Mistificare la verità: documenti e testimonianze sulla propaganda razzista

di Sonia Di Noi

Mistificazione del vero; non necessariamente onesto, esemplare. Ma in larga parte accettabile, ‘popolare’, insomma. E’ il modo in cui lo sguardo si posa sul reale, diventando materia sociale, e si chiama ricercare il consenso. “La fabbrica del consenso”, per meglio dire, dalla definizione dello storico Philip V. Cannistraro sulle dinamiche sociali e politiche che si andavano definendo all’inizio degli anni ’20 del Novecento, con “nuovi e del tutto inediti meccanismi di controllo, di orientamento dell’opinione pubblica e di inquadramento delle masse”: sarà questo il tema dell’incontro pubblico, previa prenotazione, che avrà luogo sabato 23 aprile prossimo alle ore 18 e 30, organizzato dalla Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” di Brindisi, che nella propria sala studio allestirà una mostra storico-documentaria con visita guidata. “L’obiettivo è raccontare, attraverso i documenti – si legge nel comunicato -, la declinazione locale di eventi di portata nazionale ed europea: la propaganda e la legislazione razzista del fascismo insieme alla successiva deportazione degli ebrei nei campi di concentramento nazisti”
Sarà possibile, quindi, prendere visione dei pregevoli documenti conservati dai fondi della biblioteca arcivescovile e dell’archivio storico diocesano oltre a numeri de La Difesa della razza, articoli tratti dai quotidiani locali, libri dell’epoca: “testimonianze preziose per sottolineare una quotidianità spezzata dalle leggi antiebraiche e da una burocrazia che criminalizzò la diversità e perseguitò vite umane. La narrazione attraverso carte ben poco conosciute di una delle pieghe più brutte della Storia”

Non solo. Durante la serata, la proposta documentale sarà alternata al racconto di episodi personali particolarmente drammatici, vissuti dai protagonisti delle vicende storiche in cui un cieco accaparramento del consenso ha raggiunto vette di sadismo più odiose, tutto attraverso le voci di chi non aveva alcuna possibilità di difendersi. I brani saranno affidati alla lettura di Elisabetta Leone, con il commento musicale a cura del maestro Gaetano Leone e della sua chitarra. Dalle campagne d’Africa del primo Novecento al genocidio in Rwanda, nel 1994, attraverso un secolo di atrocità di ordine ideologico, passando dai gulag sovietici, ai campi di concentramento nazisti e alla guerra fratricida in Bosnia tra il 1992 e il 1995. Cinque testimonianze di donne e bambini, inermi, oltraggiati nel corpo e nella coscienza. “Le letture provengono da un libro per me preziosissimo che hanno poche biblioteche in Italia (noi due copie) – spiega Katiuscia Di Rocco, direttrice della biblioteca arcivescovile – ‘Deportazione e memorie femminili 1899-1953, a cura di Bruna Bianchi, e sono state scelte per definire un percorso ben preciso con un obbiettivo finale: anche per le donne ci fu una modalità di sevizie frutto di una strategia ben precisa. Si voleva punire, umiliare e cancellare una razza e dunque si elimina chi procrea. Nelle memorie raccontate viene sempre fuori il calcolo scientifico e l’umiliazione: la sparizione del ciclo mestruale”

