Le anfore fabbricate a Brindisi ritrovate in Egitto

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

Nel sito archeologico di Akoris, città romana dell’Egitto situata sulla riva orientale del Nilo a sud del Cairo, tra tombe scavate nella roccia e costruzioni fatte con mattoni di fango, in mezzo a un’infinità di cocci sono stati ritrovati numerosi frammenti di anfore provenienti dalle antiche fornaci di Brindisi.
Gli archeologi hanno potuto accertare il luogo d’origine di questo materiale ceramico grazie alla presenza dei bolli e sigilli impressi sui manici di questi recipienti fatti d’argilla, veri e propri marchi di fabbrica stampati prima della cottura, dove venivano segnati i nomi dei proprietari delle fornaci. Grazie a questa particolarità, e lo studio attento della tipologia dei punzoni e della grafia, è stato possibile accertare il sito di produzione e quindi seguire i diversi luoghi di destinazione delle merci durante gli scambi commerciali che avvenivano in epoca romana. Le anfore prodotte a Brindisi infatti sono state ritrovate in diverse località del centro e nord Italia, in Spagna, tra il carico del relitto Escombreras 2 naufragato nei pressi dell’omonimo isolotto nei pressi di Cartagena, ed ancora nelle cantine del palazzo reale di Erode il Grande a Gerusalemme, ma anche in Portogallo, Francia, Siria, e in diversi porti del Mar Nero. Tutto ciò dimostra l’imponente produzione anforaria adoperata quasi esclusivamente per l’esportazione delle derrate alimentari, principalmente olio e vino, prodotte nelle aziende agricole locali.
Nel villaggio egiziano dove è avvenuto il ritrovamento, situato ai margini della terra coltivata su un altopiano calcareo attraversato a valle da numerosi wadi (letto di corsi d’acqua delle regioni desertiche), sono stati riscontrati diversi contenitori da trasporto di tipo oleario realizzati, in età repubblicana, nei diversi impianti produttivi ubicati nel territorio di Brindisi. Quello più antico probabilmente era situato ad Apani, nei pressi dell’omonimo canale e non lontano dalla costa e dall’importante asse viario della Minucia-Traiana, oggi corrispondente approssimativamente alla S.S. 379. Qui sono stati scoperti negli anni ’60 due fornaci circolari di dimensioni differenti. Sui manici delle anfore si leggono i nomi dei proprietari delle officine, ovvero gli Aninius, i Vehilius e Tarula, quest’ultimo servo del dittatore Silla. E proprio il nome del gentilizio Aninius, preceduto dal prenome Lucius impresso con un punzone nel cartiglio rettangolare, è stato riscontrato in diverse anse rinvenute ad Akoris, così come dello stesso sito di produzione i bolli marchiati dai nomi Rudius (gentilizio) e dei servili Hpaioc, Stratonicus e Protemus, probabilmente schiavi del proprietario. Provenienti invece dall’interessante sito di Giancola, ubicato poco più a sud sul versante orientale del canale all’epoca navigabile e dove fu ricavato un comodo approdo, le anfore con i bolli sulle anse riportanti i nomi di Apollonides, Archelia e Philippus, riferiti a manodopera servile impegnata negli impianti di proprietà di Visellium nel I secolo a.C. L’impianto produttivo artigianale era costituito da due grandi fornaci rettangolari ed una a forma circolare, con camere di combustione interrate sulle quali si reggevano i piani forati (attraverso cui avveniva la trasmissione del calore) dove venivano appoggiati i materiali da cuocere. La copertura sovrastante era costituita da una volta, facilmente rimovibile e di buona tenuta termica. A circa un km a sud fu rinvenuta anche una villa di età romana, che rappresentava il fulcro dell’intera azienda agricola, con abitazioni e un’area adibita alle lavorazioni, costituita da una cella vinaria e una vasca di lavorazione delle uve e di fermentazione del mosto, dove fu trovata la statua in marmo di Bacco, oggi esposta nel Museo di Francavilla Fontana.
Dello stesso proprietario anche gli impianti ubicati in località Marmorelle, nei pressi della SS 16 e sempre in prossimità del canale Giancola. Quattro fornaci rettangolari parallele e numerosi reperti ceramici furono rinvenuti durante la campagna di scavo curati dall’archeologa brindisina Paola Palazzo, che aveva seguito anche gli scavi di Giancola e ultimamente quelli alla Casa del Turista e sul lungomare del porto interno.
Nelle anfore prodotte a Giancola e Marmorelle compare impresso su numerosissime anse il nome di Viselli(um), spesso associato a quello di 26 suoi schiavi e dei successivi gestori dell’intero complesso produttivo, i liberti Lucio Saturnino e Petronio Sostrato. Secondo l’ipotesi del prof. Manacorda (Università di Siena) Visellio può essere individuato con il noto personaggio storico conosciuto meglio come Caio Visellio Varrone, l’oratore romano amico di Cesare e cugino di Cicerone.
Sempre nell’area archeologica del villaggio egiziano, dove spicca il tempio di Nerone dedicato ad Amon, sono state ritrovate anse con bolli su cui è inciso il nome latino Pastor, un riferimento che trova riscontro – secondo sempre l’opinione degli studiosi – con l’altro sito produttivo brindisino ubicato alla periferia sud della città, nei pressi del rione La Rosa. Anche questo luogo, come i precedenti, era sorto nei pressi di un corso d’acqua, oggi chiamato canale Fiume Piccolo, a pochi passi dalla via Calabra, l’importante strada di comunicazione e di collegamento tra Brindisi e Otranto, naturale prolungamento della Traiana.
Tutti questi impianti erano strategicamente ubicati in luoghi dove vi era disponibilità di argille ed erano particolarmente attivi in età romana già dal II sec. a.C.
Gli schiavi addetti alla produzione delle anfore sagomavano prima le anse, poi le bollavano e solo successivamente le attaccavano al contenitore già modellato, spesso infatti si trovano le ditate dei ceramisti lasciate durante la pressione esercitata per fissare i due manici al corpo dell’anfora. La cottura in forno durava diversi giorni, quindi si attendeva il raffreddamento naturale prima di smontare la copertura ed estrarre i recipienti pronti all’uso. È stato calcolato che un forno di 70 metri cubi poteva contenere anche mille anfore disposte su sette o otto livelli e che per la cottura venivano impiegati circa 50 tonnellate di legna.“Sulla base dei dati di cui disponiamo – scrive nella sua interessante pubblicazione l’archeologa Paola Palazzo – risulta che le anfore brindisine sono ampiamente diffuse nel bacino orientale del mediterraneo e che l’Egitto rappresenta la regione, tra quelle orientali, più ricca di rinvenimenti; le attestazioni più numerose provengono da Alessandria, dal territorio del Fayoum, e più a sud, lungo il Nilo, da Hermopolis e da Akoris, nel Medio Egitto”.
Purtroppo non si è stati capaci di salvaguardare le importanti fornaci presenti nell’agro di Brindisi, forse solo gli impianti di Giancola, ricoperti dal terreno, potrebbero essere ancora recuperati e valorizzati.