Mare di Brindisi, pure un alieno è con noi sott’acqua

Non è per nulla semplice cercare di riassumere in poche pagine il fine settimana ferragostano sulla costa brindisina, dal caos eccessivo delle spiagge – invase come non mai, sia in quanto la maggior parte dei brindisini, vuoi per i timori legati a possibile contagi da coronavirus, vuoi per le conseguenze del lockdown, che tanto ancora sta pesando sull’economia delle famiglie, non si è spostata dalla città ed ha approfittato delle “Ferie di Augusto” per invadere festosamente il litorale, sia per la gradita presenza di tanti turisti che hanno finalmente compreso che le nostre marine non hanno nulla da invidiare a quelle più rinomate, pubblicizzate e, conseguentemente, più costose – alla quiete assoluta ed al silenzio interrotto solamente dal ronzio delle bollicine di aria che fuoriescono dall’erogatore, di chi ha la fortuna di poter approfondire la conoscenza dell’altra metà del creato, quella che comincia dove finisce la terraferma e che per scoprirla bisogna poter mettere la testa sotto il pelo dall’acqua con maschera in viso e, preferibilmente, bombola in spalla.
Impossibile non soffermarsi, anche, su due sciagure, con tema mare, che hanno funestato i gioiosi giorni di mezzo agosto, vale a dire la morte di un pescatore apneista di 67 anni, colto da malore sulle secche quasi affioranti di Punta di Torre Cavallo ed un uomo di 38 anni di origine irakena che, proprio il giorno di ferragosto, in balia della risacca, è affogato a poche decine di metri dalla costa in prossimità dell’ex Lido Poste, un luogo davvero insidioso quando soffia il maestrale, dal momento che il gioco delle correnti e l’effetto “a cucchiaio” nella baia di Punta Penne, fa si che proprio in quel punto, quando il mare è agitato, si viene a creare una zona priva di onde in ragione non del mare calmo, ma per effetto delle correnti che anziché verso la costa spingono verso il largo.
Ed è proprio lì che, in genere, in cerca di refrigerio dalla calura estiva, vanno a fare il bagno coloro i quali sono meno conoscitori del mare, pensando di aver trovato un’oasi di acqua cheta che, in realtà, si può trasformare, come è accaduto in questo caso, in una trappola mortale, specie nel caso in cui il malcapitato, ingenuamente, cerca di vincere la corrente nuotando in senso opposto, anziché lasciarsi trasportare per uscire dalla risacca spostandosi lateralmente: basterebbero poche bracciate per portarsi in salvo …. a sapere come si fa, però.
Ho accennato al litorale brindisino, specialmente quello a nord della città, dal Porticciolo Turistico fino ad Apani, letteralmente invaso, fin dalla mattinata di venerdì 14 agosto, da migliaia e migliaia di bagnanti che hanno colonizzato con auto, sdraio, ombrelloni, gazebi delle più fantasiose forme e svariate dimensioni, tavole e tavolini, ogni metro quadro dei 12 chilometri di costa.
Oltre ai lidi privati, che nella tre giorni di ferragosto hanno registrato il tutto esaurito, concedendo una boccata di salutare ossigeno ad un settore che, più di tanti altri, appariva in difficoltà a causa della pandemia, tanta gente, anche troppa, si è riversata sulle spiagge libere, da Giancola ad Acque Chiare, dalla Conca al Picnic, passando dalla new entry Materdomini, dove la ex spiaggia della Marina, sia pure provvisoriamente e dopo essere stata ripulita dai residui del cantiere abbandonato, è stata messa in sicurezza ed aperta al pubblico come spiaggia libera non attrezzata.
L’intenzione, mia e dei miei amici, subacquei come me, è di santificare al meglio questa festa con un trittico di immersioni in tre diversi punti della nostra bellissima costa, a partire da una notturna alla vigilia dell’Assunta. Mi concedo prima un paio di ore di spiaggia con la famiglia, proprio a Cala Materdomini, il cui lato sinistro appariva trasformato in un gigantesco Suk mediorientale con capanni, tende ed ombrelloni posizionati in modo tale da costituire una enorme tettoia che conteneva non due o tre, ma almeno un paio di dozzine di nuclei famigliari, accampati in tal modo per l’intero trittico di Ferragosto.
Persino le bianche cabine abbarbicate sulla scogliera della spiaggia del Sole – anche essa da qualche mese “ex”, in quanto i vecchi gestori l’hanno rilasciata – sia pure priva di porte e accessori, appaiono popolate da alcune decine di gruppetti che l’hanno momentaneamente ed allegramente occupata, rendendola, almeno ancora per qualche giorno, viva, in ricordo dei tempi che furono, quando era il vanto della movida estiva brindisina
Noto con piacere il tempestivo intervento di un moderno gommone della Guardia Costiera a sanzionare un’imbarcazione a motore che, incurante dei divieti e delle ordinanze interdittive, sfrecciava, con sommo pericolo, fra gli impauriti bagnanti. Tale provvidenziale intervento ha fatto si che anche le altre imbarcazioni che si stavano avvicinando alla caletta, restassero al largo, concedendo un po’ di tregua a chi vuol prendere il bagno in tutta sicurezza. Il pattugliamento della guardia Costiera ha tenuto al largo anche le temutissime moto d’acqua, guidate da emuli di Valentino Rossi, i mezzi più invisi a nuotatori e subacquei.
