La cripta di San Nicola a Serranova, esempio di degrado e abbandono

Il cammino prosegue lungo le impervie strade della memoria sopita ed ha un suo intimo proposito, tenere vivo il dialogo col territorio in cui viviamo, quello dove siamo nati o che abbiamo deciso di vivere.
Brindisi e la sua provincia, rappresentano all’occhio attento, un variegato e assai interessante complesso territoriale, dove alla fertilità della terra, corrisponde la fertilità del suo tragitto storico culturale.
L’autunno ottobrino ha le sfumature calde e voluttuose di donna matura. La natura si sveste del rigoglioso vestito estivo e s’appresta a prendere riposo.
E se per le strade e le contrade non si sente più il dolce profumo del mosto, giungono a maturazione, gli ulivi che da queste parti, assumono la sagoma possente di patriarchi.
Queste sono le suggestioni che mi accompagnano nella contrada di Serranova, laddove il confine amministrativo tra i comuni di San Vito e Carovigno, pare giocare a celarsi per confondersi in un unico che fa di questo spicchio di provincia dalle terre rosse, una splendida oasi di pace e di serenità.

Raggiungere la cripta non è facilissimo, a indicarmela, il mio Salvatore ed il mio Angelo, sorta di duo necessario che, col tamburo il primo e il liuto il secondo, sono le voci amiche a cui tutti vorrebbero fare ricorso.
È col cuore che batte e si emoziona e con l’ascolto della melodia della natura che è possibile arrivare alla meta, una cavità, nascosta alla facile e distratta vista di chi a questo territorio non presta attenzione ed amore.
Nel pomeriggio dell’ultima domenica di questo ottobre offuscato da nubi di ansia e di paura, appoggio il bastone, a cui mi appoggio, su una terra fertile e gentile, tra ulivi incontaminati dal velenoso male che ne sta falcidiando la specie. Tra i rami scorgo l’anfratto rude e scabroso di una cavità che fa da balcone ad una costruzione moderna disabitata, nota stonata ed invasiva a quella che sarebbe stata necessaria, il rispetto e la cura di una testimonianza che stando ad alcuni approcci storici, farebbe pensare alla cavità come un luogo sacro per l’ufficio di riti pagani, per poi affermarsi come luogo di culto cristiano bizantino e che un pregevole affresco di San Nicola, risalente forse al IX secolo, lo farebbe divenire uno dei primi luoghi del culto Nicolaiano in occidente.
Il complesso delle cavità, in apparente stato di degrado, si interrompe con una costruzione in conci di tufo, la cui architettura, per quanto sommaria ne fa presagire la destinazione a luogo di preghiera. Non più grande di 30 mq sorprende, guardandola dall’unica entrata, per lo squalificato stato di abbandono ed i muri scarnificati, violentemente depredati, sono la misura della devastazione e della incuria.
Sola, appena percepibile alla penombra, la possente figura del Santo di Myra, le cui spoglie, nel 1087 furono condotte a Bari, a suggello che della città ne diventasse Santo protettore.

La storia racconta di come i baresi in competizione con Venezia, volessero appropriarsi delle reliquie del Santo che ancora in Turchia erano divenute il centro di uno scontro politico e militare con il potere arabo.
Dell’esigenza di sanare questa appariscente competizione, delle due città, politicamente ed economicamente emergenti rispettivamente nell’alto e nel basso Adriatico, si fecero fattivamente interpreti proprio quei ceti imprenditoriali, marinari e mercantili, che di questa emergenza economica erano del resto i principali promotori. È significativo che in entrambi i casi lo strumento più idoneo sia stato identificato nel possesso di un corpo santo.
Tanto è sufficiente per stabilire che la probabilità che il culto del Santo fosse presente nelle aree della Puglia brindisina, molto prima dell’anno mille e che proprio la cripta sanvitese ne sia testimonianza efficace e diretta.
Molto sopra gli interessi di parte che videro Baresi contrapporsi ai veneziani, San Nicola è arcinoto per aver donato al mondo il miracolo più esaltante, quello che ci fa toccare con mano, il valore più umano che ci sia: il dono.
A lui è accreditato il gesto gentile e clandestino di aver donato a tre ragazze, lasciando loro di nascosto altrettanti sacchetti contenenti il necessario per la dote matrimoniale, visto che il loro padre, caduto in disgrazia non poteva sostenerle.
Il messaggio del dono inatteso è oggi tradotto, in tutto il mondo dalla figura di Babbo Natale o Sancta Klaus che dir si voglia e si contempla in un tempo, quello natalizio, che si alimenta di tante ed interessanti convergenze di cui la festività del Santo è il principio ispiratore, proprio per quei tre sacchetti che richiamano il numero sacro per i cristiani. Tre sono le Persone divine della trinità, tre le virtù teologali, tre i giorni del solstizio d’inverno, tempo che sospende il declinare del giorno per, ricominciare il ciclo del soleggiamento sempre più evidente, e che i pagani avevano declinato con la festività della divinità di “Sol Invictus”.
Dalle vertigini che riecheggiano tra le accennate e malconce fattezze del Santo Nicola nella cripta, passare alla realtà che si mostra al visitatore è un tonfo, un vero colpo al cuore.

