La bellezza del porto di Brindisi in 12 foto scattate all’alba

Una foto al mese da gennaio a dicembre, rigorosamente scattata nell’ultimo giorno del mese solare, dallo stesso punto del porto di Brindisi e allo stesso orario, le sei e mezzo del mattino: dal progetto fotografico “1 year of Brindisi Port at 6.30”, del brindisino Teodoro Iaia, è poi nato un poster con tutte le dodici immagini, in vendita sul suo sito internet, e un video time-lapse che da qualche giorno circola in maniera virale sui social network.
“1 year of Brindisi Port at 6.30” è già al secondo anno e si appresta a entrare nel terzo. Nel 2020 il progetto si è fregiato della prestigiosa presentazione, leggibile sul sito internet teodoroiaia.com, della dottoressa Katiuscia Di Rocco, direttrice della Biblioteca Pubblica Arcivescovile “De Leo” e della Fondazione “Nuovo Teatro Verdi” di Brindisi, che ha scritto: “Un’idea, quella di Teo Iaia, che stupisce ed obbliga noi spettatori ad osservare più lentamente ed attentamente luoghi e dettagli. Considerare ciò che ci circonda come diverso ogni volta e ogni volta innamorarsi un po’ di più di una città che racconta la sua vita da tremila anni attraverso il porto e il mare”.
“L’ispirazione mi è stata data dal film “Smoke” del regista Wayne Wang”, racconta l’autore, impiegato nel settore privato, grafico per hobby, scrittore non per caso, fotografo per passione, anche se quella per la fotografia è una passione giovane (“non era nei miei sogni di bambino”, precisa). “Il protagonista, impersonato da Harvey Keitel, nel corso del film scatta più di 4000 fotografie a Brooklyn ogni mattina alle otto in punto, all’incrocio tra la Seventh Avenue e la Third Street dove c’è la sua tabaccheria, chiamata “Brooklyn Cigar Co.”. Quando un amico, scorrendo velocemente le foto, gli fa notare che sono tutte uguali, Keitel risponde che, invece, sono tutte diverse, perché ogni mattina passa gente diversa, perché cambiano le stagioni e cambia la luce. Insomma, come nel film, anche nel mio progetto la fotografia diventa lo spunto per invitare le persone a soffermarsi sui particolari che spesso, per la frenesia delle vite che conduciamo, ci sfuggono”.
L’interesse per la fotografia in Teodoro Iaia nasce nel 2013, quando, a più di quarant’anni, frequenta un corso tenuto dall’Associazione Culturale InPhoto di Brindisi, della quale qualche anno più tardi diventa il presidente e il direttore artistico, nonché docente in corsi e workshop di fotografia e grafica. L’intenzione è di migliorare un aspetto della sua attività di creatore e sviluppatore di siti web, ovvero quello delle immagini che propone a corredo delle pagine che costruisce, ma da quel momento in poi la fotografia diventa parte integrante della sua vita. Gli aspetti che lo più lo attraggono dell’arte fotografica non sono quelli tecnici, ma quelli narrativi e filosofici: il messaggio artistico sotteso alle scelte tecniche di chi scatta, la prospettiva umana della storia contenuta e raccontata nell’immagine: “Ho iniziato il corso perché mi interessava imparare le cognizioni tecniche di base, ma già dopo le prime lezioni ho capito di essere affascinato da tutt’altro, cioè dalla fotografia intesa come progetto finalizzato a comunicare qualcosa. È questo punto di vista che ha catturato il mio interesse e mi ha reso avido di conoscere la tecnica dei più grandi maestri di questa arte”, spiega Iaia. “In questi sette anni la mia passione si è evoluta moltissimo. Ho iniziato con l’analogico, poi mi sono dato al digitale, ma al momento le fotografie che mi appagano di più sono le istantanee”, prosegue.
Come e perché è avvenuto questo passaggio dal digitale alle istantanee?
“Per due motivi. Innanzitutto, i nostri tempi sono caratterizzati da un problema di fondo: scattando in digitale, noi non stampiamo. Abbiamo supporti elettronici nei quali immagazziniamo immagini che restano lì. Poi ci cade l’hard disk o si rompe il telefono e restiamo senza ricordi. Non stampando, noi perdiamo memoria. L’istantanea, invece, resta un ricordo tangibile e immediato. Il secondo motivo è più tecnico: sull’istantanea si può intervenire manualmente, durante lo sviluppo o addirittura nel momento stesso in cui esce dalla macchina. È un lavoro artigianale che non ha nulla a che vedere con Photoshop e gratifica moltissimo l’autore, che in questo modo si sente partecipe dell’immagine come se l’avesse non soltanto scattata, ma proprio dipinta. Naturalmente l’istantanea richiede al fotografo la concentrazione massima. Non si può rischiare di sprecare una diapositiva per ogni scatto perché sull’istantanea, al contrario di quanto accade su una foto elaborata digitalmente, si può intervenire sino ad un certo punto. Ciò fa sì che ogni scatto sia unico, non riproducibile da nessun altro fotografo”.
Quelle di “1YearofBrindisi” che tipo di fotografie sono?
“Sono foto digitali che inquadrerei nel genere concettuale. Utilizzo la macchina digitale perché mi consente di avere a disposizione una porzione più ampia di paesaggio, laddove la visuale dell’istantanea è per definizione ridotta. Non sono le classiche foto naturalistiche o paesaggistiche, perché fotografare da uno stesso punto lo stesso paesaggio per un anno significa invitare chi guarda a focalizzarsi su come quel paesaggio varia a seconda della luce, delle stagioni, delle persone che lo popolano. È il cambiamento che mi interessa, non esclusivamente la bellezza oggettiva del posto”.
