Le magiche sorprese del mare brindisino in inverno

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Mi rendo perfettamente conto che, quando siamo ormai alle soglie dell’inverno e, con l’inizio del mese di dicembre, l’atmosfera natalizia comincia a pervadere le strade delle nostre città trasformandole in tanti paesini di Babbo Natale, parlare di mare e scorribande sottomarine, possa apparire quasi fuori luogo ed un brivido di freddo coglie molti al sol pensare ad un tuffo in acqua; ma così non è.
Al contrario di ciò che si può essere portati a pensare, infatti, il mare d’inverno, specialmente alle nostre latitudini, è tutt’altro che triste e noioso e, se si sceglie la giornata giusta, soleggiata e ci si immerge nelle prime ore del mattino, quando i raggi del sole penetrano diagonalmente in acqua, si può godere di una buona luminosità e se il vento, soffiando da sud-ovest, porta le correnti ad allontanare dalla costa la sabbia in sospensione, la visibilità non è molto dissimile rispetto a quella delle giornate estive.
Certamente chi tende a soffrire il freddo è meglio che se ne stia sotto le coperte al calduccio dal momento che, per quanto una muta subacquea possa riparare, quanto meno una parte del corpo sta a contatto con l’acqua fredda ed all’uscita dal mare occorre fare comunque i conti con una temperatura dell’aria non proprio ferragostana; ma, si sa, dove c’è gusto non c’è perdenza, e qualche piccolo sacrificio vale sempre la pena farlo pur di poter coltivare il proprio hobby tutto l’anno.
D’altronde Brindisi è sicuramente una di quelle località marinare dove è possibile godere della bellezza e dei benefici del mare a 360 gradi tutto l’anno, sia per fare una semplice passeggiata lungo la costa, sia per uscire in barca con gli amici o per coltivare un qualche sport acquatico: dalla canoa al kitesurf, dalla vela alla pesca ed anche al nuoto, in quanto sono non pochi i nostri conterranei che non rinunciano a quattro bracciate in mare, nemmeno durante i mesi più rigidi dell’anno, per non parlare, poi, del tradizionale tuffo di capodanno alla Conca con cui si è soliti festeggiare il nuovo anno, ormai vicino.
Nulla osta, pertanto, ad effettuare delle belle immersioni subacquee anche se la gente va ormai in giro con il cappotto ed i riscaldamenti nelle case sono accesi.
Certo, a differenza di quanto avviene durante la bella stagione, è più difficile trovare le condizioni meteo ottimali ed anche amici che ti seguano sott’acqua con la stessa passione e convinzione che dimostrano nei mesi estivi ma, sicuramente, sempre – e lo ripeto – se non si soffre particolarmente il freddo, ne vale senz’altro la pena.
L’atmosfera surreale e quasi magica della litoranea pressoché deserta, la musica sorda dello sciabordio del mare non inquinata né dai clamori della spiaggia nè dal vociare dei bagnanti, il mare stesso che ha avuto anche modo di ripulirsi e purificarsi e di riprendere a vivere, rendono le immersioni invernali davvero indimenticabili.
Non di rado a fare da spettatori, abbarbicati sugli scogli a ridosso della costa, troviamo non solo i soliti gabbiani, che abbiamo come compagni tutto l’anno, ma anche gruppetti di cormorani che, da qualche anno a questa parte, hanno scelto il clima mite di Brindisi ed il suo mare pescoso, per passare serenamente i mesi invernali prima di far ritorno, in primavera, nel Nord Europa. A dirla tutta, la maggior parte di questi simpatici pennuti neri, passano la notte in grossi gruppi di svariate centinaia di individui in alcuni particolari luoghi dormitorio, come le Saline di punta della Contessa e l’Invaso del Cillarese, e di buon mattino si alzano in volo e si dividono in varie zone della litoranea, dove riesce loro più facile nutrirsi e, possibilmente, catturare, oltre che qualche pesce anche un poco di calore del sole.
Il Cormorano, infatti, è un uccello ittiofago, ottimo tuffatore, ben adattato sia alle acque dolci che a quelle salate, e, dopo aver catturato la preda in acqua, anche a qualche metro di profondità, risale velocemente in superficie per ingerirla, intera. A differenza di molti uccelli acquatici, non è dotato di piumaggio perfettamente impermeabile, per cui è facile osservarlo in una strana posizione da Batman, una sorta di elegante posa araldica, eretta e ad ali semiaperte, per poter meglio asciugare il proprio piumaggio al sole e all’aria, prima di spiccare nuovamente il volo.
I bassi scogli lungo il Parco del Serrone fino alla Torre di Punta Penne, ad esempio, sono fra i loro luoghi di stazionamento diurno preferiti, come anche quelli fra l’Isola di Sant’Andrea e la Diga di Punta Riso, le Isole Pedagne, la foce di Fiume Grande e le secche di Torre Cavallo.
Ma lasciamo stare gli amici pennuti ed occupiamoci di quelli pinnuti, vale a dire i pesci che popolano l’azzurro mare di Brindisi, per provare a descrivere, con le parole e con le immagini, quelli che abbiamo incontrato nel corso dell’ultima immersione effettuata con un paio di amici dalla costa del litorale nord di Brindisi.
