«La spensierata distruttività va sconfitta con l’umanità»

Il dottor Giuseppe Vinci, già dirigente psicologo psicoterapeuta della ASL di Taranto, è membro del Comitato di Coordinamento del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale di Roma, corresponsabile della Scuola Change di Bari di formazione per psicoterapeuti e coordinatore regionale di Altra Psicologia, associazione nazionale di categoria degli psicologi che si occupa di politica professionale.
E’ molto suggestiva l’espressione “spensierata distruttività” che lei usa quando vuole descrivere l’uso aggressivo della comunicazione nei media e nei social. Cosa intende esattamente?
«La capacità di attaccare e distruggere fa parte del nostro bisogno naturale di sopravvivenza, e anche di protezione delle persone che dipendono da noi come i figli, e scatta – deve scattare! – quando una minaccia grave incombe. E’ dunque un fatto naturale che ha la sua necessità e la sua utilità. Il problema di oggi, di una gravità secondo me immensa, è che siamo costantemente sollecitati ad attaccare e distruggere in assenza di una minaccia reale. Siamo agitati dalla paura, che non è mai una buona consigliera, che ci fa diventare schematici e grossolani nei ragionamenti».
Intende dire che siamo sollecitati dall’esterno ad essere impauriti e confusi?
«Sì. In ogni campo e sempre di più stiamo imparando a funzionare così: di fronte ad ogni problema reale si prospettano soluzioni drastiche e spesso violente che non solo non risolvono il problema ma lo rendono ancora più incomprensibile, complicato e irrisolvibile».
Può farmi un esempio?
«Provi a pensare a quanto sta accadendo in questi giorni con il caso Bibbiano, in cui operatori, amministratori e psicologi sono stati accusati di cose ignobili compiute verso bambini e famiglie. E’ interesse di tutti che le indagini giudiziarie stabiliscano cosa è successo davvero e punire severamente eventuali colpevoli. Ma è pura follia attaccare e tentare di distruggere tutte le strutture (già oggi troppo poche e mal sostenute) che si occupano di minori o l’intero sistema che governa adozioni e affidi. Il clamore mediatico, gli spensierati interventi distruttivi sui social hanno creato immediatamente un immaginario collettivo in cui gli assistenti sociali sono orchi, gli psicologi manipolano le coscienze, i giudici non sanno discernere, le strutture esistono per violare le infanzie e non per tutelarle e ricostruirle dopo il trauma. Informazioni deviate che servono a distruggere e non a costruire soluzioni per migliorare il sistema lì dove c’è il rischio che fallisca».
Descrive come spensierata questa distruttività perché chi la esercita non si assume responsabilità?
«Certo, nel distruggere non c’è consapevolezza della conseguenza delle proprie azioni, di ciò che si afferma e i social non favoriscono l’imputabilità. Alla distruzione non segue la costruzione. Si usa il coltellaccio da cacciatore per fare interventi chirurgici, senza pensare al malato, e qui torna la spensieratezza. Come quando i bambini si divertono a torturare le lucertoline».
Forse tutto questo è dettato dal sentimento della paura?
«Viviamo l’epoca più sicura da quando esiste l’uomo. Ogni anno che passa diminuiscono gli omicidi, le rapine, i furti, si allunga sempre di più la prospettiva di vita e l’Italia è tra i luoghi al mondo dove si vive di più e meglio, eppure il sentimento comune è l’insicurezza e la paura».
Perché?
«Perché insicurezza e paura sono costantemente sollecitate da chi ha interesse a proporsi come garante della sicurezza, come condottiero che senza paura ha il coraggio di affrontare le tigri, quelle di carta che ha costruito egli stesso. Si crea tutto questo proponendo, con ogni azione e frase, il rifiuto del discernimento, la capacità di distinguere, di comprendere la realtà dei bisogni dei bambini e delle famiglie, innanzitutto, di riflettere prima di agire. Si fa di tutta l’erba un fascio, si butta il bambino con l’acqua sporca. Vengono denigrati i sentimenti più umani come la tenerezza, la solidarietà, l’empatia, la compassione, descritti come debolezze buoniste, mentre si agitano i bastoni dell’intolleranza. Così, allegramente verso il baratro della disumanizzazione, come se niente fosse».
Cosa fare?
«Ci occorre la capacità di resistere a questa spensierata distruttività riconoscendola, denunciandola, rivendicando la bellezza della costruttività, recuperando la capacità di affrontare i problemi con intelligenza, dialogo, riflessione, azioni efficaci, e accettare la complessità del reale. Su questo gli psicologi come lei, cara dottoressa Greco, stanno già facendo molto perché la gente possa riconoscere la distruttività e la disumanità di tanti messaggi da cui siamo assediati».
Mi viene in mente, a proposito di disumanità, come ci siamo abituati all’idea dei migranti morti in mare.
«L’immigrazione disordinata è un problema reale, ma il salvataggio delle vite in mare è un’altra storia. Vi propongo un piccolo test psicologico, attraverso una domanda da fare a noi stessi: riesco ancora a pensare “mi dispiace, non deve accadere, bisogna subito soccorrerli, mentre si cercano soluzioni al problema” ? Se la risposta è si, siamo ancora salvi dalla disumanità, che ci fa perdere sostanza e ci inaridisce facendoci diventare terra secca, che non serve più a niente e a nessuno, neanche a noi stessi».
Grazie, dottor Vinci, per la sua lucida analisi e auguriamoci una umanità che gestisca la paura ritrovando il coraggio e la speranza.