La Visciglia ti la ‘Mmaculata

Nel racconto delle tradizioni relative alle feste e ai santi quella dell’Immacolata dà l’avvio al periodo festivo invernale e i brindisini cominciavano proprio in tale giorno l’allestimento del presepe. La religiosità popolare si è sempre espressa al massimo nel culto mariano, per cui il popolo cattolico si preparava spiritualmente alla festa della Madre di Gesù, partecipando alla novena che si teneva nella parrocchia di appartenenza e alla messa che fino agli Anni ’60 era celebrata in onore dell’Immacolata nella Chiesa di S. Paolo eremita, alle ore quattro. Ancora oggi vi si può ammirare una bellissima statua della Madonna che si racconta abbia salvato la città di Brindisi da danni peggiori provenienti dal forte terremoto avvenuto in città il 20 febbraio 1743. Si racconta che la Madonna, contrariamente a come si trovava in precedenza, fu trovata il mattino seguente con le mani aperte e gli occhi rivolti al cielo, come per chiedere misericordia al Signore. Da allora per il popolo divenne la “Madonna del terremoto” e fu venerata per avere salvato Brindisi e i brindisini.
La messa era frequentata per lo più da giovani ragazze che erano solite recarsi in chiesa in gruppo. Era cosa rara che si uscisse a quell’ora da casa, ma i genitori, per devozione, permettevano alle figlie di andare “a San Paulu”. Le giovani, però, con la scusa di andare ad ascoltare la messa, avevano trovato il modo di incontrare i corteggiatori, tant’è che la funzione fu soprannominata dal popolo messa degli innamorati.

7 dicembre
Vigilia della festa dell’Immacolata

Il giorno della vigilia della festa dell’Immacolata i brindisini praticavano un digiuno particolare: la mattina digiunavano, ma a mezzogiorno si preparava la pùccia ti la Mmaculata. Le madri si alzavano di buon mattino per preparare la pasta per le péttole che doveva essere pronta prima che si recassero in chiesa per partecipare alla prima messa. Al ritorno avrebbero dovuto friggere le pettole, che alcuni mangiavano a pranzo, ma i più la sera, insieme a minestre di magro: verdura e pesce.
Sera: la cena era più elaborata: gnocchetti (risoni di pasta fresca) col sugo di baccalà, pettole, rape lesse col limone, baccalà al sugo o baccalà lesso condito col limone, rape stufate. I ricchi al posto del baccalà cucinavano il capitone, col sugo o arrostito. Alla fine della cena, soprattutto nel rione Sciabbiche, si mangiavano i frutti di mare: canestrelli o altro.

Comu si fannu li péttuli
Pettole (termine italianizzato in uso)

Ingredienti: 1 kg. di farina 0, un panetto di lievito di birra, 400 gr. di acqua tiepida, due – tre cucchiaini di sale fino, un cucchiaino di zucchero, olio extravergine di oliva (oggi si usa l’olio di semi di girasole o altro olio vegetale). Miele o zucchero facoltativi per condimento.
Possibile variante con acciughe o pezzetti di baccalà o olive ….
Preparazione: impastate la farina con l’acqua in cui è stato sciolto il lievito e amalgamate bene. Aggiungete quindi un po’ d’acqua in cui si sia sciolto il sale e impastate ancora. Aggiungete lo zucchero, sempre sciolto in un po’ d’acqua. Se la pasta è dura, aggiungete ancora un po’ d’acqua, in modo che sia molto morbida al tatto. Lasciate quindi riposare in una coppa alta, coperta da un canovaccio pulito e da un cuscino. E’ necessario che il recipiente abbia i bordi alti, perché la pasta tende a gonfiarsi a mano a mano che lievita. Dopo un’ora, con le mani bagnate con l’acqua tiepida, lavorate la pasta per qualche minuto, aggiungete due/tre cucchiai di olio extra vergine d’oliva, quindi ricopritela e lasciatela riposare per 30 minuti ancora. Ripetete questa manovra un’altra volta dopo mezz’ora e lavorate la pasta energicamente.
Mettete sul fuoco un tegame con l’olio per la frittura. Quindi preparate una coppa con acqua calda in cui si sia versato un cucchiaino d’olio d’oliva. Nell’acqua e olio bagnate le mani o il cucchiaio, in modo da agevolare lo scivolamento della pasta. Ora con una mano prendete un pugno di pasta e, stringendola, fate in modo che ne esca una pallottolina dallo spazio formatosi tra pollice e indice stretti ad O; con l’altra mano – o aiutandovi con un cucchiaino – prendete la pasta che fuoriesce e gettatela nell’olio bollente.
Tenete sempre a portata di mano un paraschizzi, perché talvolta le pettole scoppiettano per bolle d’aria formatesi all’interno delle stesse, a causa di una lavorazione non corretta della pasta. [Segreto: per abitudine metto a friggere nell’olio 3 stuzzicadenti di legno, per evitare schizzi d’olio bollente … ma tenete a portata di mano il paraschizzi]. Con un mestolo giratele e voltatele spesso e, quando saranno dorate, scolatele dall’olio. Mangiatele calde, da sole o inzuppate in un po’ di miele o di zucchero.
Se non si consumano tutte, il giorno seguente saranno ancora più saporite, caramellate.
Preparazione: tagliatele a metà e scaldatele in un tegamino in cui si siano versati due cucchiai di miele. Quando il miele si sarà amalgamato bene alle pettole, toglietele dal fuoco e mangiatele calde, facendo attenzione a non ustionarsi la lingua.