La street art avrebbe potuto valorizzare quei silos

di Giovanni Membola per il7 Magazine

La Street Art è una interessante rappresentazione artistica in strada che continua ad acquisire grandi consensi e popolarità per i suoi valori culturali e sociali. Una straordinaria esplosione di colori che permette quasi sempre di trasformare in spazi pieni di vita grandi pareti opache di quartieri periferici.

Questo movimento d’arte contemporanea è nato tra gli anni Cinquanta e Sessanta nei Bronx di New York e a Philadelphia come movimento di protesta e denuncia politica e sociale, per poi diffondersi rapidamente in ogni parte del mondo. I muri, ma anche gallerie e vagoni di treni abbandonati, divennero veri e propri fogli sui quali esprimere con un “graffito” i propri pensieri e le emozioni, denunciando spesso le ingiustizie patite dalle comunità emarginate. Negli anni i writers hanno subito l’influenza di altre correnti artistiche, affianco alle bombolette spray e all’aerografo si svilupparono tecniche alternative e l’utilizzo di vernici. Oggi non è più considerata come un’espressione di vandalismo giovanile, sono numerose le città in Italia e nel mondo che investono su questa forma d’arte, commissionando ai writers lavori artistici e decorazioni di ampi muri, come intere facciate di palazzi dove l’intervento pittorico – il cosiddetto “murales” – diventa un’opera ancora più spettacolare. In questo modo sono stati degnamente valorizzati tanti spazi dimenticati, una vera e propria metamorfosi formale che ha trasformato aree urbane e periferiche in veri e propri musei a cielo aperto.

Ci sono inoltre diversi esempi dove l’affidarsi alla street art è stato utile anche per il rinnovamento di aree industriali, dismesse o funzionanti. A Catania, per esempio, è stato attuato un interessantissimo progetto che ha visto impegnati otto artisti internazionali chiamati a reinterpretare, attraverso le forme espressive della contemporaneità, i miti e le leggende siciliane su un grande e particolare supporto: i silos che si elevano all’interno del porto etneo. È stata senza dubbio una operazione molto ben organizzata e che ha cambiato, in meglio, lo skyline dello scalo marittimo. Inoltre, sul lato mare è stato dipinto un suggestivo sguardo di un uomo rivolto verso Oriente, è attualmente il murales il più grande del mondo. L’importante operazione culturale di rigenerazione visiva, detta appunto “Street Art Silos”, poteva essere messa in pratica anche nella nostra città, proprio su quei sette silos conosciuti come le industrie Indesil, situati nella zona ex Punto Franco e che svettano imponenti nel Seno di Levante del porto interno. L’idea circolava da tempo, soprattutto da quando sui principali social vengono pubblicate bellissime immagini di tantissimi silos dipinti e colorati, in maniera divertente e variegata, in ogni parte del mondo. Il primo a volerla proporre nella nostra città è stato Paolo Taurino, attuale presidente di Confimprese Italia di Brindisi, insieme all’assessora comunale al Marketing territoriale Emma Taveri, un programma di massima portato avanti in collaborazione con l’ideatore del progetto di arte di strada BrundArt e a Pugliapromozione. Dopo aver escluso l’area della diga di Punta Riso (c’erano alcuni vincoli che non ne hanno permesso l’attuazione) venne individuata come tela su cui raffigurare i murales proprio quei grandi cilindroni di stoccaggio che si affacciano nel porto interno. L’interessante progetto denominato “NaftArt” fu persino annunciato durante una conferenza stampa dal Presidente della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale Ugo Patroni Griffi, che aveva allargato l’iniziativa alle sedici torri granarie del porto di Bari. Con l’occasione venne contattato il famoso artista e fotografo australiano Guido Van Helten, divenuto celebre per aver realizzato numerosi murales fotorealistici proprio su maestosi silos in più luoghi del mondo, dove ha riprodotto elementi identificativi di ogni realtà territoriale, raccontando, attraverso queste opere, storie di persone, di culture e tradizioni.


Ma se per il capoluogo di regione il progetto è andato avanti, con tanto di contratto firmato, per Brindisi non c’è stato nulla da fare: a negare la possibilità di rivitalizzare esteriormente l’imponente costruzione realizzata negli anni Settanta, trasformandola in un vero e proprio monumento del XXI secolo, sono stati gli attuali proprietari che non avrebbero dato la loro disponibilità. La struttura appartiene ad una società produttrice di mangimi, la Mignini & Petrini, sul sito aziendale si legge che lo stabilimento “ha in sé due anime, una dedicata all’impresa portuale e l’altra alla produzione di alimenti zootecnici. L’impresa portuale, con uno stoccaggio di 500.000 quintali, rispecchia la filosofia Mignini & Petrini, nella sua gestione e soddisfazione del cliente. L’attività mangimistica è particolarmente dedicata alla produzione di mangimi sfusi destinati agli allevamenti zootecnici del Sud Italia. La produzione annuale è pari a 300.000 quintali”.
Un vero peccato, questa volta non è bastata una legittima volontà politica per reinterpretare un bene del patrimonio industriale, ciò avrebbe modificando radicalmente la percezione grigia del luogo e determinato una maggiore forza d’impatto anche sul turismo, infatti, come ha dichiarato il presidente Patroni Griffi, “la gente si muove per vedere le opere dell’artista australiano durante tutto il corso dell’anno”, e non solo: quella mastodontica saracinesca innalzata da circa mezzo secolo come a chiudere l’orizzonte a tutti gli abitanti di via Lata e della zona dell’Annunziata, sarebbe meno impattante con un’azione pittorica site specific, che darebbe una nuova immagine al porto, riqualificandone l’aspetto d’insieme.

Analoghi silos di stoccaggio di grani e cereali che si affacciavano nel porto di Barletta, inattivi già dai primi mesi del 2018, un paio di anni fa sono stati demoliti liberando un’area di duemila metri quadrati. I lavori si completarono nel giro di pochi giorni, lasciando intravede il mare sino ad allora occultato dal grigio cemento.
Tornando alla street art, ricordiamo che nel 2020 al rione Paradiso era stata avviato un interessante progetto che ha visto la realizzazione di due grandi opere su intere facciate di edifici popolari dell’Arca Nord dal bravo artista brindisino di fama internazionale Andrea Sergio, in arte Mr. Wany, e dal triestino Mattia Campo Dall’Orto, anche se in origine dovevano essere circa venti le palazzine da raffigurare con grandiose rappresentazioni d’arte metropolitana. Altri importanti murales sono presenti a Mesagne, dove Francesco Camillo Giorgino, in arte Millo, lo street artist nativo della cittadina messapica molto apprezzato in Italia e all’estero per i suoi molteplici lavori su larga scala compiuti con semplici linee in bianco e nero e colori occasionali, ha realizzato sui prospetti di cinque palazzine di via Galilei, proprio di fronte al parco in precedenza occupato dal Campo Sportivo. Il progetto di rigenerazione urbana è stato un tributo alla saggezza popolare con la rappresentazione di alcuni proverbi tipici salentini.

Emma Taveri però non demorde: appassionata di street art, conferma che c’è sempre grande attenzione da parte dell’amministrazione comunale nell’individuare risorse economiche utili ad attivare un valido programma che richiami artisti importanti, salvaguardando il decoro urbano e i dovuti vincoli imposti dalla Soprintendenza. E magari l’idea di dipingere i silos brindisini è solo rimandata.