Appena calatici in acqua non posso non notare una miriade di giovani Pagelli bastardi (si chiamano proprio così e non perché sono di dubbia progenie) di un bel colore rosaceo, nuotare in gruppo, ora allargandosi, ora restringendosi, in maniera disordinata, come è proprio di un banco di pesci che è sotto attacco. Si tratta di un pesce molto gregario da giovane che, crescendo, non avvertendo più le ragioni di difesa che lo inducono alla vita di gruppo, tende a vivere più isolato o, al più, in piccoli gruppi: nel nostro caso questi giovani esemplari, lunghi non più di 4 o 5 centimetri stavano cercando rifugio fra gli scogli frastagliati vicino alla costa, costringendo i loro predatori, nel caso concreto alcuni grossi cefali della taglia di una quarantina di centimetri, a dividersi per non sbattere sulla roccia. Ha completato, poi, l’opera di dissuasione la nostra presenza che ha allontanato, almeno per qualche minuto i famelici predatori, concedendo un po’ di tregua alle potenziali prede.
L’immersione si è dimostrata, pertanto, fin da subito estremamente interessante; un bell’esemplare di Tordo muso lungo, un pescetto di piccola taglia che raramente, anche da adulto, supera i dieci centimetri di lunghezza, di color verde brillante cerca di mimetizzarsi fra i ciuffi di Posidonia, mentre, poco distante un placido nudibranco, un Doride dipinto, cioè una sorta di lumacone colorato della lunghezza di un dozzina di centimetri, indifferente alla concitazione che regna attorno, scala lentamente una roccia alla ricerca di qualche spugna di cui ama nutrirsi.
Spiando in un anfratto poco distante, illuminato dalla torcia subacquea, riesco a fotografare un grosso Paguro bernardo, riparato al suo interno, col suo carico di attinie e solo dopo aver guardato con calma la foto in casa, sullo schermo del computer, mi accorgerò che sulla volta della grotticella c’era un piccolo scorfano perfettamente mimetizzato che aveva assunto una triplice colorazione per adeguarsi a ciò che c’era attorno a lui, ma i suoi grandi occhioni ne avevano tradito, sia pure a scoppio ritardato, la presenza.
Proseguendo a pinneggiare lungo la parete rocciosa di un costone a circa dieci metri di profondità, non si può non notare una grande stella marina spinosa, Marthasterias glacialis, la varietà più grande presente nel Mediterraneo, dato che arriva a superare abbondantemente il mezzo metro, dotata di cinque lunghe braccia cilindriche molto robuste munite di protuberanze disposte in serie longitudinali regolari e munite ciascuna di una robusta spina. Può avere praticamente tutte le tonalità cromatiche dal verdognolo, al rosa, al marrone, al biancastro, al bluastro, al violaceo e tutte le colorazioni intermedie e si nutre di ricci, molluschi sia gasteropodi che bivalvi, che apre senza alcuna apparente difficoltà, oltre che di crostacei.
L’inverno è anche il periodo in cui è più facile incontrare drappelli di grosse e simpatiche triglie in perlustrazione che scorrazzano allegramente in compagnia, cercando freneticamente il cibo sul fondo, rovistandolo con il loro caratteristici i barbigli, tanto simile a dei baffoni, con cui smuovono la sabbia alla ricerca dei piccoli organismi bentonici di cui si nutrono; spesso le triglie sono seguite, a poca distanze, da donzelle, tordi e piccoli saraghi che, approfittando di qualche attimo di distrazione, le soffiano le prede più grandi che vengono spostate dal fondale limaccioso o sabbioso.
Continuando la perlustrazione fra le rocce, scorgiamo un bell’esemplare di Murena helena, dall’aspetto truce e minaccioso che rievoca, nell’immaginario collettivo, il mito dei mostruosi e giganteschi serpenti marini, terrore dei sette mari. Si tratta, in realtà di un animale mite che difficilmente, se non costretto dalla paura e dalla mancanza di possibili vie di fuga, è mordace verso l’uomo; la circostanza che la si nota spesso ansimare con la bocca spalancata e i denti aguzzi bene in mostra, come se fosse sul punto di attaccare chi gli passa davanti alla tana, è dovuta, in realtà, al modo particolare con cui questo pesce serpentiforme respira: dato che ha le aperture branchiali ridottissime, la murena deve respirare con la bocca aperta per facilitare l’ossigenazione tramite il passaggio dell’acqua, il che la fa sembrare particolarmente, ma erroneamente, aggressiva. Diverso è il racconto, se proviene da pescatori subacquei, dal momento che sono tutt’altro che rare le aggressioni, a scopo di difesa, che queste creature marine, anche se ferite gravemente, fanno ai danni dei loro predatori con maschere e pinne e qualcuno di loro ci ha anche rimesso la falange di un dito o ha guadagnato qualche punto di sutura alla mano od al braccio.
Sulla via del ritorno, dopo quasi un’ora di immersione, incappiamo in un altro gradito incontro: una rossa polpessa – si tratta non della femmina del polpo, ma di una ben distinta specie a se stante – , ferma, immobile, quasi spalmata su una roccia per non dare nell’occhio, ma che, difettando delle capacità mimetiche che ha invece il polpo ed essendo di un bel color porpora, si fa notare ancor di più poggiata come è su una pietra chiara; resta completamente immobile perchè convinta di essere invisibile e, probabilmente, lo è per quegli animali, suoi potenziali predatori, che non hanno la nostra stessa percezione cromatica.
Giunti alla stessa insenatura da cui ci siamo calati in mare, ci sono ancora i cefali in branco che attaccano con fulminee sortite i pagelli: al nostro passaggio i predatori si allontanano nuovamente, mentre il banco di pesciolini si ricompatta a pochi centimetri dal fondale, in attesa del prossimo attacco nell’eterna lotta per la sopravvivenza a cui tutti gli animali selvatici, ed i pesci ancora di più, sono abituati fin dalla loro nascita.
Mi attardo ancora in qualche scatto mentre i miei compagni di immersione già escono dall’acqua, per godere ancora per un momento dell’abbraccio del mare prima di tornare anche io sulla terraferma.