Tra i tanti luoghi significativi di Brindisi, perché ha scelto proprio il porto? E perché ha scelto proprio quell’orario, le sei e mezza del mattino?
“Quando ho ideato il progetto, ho pensato di dover scegliere un luogo attraente della nostra città. Credo che chiunque arrivi dalla provincia identifichi Brindisi con il suo porto. Il motivo è anche storico: buona parte della nostra storia si è svolta intorno al nostro porto, che ha tenuto uniti i brindisini e li ha messi in collegamento con il mondo. Mi sembrava giusto omaggiarlo. Per quanto riguarda l’orario, credo che l’alba sia il momento per migliore per far vedere come si modifica la luce durante i mesi. Se avessi scelto un’ora diversa, per esempio il mezzogiorno, probabilmente l’unica variazione visibile sarebbe stata quella meteorologica, visto che a quell’ora il sole è alto nel cielo sia a febbraio che ad agosto. Tengo a dire che le foto finite sul poster sono frutto di un lavoro meticoloso. Sono tutte scattate alle sei e mezza in punto (porto con me il cronometro proprio per essere preciso al secondo) e sono tutte primi scatti. Non faccio foto a ripetizione dalle quali scelgo la migliore o quella che mi piace di più: io fotografo, indipendentemente che mi stia passando davanti una nave, una persona o un cane. Gli altri scatti mi sono serviti per il video time-lapse”.
La fotografia non è l’unica arte con la quale si esprime, visto che negli scorsi anni si è cimentato anche nella scrittura.
“Ho scritto due libri, uno narrativo e l’altro fotografico. A differenza della fotografia, la scrittura è una passione che coltivo da bambino. Il mio scrittore di riferimento è Carlos Ruiz Zafón, scomparso poco meno di un anno fa, del quale amo particolarmente “L’ombra del vento”. “La verità degli estinti”, il mio libro di narrativa, richiama quel tipo di atmosfera, dal momento che parla di esperienze di pre-morte e di sogni precognitivi. Avrei anche voluto scrivere il seguito, ma subito dopo la pubblicazione nella mia vita è arrivata la fotografia, quindi questa intenzione è passata in secondo piano. Comunque, mai dire mai. Magari un giorno ci riuscirò”.
“Siamo stati qui” è, invece, un libro fotografico: come le è venuta l’idea?
“È un libro a cui tengo molto, perché è dedicato a mio padre, scomparso da qualche anno. Durante un corso avanzato di fotografia, trovai in casa alcune foto di mio padre che negli anni tra il 1950 e il 1955 aveva fatto dei viaggi in Italia, fotografandosi in luoghi più o meno famosi. Alcuni erano facilmente riconoscibili, per identificare gli altri ho avuto bisogno dell’aiuto di un mio compagno di corso che, guardandole, è stato in grado di riconoscere ogni ambientazione. A quel punto mi è venuta l’idea di esplorare lo stesso percorso, circa sessant’anni dopo mio padre, e di farmi scattare, proprio dal compagno di corso che si era rivelato tanto utile, più o meno le stesse foto che si era fatto scattare papà. Nel libro si vedono sulla sinistra le foto di papà, sulla destra le mie. Naturalmente non sono identiche, scattate nella stessa posa, perché l’intento non era scimmiottare mio padre, ma semplicemente sentirlo vicino ripercorrendo i suoi stessi luoghi: Roma, Tivoli, Napoli e Pompei”.
Si dice spesso che la scrittura sia terapeutica. Secondo lei, lo è anche la fotografia?
“Nel mio caso lo è stata, soprattutto in occasione della pubblicazione di “Siamo stati qui”. Il mio rapporto con mio padre non sempre è stato sereno. Il libro che ho realizzato per ricordarlo è stato l’unico modo che mi è venuto in mente per chiedergli scusa se non sempre sono stato all’altezza delle sue aspettative e per ringraziarlo dell’uomo che sono diventato seguendo il suo esempio. C’è una foto, in particolare, che mi emoziona, scattata in piazza San Pietro. Di tutte le colonne, sono andato a ritrovare quella che presenta una piccola crepa, davanti alla quale si era fatto fotografare papà: ecco, pensare che ero proprio nel posto esatto in cui era stato lui sessant’anni prima, mi ha emozionato moltissimo”.
Il progetto “1YearofBrindisi” continuerà anche nel 2021: da dove scatterà quest’anno?
“Normalmente, per una questione scaramantica, non mi piace dare anticipazioni, ma farò un’eccezione per voi de il7 Magazine! Premetto che la cosa importante, quando svolgo questo lavoro, è mettermi nelle condizioni di mostrare agli spettatori le variazioni della luce date dal sole. Sino a questo momento ho sempre lavorato con il sole alle spalle. Due anni fa ho scattato giù dalla scalinata di Virgilio, dando le spalle alle colonne romane. Quelle del 2020 sono scattate dalla Lega Navale. Nelle prossime, invece, avrò il sole di fronte, perché ho deciso di scattarle di spalle al Monumento al Marinaio. Per questo motivo sto anche predisponendo i filtri, che negli anni precedenti non ho utilizzato. È come se idealmente stessi percorrendo il semicerchio del nostro porto, per mostrare a brindisini e forestieri la bellezza della nostra città”.