di Alessandro Caiulo per IL7 Magazine
Che il nostro mare non smetta mai di stupirci ed è sempre pronto a regalarci nuove sorprese, come anche a restituirci pezzi di storia del passato più o meno recente, è cosa nota, così come ben sa Stefano Maghelli, noto istruttore sub e altrettanto noto scopritore di relitti che il mare di Brindisi, e non solo, lo ha scandagliato in lungo e largo per un ventennio: si deve a lui, infatti, la scoperta di almeno una mezza dozzina di relitti al largo della costa messapica.
Quello di cui vogliamo parlare oggi, però, non è un relitto di una delle tante navi naufragate nel basso Adriatico nel corso dei secoli e, anzi, dei millenni, bensì di un aereo militare, non uno di quelli abbattuti nel corso del secondo conflitto mondiale, ma un Douglas Dakota C47, di fabbricazione americana ed in forza all’aviazione italiana, inabissatosi nelle acque a sud di Brindisi, poco più di un miglio al largo delle marine di Lendinuso e Casalabate, oltre mezzo secolo fa.
Era il 20 gennaio del 1960 ed bordo dell’aereo vi erano il maggiore Riccardi, il capitano pilota Nicola Spatarella, il capitano Lazzarini, il sergente maggiore Calderone ed il primo aviere Garozzo, i quali, alzatisi in volo da Latina, stavano eseguendo una missione di addestramento di “volo cieco”, nel corso del quale il pilota doveva volare solamente con gli strumenti base – bussola magnetica, altimetro, viro-sbandometro-orizzonte artificiale, indicatore della velocità nell’aria e cronometro segnatempo – senza contatti con l’esterno. Di quell’aereo, che era privo di radar e molto probabilmente stava volando a quota molto bassa, si persero le tracce ed i poveri componenti dell’equipaggio non furono mai ritrovati e furono dichiarati dispersi.
Nel racconto del ritrovamento che ci fa Stefano Maghelli, che raggiungiamo telefonicamente nel mar dei Caraibi dove ha trasferito da qualche tempo la sua attività, traspare ancora una grande emozione, come se la scoperta fosse avvenuta ieri.
“Una quindicina di anni addietro raccolsi le confidenze di alcuni pescatori che lamentavano la rottura di lenze e reti su un fondale circa 12 miglia a sud di Brindisi, non lontano dalla costa che teoricamente avrebbe dovuto essere tutto sabbia e posidonia.
Giunto sul posto e calatomi in acqua ovviamente non sapevo cosa avrei visto e l’emozione fu fortissima e la sorpresa ancora più grande quando, appena messa la testa sotto il pelo dell’acqua per cominciare a scendere ho subito intravisto la sagoma di quello che non poteva che essere un aereo e vederlo così imponente, a poche centinaia di metri dalla costa, su un fondale di appena 18 metri di profondità è stato un qualcosa di incredibile
Superato questo primo momento di sorpresa, quasi di shock, il mio pensiero è andato a quella che poteva essere stata la dinamica dell’incidente ho subito visto che le ruote ed i carrelli, uno dei quali aperto, erano rivolti verso la superficie e che i motori si erano staccati e posizionati uno a poca distanza, l’altro qualche decina di metri più in là in mezzo ad una macchia di posidonia
Evidentemente con il violento contatto col mare l’aereo si è rigirato e nell’impatto entrambi i motori si sono staccati dalle grosse ali color argento, così come la fusoliera che, però, era assente: l’ho cercata per molti giorni ispezionando zone sempre più vaste del fondale lì intorno, ma inutilmente, fino a quando, parlando con gente di mare, mi hanno raccontato di una vecchia fusoliera di un Dakota sommersa nella sabbia, in acque basse, nei pressi di Torre Rinalda ad oltre un miglio di distanza dal luogo del ritrovamento delle ali dell’aereo.
Il relitto, come tutti i relitti che giacciono in fondo al mare è stato interamente colonizzato dalla vita marina e, trovandosi in un deserto di sabbia, è come un’ oasi che ha attratto pesci di ogni razza e dimensione, sia che cerchino rifugio sotto al relitto, sia che ne abbiano fatto zona di caccia.
Non sono in grado di dire se si tratta della fusoliera di quel Douglas Dakota o di un altro simile, anche perché pare che di questi aerei ne sono precipitati due nei mari di Brindisi, tant’è che un terzo motore di questo tipo di aereo pochi anni fa, è finito impigliato nelle reti di un peschereccio ed è stato portato fino a Brindisi ed ho avuto modo di ispezionarlo e confrontarmi con esperti anche dell’aviazione, che ritengono che si tratta di un altro Dakota C47 inabissatosi grosso modo nella stessa epoca.
Nel tentativo di scoprire di che aereo si trattasse ho contattato vari esperti e nel contempo ho accompagnato sul relitto sia la troupe televisiva della trasmissione Pianeta Mare, che ha effettuato riprese mandate in onda su Rai Uno, sia una spedizione di Archeomar, di cui ho fatto parte e che si occupa del censimento e dello studio di tutti i relitti del Mediterraneo. Non poteva mancare all’appello quel grande storico e archeologo subacqueo, oltre che grande divulgatore, Pietro Faggioli, venuto appositamente a Brindisi, accompagnato dal fotosub Marco Sieni, che ho avuto il piacere e l’onore di accompagnare a visitare i relitti, non solo navi, ma anche un sottomarino e, appunto, un aereo, da me scoperti nel mare di Brindisi”.
Pietro Faggioli, dopo essersi immerso sul relitto accompagnato da Stefano ed aver scomodato gli archivi storici ed interessato della vicenda anche il massimo studioso della materia, Achille Vigna, non ha dubbi che quello scoperto da Maghelli sia proprio il relitto del Douglas Dakota C47 AS-5, matricola 61770, un bimotore appartenente al primo contingente di sei Dakota assegnati all’Afis, rientrato nei ranghi dell’Ami nel 1954 e assegnato alla Scuola Addestramento Plurimotori di Latina, inabissatosi a poche miglia da Brindisi il 20 gennaio 1960 e la cui data ufficiale di ritrovamento è quella, posteriore di alcuni anni alle prime immersioni di Stefano sul relitto, del 20 giugno 2006, a bordo del quale c’erano, come abbiamo ricordato prima, il maggiore Riccardi, il capitano pilota Nicola Spatarella, il capitano Lazzarini, il sergente maggiore Calderone ed il primo aviere Garozzo, i cui corpi, rimasti probabilmente intrappolati nella fusoliera mai più rinvenuta, non sono stati ancora ritrovati.
Si tratta, pertanto, di una storia che non ha ancora una conclusione, il cui mistero è ancora fitto, ma con la speranza ancora accesa di riuscire, prima o poi, a ritrovare le parti mancanti dell’aereo – o degli aerei dal momento che è probabile la esistenza di un secondo relitto aereo inabissatosi su quello stesso tratto di mare, e, chissà, che un giorno non si possano ritrovare anche i resti mortali dei membri del’equipaggio dati per dispersi, che potrebbero essere restituiti alle famiglie con tutti gli onori militari del caso.
Le foto subacquee che accompagnano questo articolo sono state messe a disposizione dall’ottimo fotosub salentino Cesare Petrelli autore anche di un bel filmato di questo relitto aereo, visibile su Youtube.