di Giovanni Membola per il7 Magazine
L’esigenza di preservare per i mesi invernali i prodotti della terra così da poterli consumare fuori stagione, mantenendo inalterate per lunghi periodi le caratteristiche organolettiche, è stata compresa sin dalle epoche più remote. Nei secoli si sono evolute una serie di pratiche utili a conservare alimenti e ortaggi il più a lungo possibile, procedimenti naturali e genuini tramandati per generazioni e generazioni che non necessitano di alcun apporto tecnologico: oltre all’essiccazione, l’affumicatura, la salatura e la bollitura, alcuni prodotti dell’orto possono essere mantenuti anche per intere stagioni rispettando solo alcuni semplici accorgimenti, un esempio su tutti è il pomodoro da serbo, più comunemente noto come di “pennula”, uno dei metodi dell’arte culinaria pugliese (e di altre realtà meridionali) di conservazione del tipico prodotto agricolo tenendolo appeso in un luogo asciutto e areato per poterlo consumare come fresco durante tutto l’inverno.
Una modalità che per certi versi può sembrare estremamente semplice, ma in realtà richiede alcune particolari accortezze, essenziali al fine di ottenere un risultato duraturo e di qualità. Scopriamo quali sono con l’aiuto di alcuni contadini e massaie, forse gli ultimi eredi dell’antico sapere contadino.
Tutto inizia dalla scelta della varietà da mettere a semenzaio (in gergo chiamata “rodda”). Oggi si è quasi costretti a utilizzare piantine di cultivar ibride che non possono essere riprodotte in proprio come nel passato, quando il contadino selezionava alcune bacche delle varietà autoctone, ormai quasi del tutto estinte, dal quale estraevano i semi rispettando rigorosamente tempi e modalità ben precise: si lasciavano a riposo per alcuni giorni insieme alla parte gelatinosa della polpa, quest’ultima fermentando sanificava in maniera naturale i semini, quindi si eseguivano una serie di lavaggi per la separazione delle parti e l’essiccazione al sole. In primavera i semi venivano fatti germogliare in piccoli contenitori tenuti al buio e a contatto per alcuni giorni con un panno umido, non appena fuoriuscivano i primi germogli era necessario interrarli, ad una profondità di qualche centimetro, all’interno di una particella di terreno già pronta e lavorata, che veniva generalmente protetta da un telo di plastica trasparente, così da mantenere il giusto grado di umidità e la temperatura costante. Dopo alcune settimane, dalla “rodda” si prelevavano le piantine più robuste ed alte poco più di dieci-quindici centimetri, e per fare in modo che le radici venissero estratte integre, si bagnava bene il terreno prima di sfilarle delicatamente. Stessa accortezza quando avveniva la messa a dimora nel terreno, già lavorato e pulito, l’operazione di solito si eseguiva sempre nei giorni della “Luna crescente”, infatti secondo le credenze contadine ciò assicura piante forti e vigorose e una produzione abbondante e di qualità. Tale operazione andava fatta possibilmente al mattino presto o nel tardo pomeriggio, così da evitare eccessivi stress termici. Da qualche tempo è molto più semplice acquistare, nei vivai di fiducia o nei mercati, le piantine già radicate in contenitori alveolari in polistirolo, il costo è decisamente più alto e il risultato non è sempre garantito.
Anche la scelta del terreno e l’irrigazione alla coltura sono determinanti per l’ottenimento di un prodotto idoneo alla lunga conservazione: un terreno sciolto e argilloso è da preferire a quello sabbioso meno adatto a trattenere l’umidità naturale, la solanacea, infatti, necessita di basso apporto idrico, a maggior ragione quando il frutto deve avere maggiore conservabilità, in questo caso l’irrigazione deve essere ancora più limitata. Solo così si riesce a produrre pomodori più resistenti agli agenti atmosferici grazie alla formazione di una buccia più coriacea e polpa compatta. È anche importante che la pianta cresca e si sviluppi ad una esposizione al sole diretto per almeno sei-otto ore al giorno, ciò permette un miglior risultato in quantità.
