Il giorno di santa Lucia, vale a dire il 13 dicembre, dalle nostre parti assume molti significati non solo devozionali –trattandosi di una delle sante più amate dalla popolazione – ma anche tradizionali e non solo, dato che prima della riforma del calendario gregoriano la sua festa coincideva con il solstizio di inverno, il quale è stato, poi, spostato di circa una settimana al 21 dicembre: da qui anche l’antico detto salentino: “ti santa Lucia llunghesci lu tia”, cioè dal giorno di santa Lucia cominciano ad allungarsi le giornate, a significare che, trattandosi, in pratica, del giorno più corto dell’anno, era poi merito della santa che da quel momento in poi il sole cominciava a tramontare più tardi, concedendo alla terra sempre maggiore luce ed in una antica civiltà contadina che viveva l’inverno con la paura di non riuscire ad avere sufficienti provviste e risorse per arrivare alla primavera, il lento allungarsi della giornate era vissuto con speranza e fiducia in una annata migliore, sicchè la vergine e martire di Siracusa è divenuta per tutti, come suggerisce il suo stesso nome, la portatrice di luce e, conseguentemente, anche la protettrice della vista (fu martirizzata sotto Diocleziano e le furono cavati gli occhi).
Fra le tante tradizioni legate al giorno della festa di santa Lucia c’è lo stretto legame con il vicino Natale sicchè, tradizionalmente, il 13 dicembre non solo si da (… anzi dava, tenuto conto della emergenza covid-19 ancora in essere) ai vari e coloratissimi mercatini di fine anno, ma dalle nostre cantine, dai nostri sgabuzzini e dalle nostre soffitte, si tirano fuori i pupi, le casette e gli accessori più improbabili per costruire ed arredare i nostri presepi ed anche, da qualche decennio a questa parte, per addobbare gli alberi di Natale che, in quanto illuminati, vogliono pur sempre essere rappresentazioni della luce della cometa, tant’è che in molti paesi occidentali, ormai “scristianizzati”, il natale, con la n minuscola, continua ad essere festeggiato più con la valenza laica e consumistica di festa della luce che per devozione per la nascita del Divin Bambino.
La circostanza fortunata che quest’anno il giorno di santa Lucia abbia coinciso con una domenica, unitamente al fatto che la temperatura non fosse particolarmente rigida ed il mare, dopo le onde impetuose dei giorni precedenti, si fosse calmato, ha fatto si che oltre che al presepe in casa, potessimo anche provvedere a sistemare la Natività nella ormai consueta grotticella sottomarina poco a nord della conca di Materdomini, sul litorale nord di Brindisi.
Il fatto che in questo 2020 anche il giorno della Candelora cioè il 2 febbraio ( cioè la vera e propria festa della luce e della purificazione per i cristiani da quasi duemila anni a questa parte), abbia coinciso con una domenica e che, tradizionalmente, il presepe veniva tolto dalle case proprio in occasione di quest’altra solennità, aveva già fatto si che ci immergessimo per recuperare la statuetta della Sacra Famiglia proprio nel giorno deputato alla chiusura del periodo natalizio.
Anche in quella occasione avendo il maestrale concesso un breve tregua, nonostante la temperatura rigida sia in superficie che nell’acqua, fu possibile recuperare il presepe e fummo quasi sorpresi di ritrovarlo nel posto dove lo avevamo lasciato oltre un mese prima, in quanto negli anni precedenti o qualche mareggiata o qualche buontempone, per usare un eufemismo, lo avevano sempre fatto sparire
Col gruppo di amici sub buono per le quattro le stagioni, cioè che non limita le scorribande sottomarine ai soli mesi più caldi dell’anno, ma che gode appieno per 12 mesi l’anno delle bellezze inestimabili del nostro mare, ci diamo appuntamento all’imbocco del canalone affianco la conca, un posto dove è semplice non solo calarsi in acqua con tutte le attrezzature ed imbracature necessarie, ma anche comodo da raggiungere in auto, con il mare sempre calmo qualsiasi vento soffi e con un fondale che degrada subito, dopo poche pinneggiate, attorno agli 8-10 metri di profondità.
A farci da “madrina” è niente meno che l’assessore ed avvocato Mauro Masiello, già assiduo subacqueo, ma che gli impegni ed i doveri pubblici tengono sempre più lontano dal suo elemento naturale, cioè il mare ed infatti, una volta impartitaci la sua benedizione e scattato un paio di selfie poco istituzionali, corre già via verso nuove avventure.
La temperatura superficiale del mare è di 16°, leggermente più calda rispetto allo stesso periodo degli anni scorsi, anche perché ancora non si è registrato un sensibile abbassamento della temperatura esterna, il che ci fa optare, senza bisogno neanche di dircelo, a compere un bel giro sottomarino, senza limitarci soltanto a deporre il presepe nella grotticella scelta per ospitarlo per le prossime settimane, per cui scortata la Natività fin detto la grotta, ancoratale per bene e fissatala alla roccia con un bel po’ di filo di ferro, proseguiamo l’immersione tenendo sulla nostra sinistra il bel costone roccioso ricco di spugne e coralligeno.
A beneficio di tutti coloro che non frequentano i fondali marini o che, comunque, non li frequentano in quella che ingenerosamente viene definita la brutta stagione _ in realtà ogni stagione presenta i suoi lati belli e quelli meno belli – mi piace chiarire che il mare di inverno, specialmente quello della penisola salentina sia dal lato jonico che da quello adriatico ha un fascino tutto particolare e non può che conquistare per la sua bellezza e multiforme varietà coloro che hanno la fortuna, l’opportunità e, direi, anche il privilegio di poterlo contemplare.