Tutto ciò che pareva affidato alla Storia del mondo di quasi trent’anni addietro, torna di rilevanza preminente in queste settimane in cui i tamburi della guerra tornano a suonare per richiamare sinistramente alle armi; e ancora una volta lo scontro parla di consanguineità, ad est. Niente di nuovo sul fronte dell’umanità, purtroppo. Ma nel solco tra realtà storica e memoria, che, com’è assodato, esprimono due significati ben diversi, quali sono i riferimenti concreti per leggere i fenomeni sociali? “Ieri come oggi per leggere la ricerca del consenso vi è un unico modo: incrociare le fonti, confrontare, acuire con le letture la logica – ragiona Di Rocco -, con l’attenzione costante alla grammatica, all’utilizzo degli avverbi così come delle virgole: solo così ci si rende conto di come si manipoli l’attenzione e di conseguenza l’accettazione di un procedimento ideologico”
Probabilmente, però, di nuovo e più complicato da dipanare c’è la posizione da cui osserviamo la traiettoria degli eventi, tra selezione di argomenti e informazioni filtrate, in cui anche il teatrino giornaliero dei social network aggrava anziché semplificare l’accesso ai fatti. Anzi, più precisamente ai fatti che diventano notizia, tra consenso per chi conviene e manifestazione del dissenso per i recalcitranti. Chiarisce la direttrice Di Rocco: “Abbiamo a disposizione centinaia, migliaia di informazioni, la possibilità di accedere a notizie che prima potevamo solo immaginare. Non si legge più, però. Informazioni brevi, lampo, senza possibilità di pensare, distolgono l’attenzione. Questa è la fabbrica del consenso oggi. Una politica inesistente verso chi garantisce la lettura gratis e non a pagamento: le biblioteche. Per accedere ad un archivio si ha bisogno di una guida preparata per compiere ricerche specifiche, perché ad una biblioteca si avvicina chiunque. Anche i bandi ministeriali per l’acquisto dei libri per biblioteche che non prevedono sovvenzioni per la catalogazione, quindi per la circolazione delle informazioni, rendono evidente una politica che sostiene solo chi produce un reddito e non le biblioteche, che si pensa siano parassite della società”
La Storia ci ha insegnato che l’adesione a un disegno più ampio si ottiene, al peggio, attraverso la codificazione del terrore e delle peggiori pulsioni umane, e in maniera più sottile con una forma di autoregolamentazione primaria, cosicché l’assenso sia veicolato dal linguaggio, che è “la casa dell’essere”, come spiega il filosofo Martin Heidegger, cioè si estrinseca direttamente nella vita stessa, nelle azioni. Bisogna riconoscere che al riguardo la Germania nazista è stata un’antesignana, in quanto Joseph Goebbels, come primo atto da ministro della Propaganda in ogni Stato “conquistato”, si accordava immediatamente con le case di produzione cinematografiche dei territori occupati per risucchiarle nella Reichsfilmkammer, una sorta di Camera del cinema del Reich, un precedente interessante di manovra di regime sull’industria cinematografica, attraverso i molteplici aspetti del linguaggio per l’intercettazione del consenso. Sottolinea la responsabile della De Leo: “Il mito del “bravo italiano” e “cattivo tedesco” cade nella lettura critica delle carte, nella lettura del libro I Protocolli dei Savi anziani di Sion del quale la biblioteca conserva tre copie del 1938. Testo dimostrato falso dal Times nel 1921, si trattava infatti di plagi di satira politica e romanzi; e ad oggi risulta comunque il libro più venduto su Amazon”

I documenti e le letture dell’evento di sabato prossimo presso la biblioteca arcivescovile contribuiranno a definire una specie di piattaforma culturale trasversale, che faccia convergere la costruzione del consenso e la ricerca della verità in un nuovo organismo per il coordinamento del pensiero. In questa contingenza planetaria, stiamo sperimentando il bisogno pressante che ci dicano la verità: la politica dice il vero? E gli analisti politici? Gli esperti di strategia militare? Cerchiamo la verità barcamenandoci tra le cosiddette fonti ufficiali e chi giura che c’era e ha visto tutto e “non ce lo dicono”.
Rimestiamo nel chiaroscuro della cronaca, e speriamo di incontrare qualcuno così illuminato che ci dica chi si prende gioco e chi fa sul serio. Consenso, verità e libertà di espressione resteranno costrutti inconciliabili per la penetrazione delle idee? E ancora Katiuscia Di Rocco: “Il consenso non è inconciliabile con la libertà e la verità, ma la ricerca del consenso sì. Si cerca in continuazione di operare un esercizio di equilibrismo della memoria: abusivo della ricostruzione storica, distorcente delle conseguenze nella memoria civile. Primo Levi in I sommersi e i salvati dice che “nulla è più ambiguo, scivoloso, inattendibile sul piano storiografico di chi sopravvive, vittime o carnefice che sia”. L’unica via d’uscita è leggere i documenti con impegno e spirito critico, leggendo in primis chi quella fonte produce”
Alla luce di quanto la Storia insegna – e, con ogni probabilità, non abbiamo ancora imparato -, è più che mai urgente interrogarsi su come e quanto i presidi culturali possano educare le nuove generazioni a non farsi fagocitare dalla fabbrica del consenso. “Non esistono ragazzi peggiori e ragazzi migliori, ma esiste la Scuola che stimola, forma, fa ricerca, collabora – conclude la curatrice della mostra documentaria di sabato -, e ci sono insegnanti a cui chi fa politica deve rispetto, perché la scuola, come diceva Aldo Moro a Brindisi nel 1975 “è maestra di vita civile che educa i cittadini della vita democratica, giusta e libera”. E i presidi culturali devo accompagnare, affiancare, arricchire gli insegnati, perché cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che ognuno di noi, senza alcuna differenza, sia consapevole della propria dignità. Come ammoniva Enrico Berlinguer “Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere non c’è più scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia” ”

Superare la contraddittorietà dei due fenomeni, ottenere lealmente il consenso e perseguire la naturale sollecitudine alla trasparenza: siamo sulla strada giusta? A proposito di suggestione cinematografica in funzione – e desiderio – della verità, resta sempre attuale la citazione dal film “Anastasia”, di Anatole Litvak (regista e sceneggiatore nato a Kiev e in fuga dal regime sovietico prima e da quello nazista poi, approdando negli Stati Uniti, perciò di spinte ideologiche ne capiva certo qualcosa…), ossia la storia romanzata di Anastasia Nicolaeva Romanova, indicata come erede superstite della famiglia dell’ultimo zar di Russia. La battuta è fulminante: “La verità è al servizio del mondo che ci vive sopra”.