Il lavoro nero ferma tutto: tra irregolarità e lavoro sleale

di Lucia Pezzuto per IL7 Magazine

Più della metà delle imprese che operano sul territorio, impiegano manodopera in nero o assumono in modo irregolare, la loro condotta danneggia irrimediabilmente anche il lavoro di quelle imprese oneste che negli ultimi anni si sono barcamenate tra la concorrenza sleale e la crisi di mercato. I dati su questo fenomeno sono quelli che emergono dai controlli delle forze dell’ordine che periodicamente visitano i cantieri e analizzano la posizione fiscale delle imprese. A fine gennaio scorso in soli due giorni sono stati operati 199 interventi dalla Guardia di Finanza nell’ambito dei quali sono stati individuati 162 lavoratori la cui manodopera non era stata dichiarata, 7 erano irregolari e 85 imprenditori sono stati denunciati. Dati sommari se si pensa che si tratti di lavoro sommerso, irregolarità che emerge solo in parte quando le indagini consentono di scoprirle.
“Non è facile reperire dati su chi opera in maniera illegale, in nero, perché si tratta di aziende che sfuggono a qualunque controllo- spiega Pierluigi Francioso, presidente dell’Ance Brindisi, Associazione nazionale costruttori edili- Noi abbiamo il polso della situazione attraverso la cassa edile che è un ente bilaterale dove siamo noi come rappresentanti dell’Ance per il 50% e le sigle sindacali per il restante 50%. La cassa edile è l’ente che riceve le denunce dei lavori e quindi ha una visione di quelle che sono le ore lavorate nel corso del mese e quindi anche nel corso degli anni. I dati che noi possiamo estrapolare da questi numeri è la riduzione delle ore lavorate. Negli ultimi dieci anni abbiamo una riduzione delle ore lavorate di quasi il 40%, a livello nazionale significa che la crisi che è durata nove anni, ora attraversiamo il decimo anno, e questo ha portato alla riduzione di circa 700mila posti di lavoro. Il settore edile è formato da tante piccole aziende, magari rischia di non fare notizia ma messe tutte insieme danno il segnale di quanto questo settore sia oramai al collasso”.
Alla luce di questi dati la prima osservazione che legittimamente vien da fare è che se da un lato diminuisce la forze lavoro proporzionalmente dovrebbe diminuire anche la produzione. Ma questo in realtà non è vero, almeno non è vero per tutte le aziende, soprattutto per quelle che operano attraverso espedienti poco “legali”.
“Se c’è meno occupazione in proporzione ci dovrebbe essere anche meno produzione. Questo dato la dovrebbe dire lunga su come operano le aziende, se si potessero incrociare i dati delle ore lavorate con i fatturati , li sicuramente si potrebbe andare a misurare la congruità- dice Francioso- Purtroppo questo sfugge a un controllo certo e diventa responsabilità della singola impresa”.
Negli ultimi anni molte aziende si sono trincerate dietro la scusa della crisi cercando di giustificare così appalti al massimo ribasso.
“Non si può portare a giustificazione una attività delinquenziale, perché di quello si tratta. Perché , nonostante la crisi , c’è invece chi continua a operare in un ambito di legalità certamente si trova a sopportare una concorrenza sleale da chi invece preferisce violare la legge- spiega ancora Francioso- Così accade che si arrivi ad avere dei concorrenti che riescono ad assumere i lavori con dei ribassi che per un’impresa regolare, e quindi paga i contributi, sarebbero impossibili da sopportare. Ecco perché sostengo che la responsabilità è comunque in capo all’impresa che non paga i contributi e si permette di operare sui cantieri in nero. Tuttavia la responsabilità non può non essere anche dell’appaltatore, di chi da il lavoro ad un prezzo che è palesemente troppo basso”.
Questo elemento già di per sé dovrebbe essere un campanello d’allarme per chi come le forze dell’ordine esegue i lavoro, dall’altro canto c’è anche un altro strumento utile a stabilire se un’azienda opera nella legalità o meno, ed è il Durc, il Documento unico di regolarità contributiva.
“Le casse edili rilasciano il Durc, il Documento unico di regolarità contributiva. A Brindisi si è visto che al di la delle aziende che regolarmente denunciano le loro posizioni ve ne sono altrettante che non risultano denunciate. E sono numerose. Ben vengano quindi i controlli delle forze dell’ordine, però andrebbe fatta un’attività di prevenzione- aggiunge il presidente dell’Ance- Il Durc dovrebbe essere chiesto dai grossi enti appaltanti, Comuni, enti pubblici, in tutte le fasi dell’appalto. Sarebbe un modo per controllare meglio le aziende che operano. Molto spesso è successo che abbiamo cercato di parlare con le amministrazioni pubbliche quando abbiamo visto che accettavano copia del Durc, mentre la legge recita che il Durc deve essere acquisito on line dall’ente appaltante, quindi non ha bisogno di ricevere il documento cartaceo. Anzi quel documento cartaceo presentato dall’impresa è un documento che non ha alcun valore legale. Tanto è vero, che spesso è accaduto che quei documenti erano palesemente falsificati. Allora il concetto è che le amministrazioni devono comprendere che questo documento deve servire a garantire che chi opera lo fa nell’ambito della legalità e che nel momento in cui l’azienda non ha questo documento in regola , questo documento non deve consentire all’amministrazione di pagare il SAL (Stato Avanzamento Lavori) o di aggiudicare l’appalto o di rilasciare un permesso a costruire. Perché anche li c’è il settore privato che rischia di bypassare tutto questo rispetto all’appalto pubblico ché è soggetto a controlli maggiori”.
Tra gli strumenti per il controllo dell’attività delle aziende c’è anche il CPT, Comitati Paritetici Territoriali, che entrano nei cantieri e controllano l’opera dell’azienda.
“Noi abbiamo a Brindisi situazioni di grandi imprese che stanno eseguendo grandi investimenti sul territorio, come tali dovrebbero consentire l’ingresso all’interno delle loro strutture dei controlli preposti (carabinieri, ispettorato del lavoro) , o per quanto riguarda noi abbiamo il CPT, che è un organo, che ha l’impegno di entrare nei cantieri per aiutare le imprese a controllare che la loro opera stia avvenendo secondo legalità- conclude Francioso- Mi riferisco non solo al pagamento dei contributi, che è la cosa più semplice, ma anche a tutta quella normativa che riguarda la sicurezza. Questo lavorare in nero oltre a rappresentare una concorrenza sleale, perché rendono impossibile alle imprese oneste accettare commesse a prezzi così bassi, mette in discussione anche tutto ciò che riguarda le norme sulla sicurezza. Mai come in questo momento gli interessi dell’Ance sono così vicini a quelli del sindacati perché entrambi vogliamo la tutela del lavoratore”.