Per quanto riguarda, più in particolare le calette di Materdomini, da qualche anno a questa parte si nota, pressocchè in ogni immersione, la presenza di simpatici pesci pappagallo (Sparisoma cretense) che dalle coste del nord Africa si sono ormai spostati in tutto il Mediterraneo, ma che mai erano stati tanto numerosi come quest’anno; un po’ come successe un paio di decenni addietro con l’arrivo delle vivacissime e coloratissime donzelle pavonine, che si aggiunsero, senza mettersi in concorrenza, con i loro aprenti più prossimi, i decisamente più nostrani cazzi di re, detti anche essi donzelle o, con terminologia scientifica Coris Julis. Anche se è diventato sempre più raro negli ultimi anni, di tanto in tanto si riesce ancora ad incontrare il cavalluccio marino o ippocampo che dir si voglia.
L’aspetto più interessante nelle nostre immersioni invernali fatte sottocosta, è sempre quello della bellezza e della incredibile varietà della fauna marina presente: la parte meno profonda è colonizzata da tantissime spugne gialle (Aplysina aerophoba) dalle strane forme quasi aliene e, man mano che si scende si incontrano tanti nudibranchi, strani lumaconi senza guscio, della lunghezza che può variare, a seconda delle specie, da pochi millimetri fino anche ad una dozzina di centimetri, con i loro curiosi ciuffi branchiali ben in mostra e dalle diverse tonalità cromatiche, dal giallo, all’azzurro, dal marrone al blu intenso, ma, specie nella stagione più fredda, non mancano incontri con specie più rare e dai colori vivacissimi.
Man mano che si procede fra le immancabili nuvole di pesciolini che ti seguono e si aprono al nostro passare, per poi richiudersi – castagnole, tordi e saraghi, soprattutto – ci passano sopra la testa, saettando vari gruppetti di cefali, divisi a seconda delle dimensioni, oltre che di salpe che, infastidite dal nostro passaggio smettono di brucare sulla superficie delle rocce e si allontanano di qualche metro per riprendere a fare ciò che stavano facendo.
Spiando negli anfratti più profondi è possibile intravedere qualche corvina o una musdea in tana, e, a guardar bene, con il necessario apporto di una torcia subacquea a stretto fascio luminoso, la testa di un grongo o i denti aguzzi e lo sguardo minaccioso di una murena.
La presenza di roccia ed anfratti permette oltre che la formazione del coralligeno, che ben si fissa sul substrato duro, anche il rifugio per migliaia di pesci ed altre creature marine e, conseguentemente, zona di caccia ideale per i pesci predatori, non solo per quelli da tana con abitudini territoriali e notturne, che sono stanziali, ma anche di quelli che vagano nel blu e che sanno di poter contare, all’occorrenza, su questa grossa riserva di caccia, anzi di pesca: oltre agli immancabili dentici, in alcuni periodi dell’anno, specialmente fra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, è possibile incrociare banchi di ricciole e di barracuda.
Anche se si tratta di un animale molto comune nei nostri mari e che molti considerano solamente una prelibata pietanza, l’incontro emotivamente più coinvolgente per un subacqueo di lungo corso rimane sempre quello con i polpi fuori tana. Specialmente quando si tratta di esemplari molto grandi, chiamati comunemente piovre, e che, per dirla tutta avendo già procreato non hanno altre ragioni di vita (il polpo nostrano, infatti, vive solamente un anno e mezzo, si riproduce una sola volta nella vita, dopo di che la femmina passa la parte finale della sua esistenza a difesa delle uova nella tana, senza più nemmeno nutrirsi, mentre il maschio vaga senza meta, perdendo la naturale timidezza) per cui si riesce più facilmente ad interagire con loro, non semplicemente toccandoli o carezzandoli, ma, anzi, lasciando che siano loro a toccarti per primo e ad esplorarti.
Difficilmente, se l’approccio è quello giusto, il vecchio cefalopode, la cui lunghezza complessiva può superare anche i due metri, farà come i polpi più giovani e guardinghi, per cui non partirà via a razzo, spruzzando in faccia a chi lo infastidisce una nuvoletta di inchiostro nero ed irritante!
Tornando indietro, ripercorriamo lo stesso itinerario, tenendo questa volta il costone roccioso sulla nostra destra e ripassati davanti alla grotticella, essendosi nel frattempo abbassata la coltre di limo e sabbia che avevamo alzato durante il fissaggio della statuetta, possiamo contemplarla in tutta la sua suggestiva bellezza e recitare anche, in cuor nostro, una preghiera.
Ancora pochi minuti di pinneggiata e la presenza di una dozzina di giovani pesci pappagallo, esattamente nello stesso punto in cui li avevo notato all’andata mi fa comprendere come siano ormai divenuti stanziali questi simpatici pescetti anche da noi. Prima di uscire dall’acqua mi fermo sul fondo per poterli osservare meglio e noto come la loro bocca presenta una vistosa dentatura a forma di becco, per cui è per questo, più che per la colorazione, che vengono chiamati come all’assai più famoso pennuto parlante. Il pesce pappagallo utilizza i suoi forti denti non per la masticazione o per difesa o attacco, bensì per andare alla ricerca di piccoli invertebrati tra le rocce, che schiaccia riducendole in polvere e trattenendo in bocca solamente le parti commestibili.
Usciti fuori dal mare e sistemata rapidamente l’attrezzatura in auto, ci tratteniamo ancora un po’ sulla spiaggetta confortati dal tenue calore del sole invernale che comunque scalda e ritempra le ossa e poi, dal momento che nessuno accoglie il mio invito di toglierci le mute in neoprene ed anticipare di qualche giorno il tradizionale tuffo di capodanno alla conca, non resta che fare ritorno a casa.