Occorre fermarsi e guardare con attenzione, magari muniti di torcia, per notare che sull’unico pilastro in tufo che presiede la cavità si notano tra le macerie, i resti di due affreschi, uno forse riguardante un Cristo e l’altro il volto di una donna che definirla come una madonna è un rischio che non voglio correre.
Lo confesso, spesso davanti ad opere della natura o dell’arte, mi faccio prendere da una emozione intensa, qui a San Nicola, la sensazione fortissima è di offesa per non poter sentire piena questa emozione che il luogo merita.
È rabbia e me ne scuso, è tradimento quello che si para dinanzi agli occhi.
La cripta è una realtà nota e censita, in territorio del Comune di San Vito dei Normanni, dal cui sito leggo: “Situata a metà della strada che da San Vito dei Normanni conduce alla borgata Serranova, in contrada San Nicola-Malpasso, la cripta e le quattro grotte ad essa collegate si trovano in una piccola vallata.

Essa è in parte scavata nella roccia, mentre la parte che affaccia sul valloncello è costruita in tufo.
All’interno si può ammirare l’immagine di San Nicola e, sulle pareti della zona costruita in tufo, si notano tracce di affreschi. Probabilmente la cripta di San Nicola fungeva da luogo di culto per la comunità che abitava la zona circostante”.
La cavità è censita anche dal Catasto Regionale delle Grotte e delle Cavità artificiali al n. PUCA0759, al cui sito è possibile trovare la scheda redatta ed archiviata, in ottemperanza di un progetto Nell’ambito del POR Puglia 2000/2006, l’Ufficio Parchi e Riserve dell’Assessorato Regionale all’Ecologia, in partenariato con la Federazione Speleologica Pugliese coinvolgendo il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Bari, il Dipartimento di Geologia e Geofisica dell’Università degli Studi di Bari e il Dipartimento di Zoologia dell’Università di Bari, ha approntato una scheda catastale, corredata di linee guida per la compilazione conforme e con più informazioni rispetto a quelle relative alle direttive nazionali della SSI.
Ogni singola informazione della scheda catastale fu inserita in un database strutturato in modo tale da rendere particolarmente fruibili dati di carattere topografico, geologico, morfologico, idrologico e biologico. Si riuscì a recuperare anche vecchi dati catastali relativi a 300 grotte oggetto di progetti catasto pilota e quindi portare a 654 il numero complessivo di schede catastali fruibili all’interno del portale ambientale della Regione Puglia su un totale di oltre 2100 grotte pugliesi presenti nel catasto.
L’approfondimento che lascio alla cura del lettore, per specificare quanto grande sia il numero dei coinvolti nella “cura” e nell’attenzione del patrimonio culturale rappresentato dalle grotte ed il loro contenuto.
Stabilire quanto sia alto il grado di rabbie e stabilire come e a chi vada rivolto è esercizio che accomuna chi scrive a chi legge.
Siamo in piena emergenza pandemica e dobbiamo curare la nostra salute fisica e quella degli altri, principalmente col distanziamento sociale e l’uso di mascherine.

Non abbiamo il diritto di prendere le distanze dalla cultura, dall’arte e dalle testimonianze ed evidenze storiche che ci hanno accompagnato per migliaia di anni.
San Nicola, a Serranova, non aspetta altro che essere ricordato, curato, posto in terapia intensiva fatta d’attenzione ed accortezza amministrativa, scientifica e umana.
Pare impossibile chiedere che gli amministratori e che gli uomini che si fregiano di occupare uffici di governo o presidenze di rinomate associazioni, si apprestino a compiere il miracolo, di donare il loro impegno, per il recupero e la cura di quella cavità, dove attende, non riposa, il Santo passato alla storia come colui che ci ha mostrato il miracolo umanissimo del dono. A fare questo miracolo di umanità non sovrannaturale, sia chi è responsabile del territorio, faccia il regalo per un natale nuovo, per una corretta e sana umanità.