Dal momento che, nonostante il calare della sera, le spiagge non si spopolavano e non appariva possibile trovare un po’ di spazio per poterci avvicinare al mare con le auto in modo da scaricare bombole ed attrezzature varie, optiamo per un salto nel blu del Serrone, dal momento che l’omonimo parco comunale, in quanto chiuso al traffico veicolare, non era colpito dall’invasione ferragostana per cui ci dirigiamo all’ex “Cavallino” – ex in quanto dopo oltre mezzo secolo qualche furbacchione addetto alla manutenzione, ha pensato bene di smontare questo antico balocco a forma di cavallo, assiso a simbolo stesso del luogo, dall’alto palo ove era stato issato negli anni sessanta, per andarlo a gettare in chissà quale immonda discarica, con buona pace di un altro pezzo della storia e della tradizione brindisina, che, con esso, finiva al macero.
La scelta si è rivelata indovinata in quanto, al tramonto, solamente un camper ed un paio di comitive di amici erano rimaste sul posto, per cui potevamo assemblare l’attrezzatura, ed indossarla per percorrere, con pinne in mano e bombole in spalla, i circa centocinquanta metri di spiaggia ed il centinaio di metri di comoda passerella che separano l’ingresso del Parco del Serrone dal punto di immersione prescelto, appena oltre la Crocetta, così chiamata per un antico argano militare di fine ottocento, la cui forma attuale ricorda una croce, posto sul punto più estremo della scogliera, a poche decine di metri dal punto dove un paio di migliaia di anni addietro naufragò la nave carica dei bronzi che, recuperati trent’anni fa, ora fanno bella mostra al Museo di Brindisi.
Aspettiamo che cali completamente il buio, prima di entrare in acqua, in modo che siano solamente le nostre torce subacquee a squarciare le tenebre degli abissi marini, per dare oltre che luce anche colore a ciò che andremo ad ammirare.
Pinneggiamo velocemente fino a che il fondale è basso, e giungiamo rapidamente nel punto dove superiamo il costone posto a tre metri di profondità, per tuffarci nel vuoto del blu fino ai -12, costeggiamo le belle pareti rocciose, incrostate di coralligeno che lo rendono vivo e colorato, belle spugnette a candelabro, qualche falso corallo a forma di corna di alce e, negli anfratti tanti pesci e creature marine: immancabili le corvine e le murene, ma anche grossi saraghi, oltre che tanti pescetti da “zuppa mista”, visibile specie nei pressi della foresta di posidonia che mai, come quest’anno, appare fitta e vitale, e circumnavighiamo l’intero promontorio della Crocetta; un grosso paguro di colore rosso vivo, quasi fiammante, attira la mia attenzione e non si ritrae nel guscio della grossa conchiglia, come avevo temuto, ma resta quasi in posa per qualche scatto.
Mentre, ritornati sul costone dove l’acqua e più bassa, ma dove, per l’assenza di bagnanti che frequentano il luogo, la vegetazione è particolarmente ricca sulla scogliera sommersa, avviene un vero e proprio “incontro ravvicinato del terzo tipo” con una creatura aliena – in biologia marina sono definite aliene le creature che provengono da altre zone, molto lontane, rispetto a quelle di ritrovamento ed in cui sono giunte in maniera più o meno accidentale – nel caso di specie si trattava, come ho avuto modo poi di appurare sui manuali ed interpellando studiosi della materia, una Lepre di mare dagli anelli (Aplysia dactylomela) un grosso mollusco gasteropode della lunghezza di ben oltre trenta centimetri che, differenza della Lepre di mare mediterranea, che è di un quasi completo colore marrone, si presenta con una suggestiva livrea bianca su cui appaiono come tatuati degli anelli, che la rendono inconfondibile. Si tratta di un animale proveniente dalla costa tropicale atlantica dell’Africa che fu osservata per la prima volta nei mari italiani a Lampedusa una quindicina di anni fa, poi sulle coste ioniche e tirreniche di Sicilia e Calabria, ma che per il basso Adriatico rappresenta una vera e propria novità ma che a Brindisi, Città dell’accoglienza, non poteva certamente mancare.
Doverosamente ho segnalato a chi di dovere l’avvistamento, documentato fotograficamente e un vero esperto della materia, quale è il biologo Fabio Russo, noto studioso di fauna marina, ha confermato che al momento la specie è uscita, tecnicamente, dalla lista delle aliene, entrando fra le specie cripto geniche: significa che al momento non è chiaro se la diffusione di questa specie sia dovuta ad una dispersione naturale o sia effettivamente arrivata a causa dell’uomo.
