Marcucci: «Non bastano i Cis, il caso Brindisi sia portato davanti al governo»

Lucia Portolano per il7 Magazine

Oltre mille e cinquecento lavoratori senza certezze, ammortizzatori sociali finiti o in scadenza. Aziende fallite o in regime di concordato, società pubbliche senza più risorse. La crisi aziendale ed occupazionale attraversa in maniera trasversale tutti i settori nella provincia di Brindisi: da anni l’edilizia è morta, la chimica arranca, e la metalmeccanica (che comprende anche l’aerospazio) ha raggiunto livelli di guardia. Le vertenze sul tavolo della task force regionale sono numerose, qualcuno parla di autunno caldo, ma qui saranno colpite molte stagioni. Eppure questo territorio è sempre stato considerato fiore all’occhiello dell’aereospazio, non a caso è stato istituito a Brindisi il corso di laurea in Ingegneria Aerospaziale. Nella lista nera c’è Tecnomessapia srl di Ceglie Messapica, definitivamente fallita, ha lasciato a terra i suoi 160 dipendenti. Nel periodo di maggiore attività la manodopera aveva toccato quasi 400 unità. In lotta anche per ex Gse, che di dipendenti ne aveva 225 dipendenti sempre nel settore aerospaziale.
L’azienda è entrata a far parte del gruppo Dema, ma allo stato attuale ha più di 100 lavoratori a fine cassa integrazione. Altre piccole aziende locali sono già in regime di ammortizzatori sociali o hanno attivato la procedura per adottarle. In crisi anche il settore delle manutenzioni dei due grandi siti industriali: petrolchimico e centrale Enel di Cerano. Un tempo nel petrolchimico, oggi Versalis e Basell, le unità lavorative superavano le 15mila unità tra dipendenti diretti e indotto, oggi non arrivano a 1500, con la crisi di alcune storiche aziende locali come la Leucci costruzioni che ha accumulato un debito di oltre 20 milioni di euro, e 115 lavoratori da 8 mesi sono senza retribuzione. A questi si aggiungono i 90 dipendenti di Tecnogal distribuiti tra Versalis ed Enel senza stipendio da quattro mesi. Poi ci sono tanti piccole aziende che chiudono nel silenzio generale o vengono trasferite fuori Brindisi, come nel caso della Tecnosky. Ma i sindacati per questo comparto lanciano un’altra preoccupazione quella sul futuro dei 700 lavoratori della centrale Enel Federico II di Cerano per la quale è prevista la chiusura nel 2025, così da piano energetico nazionale.
Al momento non esiste un progetto certo o una prospettiva definitiva, eppure mancano solo sei anni. “La costruzione di una centrale energetica a gas al posto di quella a carbone – afferma Angelo Leo, segretario generale Fiom della provincia di Brindisi – occuperà si o no un quarto delle attuali maestranze, che per la specificità produttiva dovranno provenire da altri siti industriali sparsi nel mondo. In sostanza stiamo per assistere ad una desertificazione industriale in un territorio con un importante aeroporto attrezzato per i voli internazionali, un grande sicuro porto scalo del Mediterraneo, una rete viabile e ferroviaria da migliorare ed un’area industriale come poche al sud che rischia di cadere in un disastroso degrado”. Per Leo c’è bisogno di una nuova politica industriale da parte del governo, “che da decenni – aggiunge – ha rinunciato alla programmazione economica di politiche industriali alternative ecocompatibili. C’è bisogno di una politica industriale pubblica nel settore dell’aereospazio a Brindisi, un territorio con una esperienza nel settore di oltre 100 anni. Il Comune, la stessa Regione possono sicuramente avere un ruolo attivo negli indirizzi, nella predisposizione e nel riutilizzo delle aree bonificate, ma gli investimenti e la ricerca di quello che si deve insediare e produrre deve avere forti investimenti pubblici, oppure è destinata a fare tabula rasa persino di quel poco che già esiste”. Segnali positivi non arrivano certamente dalle società pubbliche: solo qualche giorno fa il sindacato Cobas ha annunciato lo stato di agitazione dei lavoratori della Santa Teresa (società della Provincia) perché a causa di ulteriori tagli è previsto il licenziamento di almeno 50 persone, risorse che andranno a diminuire di anno in anno. E tempi rosei non sembrano prospettarsi neanche per Multiservizi (società del Comune di Brindisi) che in questa fase di pre dissesto ha annunciato tagli proprio in questo capitolo di spesa.
L’allarme arriva anche e soprattutto da Confindustria. “Bisogna essere realisti – afferma il presidente di Confindustria Brindisi Patrick Marcucci – questo territorio sta attraversando un momento drammatico, sia per congiunture nazionali e internazionali ma anche per avvenimenti locali epocali che ci vedono impreparati”. Marcucci si riferisce alla decarbonizzazione, volontà che ritiene assolutamente positiva, ma nelle stesso tempo lamenta una impreparazione ad affrontare questa emergenza. “Purtroppo sul territorio non esiste la cultura e la presenza di distretti industriali che possano colmare il gap della decarbonizzazione – spiega – Il comparto metalmeccanico rischia di scomparire. Siamo in un vera e propria emergenza e manca una programmazione economica. La colpa è di tutti sia negli imprenditori, ma anche di chi ha ricoperto e ricopre ruoli apicali nelle amministrazioni. Questa emergenza richiede azioni immediate che non possono essere date dalle associazioni datoriali e di categoria. Serve che sia portato il caso Brindisi all’attenzione del governo nazionale e non bastano i Cis, quelli sono a lungo a periodo, se ci saranno”. Secondo il presidente di Confindustria una possibile soluzione è data dalla Zes (zona economica speciale ormai riconosciuta anche a Brindisi). “Ma questa – aggiunge può essere un soluzione solo se ci sarà un conveniente kit localizzato per le aziende con agevolazioni e sburocratizzazione (perché non si possono attendere mesi per avere una risposta su una tettoia), e con la realizzazione di una zona economica doganale interclusa, dove le aziende producono con agevolazioni, ma solo per esportazione. La mia preoccupazione è che la Zes si possa scontrare con la situazione di pre dissesto del Comune di Brindisi, che per i prossimi 10 anni prevede la tassazione al massimo delle aliquote. Mi chiedo perché un imprenditore debba venire qui a fare impresa”.