Le piccole bacche tondeggianti devono poi essere raccolte a grappoli prima della loro completa maturazione, solitamente dopo la metà di agosto, anche questa è una fase delicata che richiede un pizzico di accortezza e l’utilizzo di forbici o coltellini, è necessario inoltre asportare i frutti non integri, che deteriorandosi potrebbero rovinare tutto l’insieme. Nel giro di poche ore, tre o quattro al massimo, i grappoli di pomodori devono essere appesi sulla corona, se si ritarda alcune bacche possono iniziare a cadere: si procede mettendosi comodi e armandosi di tanta pazienza, si prepara il filo di ferro zincato chiuso ad anello (o anche una corda in cotone sottile e resistente), lo si aggancia su un’asta orizzontale, e si inizia ad infilare delicatamente i grappolini di pomodori nel filo, alternandoli nel senso della direzione in maniera che la corona sia bilanciata e armonica nella sua formazione. Per avere una “pennula” di pomodori perfetta e durevole nel tempo, gli esperti maestri di questa tradizione suggeriscono di non comprimere i grappoli sovrapposti, si assesteranno naturalmente nelle settimane successive. È possibile, inoltre, utilizzare dei piccoli distanziatori per non far toccare i palchi, è necessario altresì non superare mai i quattro-cinque chili di peso complessivo, per evitare la rottura o la deformazione della corona.
Una volta completata la preparazione della pennula, nota nel Salento anche come “la ’nzerta”, essa viene appesa sui muri o sulle travi in ambienti ben areati e asciutti, tipo cantine, sottotetti, porticati e cortili, l’importante è che i pomodori siano protetti dalla luce diretta (molto meglio se sono in penombra) e dalla pioggia; la scelta del luogo è determinante per non compromettere la qualità del prodotto e preservarne per diversi mesi i sapori, la freschezza e le qualità organolettiche. Oltre ad ottenere un effetto particolarmente scenografico, decisamente gradevole da vedere, questo metodo permette di consumare i pomodori fuori stagione, talvolta anche sino alla primavera inoltrata o l’estate successiva, per numerosi utilizzi e preparazioni culinarie quotidiane, soprattutto come condimento fresco di insalate, frise, focacce e soprattutto sulle fette di pane abbrustolito, insieme ad un filo di olio e spicchi di aglio strofinato. L’importante è che la bacca conservi una consistenza piuttosto spessa della scorza, utile a preservare la polpa – soda e compatta – dalle condizioni esterne, solo così vengono salvaguardate nel tempo le importanti caratteristiche nutrizionali (carotenoidi, vitamine A e C, sali minerali quali calcio, ferro e potassio) e i relativi effetti benefici.
Nel nostro territorio il “pomodoro d’inverno” è sinonimo anche di “Gialletto”, così conosciuto per la tipica colorazione dorata, ideale per preparare uno dei più gustosi e succulenti piatti della cucina povera tradizionale, il cosiddetto pomodoro “scattarisciato” o “skattato”, termine riferito allo scoppiettare nell’olio bollente del frutto mentre il calore rompe la sua buccia e ne fa fuoriuscire un sughetto profumato e saporito, da mangiare così com’è accompagnato da una fetta di pane casereccio o per condire la pasta.
Ormai sono rari i contadini che preparano le pennule e le curano con l’attenzione dovuta, è infatti necessario controllarle costantemente per eliminare le bacche essiccate e quelle marcescenti, solo così possono portare sulle tavole pomodori sani e dal sapore originale. È ormai divenuto un prodotto raro, di nicchia, sebbene ultimamente sia stato riscoperto ed apprezzato in ambito gastronomico. Oggi le coltivazioni in serra permettono di trovare pomodori di ogni tipo e in ogni periodo dell’anno, decisamente meno squisiti e profumati rispetto a quelli maturati al sole estivo.