Alla mia richiesta di chiarimento se a suo avviso sia arrivata qui da noi nell’acqua di sentina delle grossi navi da carico che solcano gli oceani ed il mediterraneo o, naturalmente, passando dallo stretto di Gibilterra, il dott. Russo mi ha gentilmente risposto che potrebbe essere entrata tramite Gibilterra da sola, al momento non si sa bene, anche perché trovare le cause di dispersione di specie nuove in mare è ben difficile, ma che lui, al momento, la considera specie atlantica dispersa naturalmente; ma certezze non ce ne sono.
Comunque è sempre una bella soddisfazione per un subacqueo appassionato di creature marine, poter effettuare un incontro raro, ma non sarebbe stato il solo di questo fine settimana.
Usciti da mare e ripercorsa la passerella, siamo ritornati al punto di partenza seguendo la traccia olfattiva dell’odore di brace e carne arrostita che proveniva dai tanti barbeque in funzione sulla costa: un odore che ci avrebbe accompagnato anche nei giorni a seguire.
Essendo improponibile ed irrealizzabile un’immersione in pieno giorno dalle parti della Conca, ci diamo appuntamento alle prime luci dell’alba per poter raggiungere il mare, facendo lo slalom fra ombrelloni e tavolini lasciati in loco per tenere il posto per il giorno dopo e veri e propri accampamenti di tende dove, comitive di ragazzi, ancora dormivano e, anzi, probabilmente, si erano appena addormentati dopo aver fatto bisboccia tutta la notte.
Le immersioni alle prime luci del giorno sono molto suggestive anche per la gran quantità di pesce che è possibile ammirare in quanto è consuetudine che anche le specie che prediligono il mare aperto, di notte, cerchino rifugio dai predatori, negli anfratti rocciosi: quello dell’alba è il momento del risveglio anche per loro e, allora, è tutto un pullulare di vita e di formazione di grossi banchi di pescetti che si riformano, per affrontare la lunga giornata avendo come unico scopo quello di nutrirsi e di sopravvivere agli attacchi dei predatori.
Notevoli sono, in questo periodo, le formazioni di centinaia di giovani cefali che ci sfrecciano davanti agli occhi.
In uno dei tanti anfratti in un misto di sabbia e roccia scopro una curiosa e grossa spugna, di colore scuro e dalla forma davvero particolare a cui – come scoprirò subito dopo l’immersione consultando ancora una volta guide ed esperti – deve anche il nome comune di Spugna calice (Calyx nicaeensis). Dalla eccitazione degli esperti della materia, comprendo subito che si tratta di una specie molto rara e, infatti, mi viene anche chiesto, cosa che farò davvero volentieri, di continuare a monitorarla e di tenerli aggiornati sul suo stato di salute e sull’eventualità che vi siano altri esemplari nei paraggi.
Il trittico di immersioni ferragostane si conclude con un tuffo alla Diga con pinneggiata sottomarina fino al Picnic, in modo da onorare anche il lato nord di cala Materdomini, quella che, stranamente, non è di competenza del Comune di Brindisi bensì dell’Autorità Portuale e solo qui riusciamo a vedere una specie comunissima durante il lockdown, il Polpo, ma che con la ripresa dell’attività di centinaia di pescatori subacquei amatoriali, come succede sempre nel mezzo dell’estate, è quasi sparito: si è trattato di un esemplare davvero considerevole sia per dimensione che per colore, oltre che per le posizioni che assumeva e la spavalderia che dimostrava nei nostri confronti: per nulla intimorito né dalle nostre torce nè dalla nostra presenza e che, ad un certo punto, è venuto addirittura a fraternizzare con la mia macchina fotografica scafandrata.
Un grosso scorfano di color rosso fiammante, giaceva immobile sicuro di essere invisibile mentre, illuminato dalla torcia, un enorme dentice, dopo qualche manovra elusiva, si allontanava velocemente dalla sua zona di caccia.
Dopo un incontro con una giovane corvina che girovagava, spaesata,fuori tana, ed una grossa cicala di mare ben arpionata ad uno scoglio, usciamo dal mare sotto i ruderi vergognosi dell’ex Picnic e notiamo che anche il Suk di sapore mediorientale di Materdomini, dopo tre giorni e due notti di festosa attività, era in fase di smontaggio, il che mi ha anche un po’ rattristato, come fosse il primo sentore della prossima fine dell’estate.
Anche se sono appena le 21,00 è già buio pesto in quanto le giornate si stanno nuovamente accorciando ed anche questo è ulteriore motivo di tristezza, ma al pensiero che mi spettano ancora alcuni giorni di ferie e tanti fine settimana in cui avrò la possibilità di tornare sott’acqua e, allora, mi rinfranco subito.
Grazie a Dio è lunga, davvero lunga, l’estate brindisina.