«Mia moglie da tre anni si è portata in Kazakistan nostro figlio»

di Lucia Portolano per IL7 Magazine

Un giorno torna a casa e non trova più sua moglie e suo figlio Adelio di un anno e mezzo. Sul tavolo in cucina c’era una lettera in cui la moglie, oggi 36 anni, originaria del Kazakistan, le dice che non vuole più vivere in Italia, che lui è un padre straordinario, ma che ha deciso di tornare nel suo paese insieme al piccolo. Va via senza neanche il passaporto del bambino, ancora nessuno sa come abbia fatto a fuggire. Dal 27 ottobre 2015 Giovanni Bocci, padre brindisino di 43 anni, non si dà pace. L’ex moglie non gli fa vedere Adelio che oggi ha 4 anni e mezzo. Lo ha visto solo pochissime volte alla presenza dell’ambasciatore, e l’ultima volta è stata tre settimane fa via skype. Ma davanti all’uomo una scena terribile dove il bambino piangeva disperato e si copriva le mani con le orecchie. “Sembrava che qualcuno dietro lo picchiasse, forse con una cinta”, dice l’uomo.
Nei confronti della donna il tribunale di Brindisi ha emesso una sentenza di condanna a due anni di reclusione per sottrazione di minore con estradizione. Il padre teme per suo figlio: “La madre lo ha lasciato in un paese del Kazakistan con la nonna, lei vive a 2mila 600 chilometri lontana – racconta – Lui vive solo con la nonna e un ragazzo di 24 anni. Quelle poche volte che l’ho visto non stava bene: aveva dei lividi, il labbro spaccato. Loro mi dicono che è caduto, ma io temo per la sua vita”.
Bocci è andato più volte in Kazakistan, una volta a Natale ha portato dei regali e dei vestiti, ma ha dovuto lasciare tutto ad una vicina, perché nessuno si è fatto trovare. A gennaio scorso il ministero della Giustizia italiano ha disposto un mandato di cattura internazionale nei confronti della donna. Inoltre sempre su disposizione del ministero l’Interpol ha emesso quella che si definisce una “red notice”, cioè una segnalazione rossa con la richiesta di rintracciare la donna. Ma nonostante le autorità locali conoscano domicilio sia del bambino che della madre dicono che questa è irreperibile.
“Siamo preoccupati – dice il padre del bambino- non è possibile che nessuno trovi madre e figlio. Non vedo e non sento il bambino da tre settimane, sua nonna con la quale comunicavo con WhatsApp non è più raggiungibile. Voglio sapere dove è mio figlio, cosa gli è accaduto perché nessuno fa nulla. Mi sento inerme nonostante ci sia un mandato e una disposizione del tribunale”.
Giovanni Bocci tramite avvocato, perché la donna non ha mai voluto fornire il suo iban, manda dei soldi per il sostentamento del bambino. Ma nonostante questo le autorità locali dicono di non riuscire a rintracciare la madre. “Non è possibile – dice l’uomo con le lacrime agli occhi – non possono credere che non sanno dove è”.
Il 43enne fa appello al ministero della Giustizia, a quello dell’Intero e agli Esteri affinchè facciano pressione sull’autorità kazaka.
Nel paese della donna si è appena concluso il primo grado del processo per affidamento del bambino, il giudice ha stabilito che il figlio resti alla madre ma Bocci è pronto a ricorrere in Appello, anche lì ci sono tre gradi di giudizio. “Una storia che ha dell’incredibile – spiega l’uomo – il giudice ha motivato dicendo che il bambino non può essere affidato al padre perché la madre in Italia sarebbe arrestata e quindi sarebbe meglio che il bambino restasse qui con lei. Una motivazione che non ha una logica. Ho tentato invano di trovare un accordo con la mia ex, proponendo che il bambino stesse l’inverno con lei e in estate con me, ma nulla di fatto. Il giudice del Kazakistan ha comunque stabilito che posso vedere mio figlio quando voglio, ma in realtà lei non me lo permette”. Giovanni ha visto la sua ex moglie per l’ultima volta il 23 aprile scorso, giorno della sentenza di affidamento.
Il 43enne ha conosciuto la donna nel 2011, lui era in Kazakistan per lavoro e lei faceva la traduttrice di russo e inglese. Due anni di fidanzamento e poi si sono sposati: un matrimonio civile, regolare e riconosciuto. Dopo pochi mesi è nato il loro bambino, la nascita è stata segnalata in ambasciata così che lui avesse la cittadinanza italiana. La mamma aveva anche firmato il consenso.
Finito il lavoro all’estero, un progetto di quattro anni e mezzo, i due sposi sono tornati in Italia, hanno vissuto i primi mesi a Mesagne dalla madre di lui, poi si sono trasferiti a Brindisi. L’uomo aveva una casa alla Sciaia in zona Materdomini con giardino, giochi all’aperto per il bambino e anche la piscina. Attualmente vive ancora lì. “Non ci mancava nulla – spiega il padre – lavoravo e facevo tutto per loro. Ma dopo un anno e mezzo in Italia lei è scappata via lasciandomi solo una lettera. Il bambino aveva un anno e mezzo, ogni tanto tornando a casa si erano verificati degli incidenti domestici, lo abbiamo portato due volte in ospedale, una volta per un naso rotto e l’altra per la lussazione al braccio. Ogni volta lei diceva che era caduto. In questi anni mi sono fatto tante domande”.
Giovanni è disperato, chiede l’intervento del governo italiano. Il 24 luglio scorso il vice ambasciatore italiano in Kazakistan, Matteo Petrini, su sollecitazione dell’avvocato della famiglia Bocci che chiedeva di far rispettare la sentenza italiana in base agli accordi internazionali, ha inviato una mail in cui si legge: “Siamo al corrente della “red notice” che è stata emessa tramite Interpol su richiesta del ministero della Giustizia italiano lo scorso gennaio e della quale ci hanno dato conferma le Autorità kazake con cui siamo in contatto. Naturalmente, come sa, l’accordo cui lei fa riferimento riguarda unicamente il trasferimento nei rispettivi paesi di persone private della libertà a seguito di condanna nel paese controparte e la cooperazione penale a cui si fa riferimento all’art. 2 dello stesso Accordo è prevista nell’ambito specifico regolato da tale strumento bilaterale. Non è invece vigente alcun Trattato bilaterale di estradizione per cui, anche in caso di arresto da parte delle Autorità kazake, una successiva richiesta di estradizione dovrebbe necessariamente passare per vie diplomatiche. D’altronde l’eventualità di una condanna penale e tanto più di un’estradizione di un proprio cittadino da parte delle Autorità kazake nel caso di specie risulta assolutamente irrealistica e perseguire unicamente tale finalità determinerebbe un ulteriore e controproducente irrigidimento di queste Autorità che poco gioverebbe alla causa del padre. Ciò su cui – in stretto raccordo con il ministero degli Affari Esteri italiano – stiamo insistendo in ogni possibile contatto ad alto livello con queste Autorità (l’Ambasciatore ne ha parlato direttamente al Ministro dell’Interno e al Ministro degli Esteri e torneremo nuovamente a porre il problema anche al Procuratore Generale)».