uno tsunami (termine di origine giapponese con cui si descrive quello che, fino a qualche anno addietro, veniva chiamato più semplicemente maremoto) di notevole intensità che non ebbe effetti letali unicamente per la posizione privilegiata che i nostri progenitori, in accordo con madre natura, scelsero per edificarla.
Le cronache dell’epoca riferiscono di alcuni minuti in cui la terra vibrò e tremò a più riprese, mentre un rumore cupo riecheggiava seminando ulteriore terrore con una forza distruttiva che avrebbe fatto presagire ben più dei soli tre morti che si contarono la mattina dopo.
Niente rispetto alle centocinquanta vittime che si registrarono a Nardò, il centro più colpito dall’evento tellurico, dove rimasero in piedi solo poche decine di edifici.
Il terremoto con epicentro negli abissi provocò anche una serie di enormi ondate ed una marea alta più di dieci metri cominciò a muoversi, attraverso il Canale d’Otranto, verso nord ovest in direzione di Brindisi dove giunse una mezzoretta dopo.
Destino o intervento divino volle che la furia più cieca si abbattè subito a sud del capoluogo messapico, nella zona completamente disabitata, in quanto malsana per via della malaria, delle paludi delle Saline di Punta della Contessa, superando il cordone dunale e sfogando la sua rabbia sui retrostanti stagni fino ad invadere i campi, inondando anche i pantani di Fiume Grande e di Fiume Piccolo.
Persa parte della sua potenza distruttiva, quel che rimaneva, in mare, della sua furia cieca si andò ad infrangere sul promontorio roccioso di Torre Cavallo per poi rimbalzare, sommergendole completamente, sulle isole Pedagne, prima che l’onda anomala riuscisse a penetrare parzialmente all’interno del porto facendo alzare la marea di “appena” un paio di metri ma fu preceduta, a testimonianza della imponente forza originaria, da un fenomeno assolutamente unico nel suo genere: i milioni di metri cubi dell’acqua del porto si ritrassero e per qualche minuto i terrorizzati testimoni di questo incredibile fenomeno, che fu accompagnato da un suono quasi gutturale di rigurgito, videro l’acqua sparire dal porto, per poi ritornare da dove era andata via infrangendosi sulla costa come una enorme ondata di marea che venne a superare di un paio di metri la banchina.
La mattina dopo, in special modo quando ci si accorse che la statua della Madonna Immacolata della Chiesa di San Paolo Eremita, fu ritrovata non nella sua nicchia ma al centro della Chiesa, rivolta verso l’ingresso e con le braccia alzate e gli occhi rivolti al cielo e non più, come attestato dal vescovo Andrea Maddalena, con le mani giunte ed il capo reclinato (questo episodio miracoloso sarebbe avvenuto anche alla presenza di alcuni testimoni che si erano rifugiati all’interno della chiesa dopo la prima scossa di terremoto), si gridò al miracolo e si ritenne che solo grazie alla potente intercessione di Maria presso il Padreterno e suo Figlio, Brindisi fu preservata dalla distruzione. Da allora la Madonna di San Paolo è per tutti i brindisini la Madonna del Terremoto ed ancora oggi il 20 febbraio è il giorno dedicato alla sua devozione.
A similitudine di quanto accadde a Brindisi, pur in assenza di un evento prodigioso come quello appena descritto, anche a Mesagne si ringrazia la Beata Vergine del Carmelo, a Francavilla Fontana la Madonna della Fontana ed a Taranto la Madonna Immacolata, per aver protetto dal terremoto le loro genti.
Da qualche anno a questa parte, proprio sul fondale di Santa Maria di Leuca, non lontano da quello tenuto sotto osservazione dai nostri scienziati, è stata posizionata, a circa quindici metri di profondità, una bella statua della Vergine Maria proprio nel punto dove Adriatico e Jonio si abbracciano, denominata la Madonnina dei due mari che, in breve, è divenuta luogo di incontro e di preghiera per quanti in apnea o con le bombole, esplorano i fondali marini: una protezione in più non solo per chi si avventura in mare, ma anche per tenere a bada, da laggiù oltre che da lassù, i movimenti della faglia e non solo quelli.